Commission on Narcotic Drugs: la marijuana non è un narcotico rischioso

Nel corso della storia la cannabis è stata usata per scopi medicinali e la decisione Onu ha ripristinato quello status

[3 Dicembre 2020]

La 63esima sessione della  Commission on Narcotic Drugs dell’Onu (CND) ha preso una serie di decisioni che cambiano radicalmente il modo in cui la cannabis è regolamentata a livello internazionale, inclusa la sua  precedente (e assurda) classificazione nella categoria più pericolosa di droghe.

Infatti, riesaminando una serie di raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sulla marijuana e i suoi derivati, la CND si è concentrato sulla decisione di rimuovere la cannabis dalla Tabella IV della 1961 Single Convention on Narcotic Drugs che elencava la cannabis insieme agli oppioidi mortali e che creano dipendenza, compresa l’eroina.

Dopo 59 anni, i 53 Stati membri della CND (aderisce anche Italia compresa) hanno votato –   con 27 favorevoli, 25 contrari e un’astensione – per rimuovere la cannabis dai programmi di controllo più severi, che ne scoraggiavano persino l’uso per scopi medici.

Un voto risicato ma storico che apre la porta al riconoscimento del potenziale medicinale e terapeutico di una droga ricreativa di uso comune ma ancora largamente illegale, anche se legalizzata in molti Paesi e nella stragrande maggioranza degli Stati Usa. .

Inoltre, secondo notizie Onu, «La decisione potrebbe anche guidare ulteriori ricerche scientifiche sulle proprietà medicinali della pianta da tempo annunciate e fungere da catalizzatore per i Paesi per legalizzare il farmaco per uso medicinale e riconsiderare le leggi sul suo uso ricreativo».

Nel gennaio 2019, l’Oms aveva presentato 6 raccomandazioni  riguardanti la programmazione della cannabis nei trattati delle Nazioni Unite sul controllo della droga.  Proposte che avrebbero dovuto essere votate  durante la sessione della CND del marzo 2029, ma molti Paesi avevano chiesto più tempo per studiare le approvazioni e definire le loro posizioni. L’Italia ha dato il suo contributo determinante votato a favore di 3 delle 4 raccomandazioni messe in votazione alla CND.

L’Oms ha chiarito tra l’altro che il cannabidiolo (CBD) – un composto non inebriante – non è soggetto a controlli internazionali. Negli ultimi anni il CBD ha assunto un ruolo di primo piano nelle terapie per il benessere e ha dato vita a un’industria da miliardi di dollari, ma anche a polemiche e fraintendimenti politici, che non sono mancati nemmeno in Italia.

Attualmente, più di 50 Paesi hanno adottato programmi per la distribuzione di cannabis medicinale, mentre Canada, Uruguay e 15 Stati statunitensi hanno legalizzato anche il suo uso ricreativo, con Messico e Lussemburgo prossimi a diventare il terzo e il quarto Paese a farlo. Ma in molti Paesi in via di sviluppo l’uso della cannabis è tollerato come qualcosa di normale e che fa parte della vita quotidiana, senza bisogno di tante normative.

Il Cile del governo di destra del contestatissimo presidente Sebastián Piñera ha votato contro, sostenendo, tra le altre cose, che «Eesiste una relazione diretta tra l’uso di cannabis e maggiori possibilità di soffrire di depressione, deficit cognitivo, ansia, sintomi psicotici». Mentre il conservatore Giappone ha affermato addirittura che «L’uso non medico della pianta potrebbe dar luogo a impatti sanitari e sociali negativi, soprattutto tra i giovani». Tesi abbastanza ardita in un Paese dove ci sono sempre meno giovani ma con sempre più problemi.

Dopo il voto, l’Ecuador, che ha sostenuto tutte le raccomandazioni dell’Oms, ha chiesto che la produzione, la vendita e l’uso di cannabis abbiano «un quadro normativo che garantisca buone pratiche, qualità, innovazione e sviluppo della ricerca».

Anche la Fancia ha votato a favore e la sua rappresentante, Elena Salazar, a ottobre aveva già anticipato: »Riconoscere il potenziale terapeutico della cannabis, è anche essenziale per consentire la ricerca scientifica […] la comunità internazionale deve inviare un segnale chiaro su questo argomento . Dobbiamo essere in grado di dimostrare […] che non scendiamo a compromessi sul traffico e sui danni sociali legati alla droga, tenendo conto degli sviluppi scientifici riguardanti la cannabis. Nel 2018, un comitato scientifico dedicato alla questione della pertinenza e fattibilità dell’offerta di cannabis terapeutica in Francia […] ha emesso un parere positivo […] per un numero chiaramente limitato di casi: dolore refrattario a trattamenti disponibili, cure palliative, dolore e spasticità associati alla Sclerosi multipla e per alcune forme di epilessia resistente ai farmaci, nonché nel contesto dell’assistenza oncologica. Per testare questo nuovo e chiaramente definito uso medico della cannabis in condizioni reali, nel 2021 dovrebbe essere avviato un esperimento, al fine di valutare il circuito di prescrizione e distribuzione in una situazione reale., nonché l’impegno degli operatori sanitari e dei pazienti in queste condizioni. 3000 pazienti affetti dalle malattie sopra menzionate dovrebbero essere inclusi in questa fase sperimentale. Questo esperimento su piccola scala ci consentirà di raccogliere i primi dati francesi sull’efficacia e la sicurezza della cannabis medica». Italia, Sud Africa, Paesi Bassi, Giamaica, Messico e Colombia, Stati Uniti e Svizzera hanno votato sulla stessa linea per rimuovere la cannabis dalla Tabella IV della Convenzione Unica mantenendola nella Tabella I.

Gli Usa con qualche contraddizione in più degli altri visto che hanno affermato che il sì dato dall’amministrazione Trump ancora in carica «E’ coerente con la scienza che dimostra che mentre è stato sviluppato un terapeutico derivato dalla cannabis sicuro ed efficace, la cannabis stessa continua a non esserlo, pone rischi significativi per la salute pubblica e dovrebbero continuare a essere controllata  secondo le convenzioni internazionali sul controllo della droga». Peccato che negli Usa ci siano parecchi Stati con governatori repubblicani che hanno legalizzato anche l’utilizzo ricreativo della cannabis e che nei referendum svoltisi in diversi Stati Usa in contemporanea con le nuove elezioni presidenziali che hanno visto Joe Biden prevalere su Donald Trum, praticamente ovunque ha prevalso il sì alla cannabis.

Non si tratta quindi di un voto per la liberalizzazione della marjuana ricreativa e secondo gli esperti,  il voto non avrà alcun impatto immediato sull’allentamento dei controlli internazionali perché i governi nazionali avranno ancora giurisdizione su come classificare la cannabis. Ma molti Paesi guardano alle decisioni della CND come guida per prendere le loro e il riconoscimento dell’Onu è una vittoria simbolica per il movimento che punta alla legalizzazione della marjuana e a cambiamenti nella politica sulle droghe.

Kenzi Riboulet-Zemouli, un ricercatore indipendente per la politica sulle droghe che ha monitorato da vicino il voto e la posizione degli Stati membri, ha detto al New York Times: «Questa è per noi un’enorme, storica vittoria, non potevamo sperare di più. Nel corso della storia la cannabis è stata usata per scopi medicinali e la decisione di mercoledì ha ripristinato quello status».

Per l’ONG For Alternative Approaches to Addiction, Think & do tank (FAAAT)  «Le Nazioni Unite hanno compiuto il passo coraggioso di rimuovere la cannabis dalla Tabella IV (…)  riconoscendo il valore terapeutico di questa pianta medicinale secolare e non considerandola più come “Particolarmente suscettibile di abusi e di produrre effetti negativi”. Il voto ha fatto seguito a una valutazione scientifica indipendente intrapresa da alcuni dei maggiori esperti mondiali, convocata dall’OMS nel 2017-2018 , in cui sono state esaminate prove e testimonianze da tutti gli angoli del mondo.  La mossa è ancora più importante se si considera che la cannabis è stata inserita nella Tabella IV senza essere mai stata soggetta ad alcuna valutazione scientifica. Il programma IV per la cannabis è una reliquia delle leggi internazionali sulla droga più estreme ereditate dalla morale degli anni ’50 ed è rappresentativo di sistemi di valori a lungo screditati legati al razzismo, all’intolleranza, alla mancanza di rispetto per le popolazioni indigene e le culture che erano il segno distintivo dell’età coloniale».

Secondo FAAT, «La rimozione dalla Tabella IV è, quindi, una notizia fenomenale per milioni di pazienti in tutto il mondo e una vittoria storica della scienza sulla politica. Oltre alla rimozione dalla Tabella IV, oltre le nostre aspettative, l’Oms ha proposto un piano ambizioso per armonizzare e incorporare la flessibilità nel quadro del trattato per l’accesso e la disponibilità di medicinali a base di cannabis. L’Oms ha cercato di creare spazio affinché i governi potessero adeguare le loro politiche nazionali alle loro esigenze».

Anche se l’ONG ritiene inevitabile che gli stati non abbiano fatto il passo necessario verso la legalizzazione della marjuana ricreativa, Fa notare che «Le prove schiaccianti non porterebbero a nessun altro risultato: l’incapacità dei governi di accettare le proposte più avanzate dell’OMS  è deludente e rappresenta un’opportunità persa per rendere il trattato più adatto allo scopo. Tuttavia, nessuno dei voti negativi di oggi si tradurrà in un peggioramento dei controlli sulla cannabis. Alcune di queste raccomandazioni, che avrebbero portato i medicinali a base di cannabis e a base vegetale in un campo di gioco più equo con le loro copie sintetiche (attualmente in vantaggio) hanno effettivamente avuto buone possibilità di essere adottate … Ma nell’ultima settimana l’ambasciatore pakistano (presiedendo la Commissione delle Nazioni Unite incaricata del voto) ha applicato la forza bruta al processo inserendo una proposta russa che ha portato a tenere il voto “in deroga alle regole di procedura standard”  una cosa senza precedenti nei 75 anni dell’Onu. Un’ultima raccomandazione sul CBD medico non ha ricevuto l’approvazione, lasciando la sostanza non programmata e al di fuori dei controlli del trattato».

FAAAT conclude: «Queste modifiche al diritto internazionale avranno effetto dopo che ogni governo avrà ricevuto la propria notifica ufficiale dal Segretario generale delle Nazioni Unite. Nel caso in cui un Paese contesti il ​​voto, ritarderebbe l’entrata in vigore della decisione al marzo 2021, il che servirebbe solo a rafforzare il carattere storico di questo insieme di decisioni, poiché la Single Convention è stata adottata a New York 60 anni prima, il 30 marzo 1961».