Come le formiche sono diventate le più grandi coltivatrici di funghi del mondo

Un antico cambiamento climatico potrebbe aver innescato la rivoluzione agricola delle formiche

[13 Aprile 2017]

Quando gli esseri umani cominciarono a coltivare la terra, circa 12.000 anni fa, modificando per sempre il  futuro della nostra specie e diventando pionieri ecologici, trasformando specie selvatiche dalle quali alla fine siamo diventati dipendenti per la nostra stessa sopravvivenza, non sapevano che stavano seguendo le piccole orme di qualcuno che quella rivoluzione agricola l’aveva cominciata milioni di anni prima, sviluppando tecniche agricole raffinate che gli uomini avrebbero scoperto solo molto dopo.

Infatti le formiche delle foreste pluviali del Sud America stavano coltivando funghi da 60 milioni di anni, domesticando specie che oggi sono in grado di sopravvivere solo nei loro formicai. Ora i ricercatori dello Smithsonian hanno individuato quando, e forse perché, le formiche hanno sviluppato queste raffinate tecniche agricole: l’inizio della rivoluzione agricola delle formiche risalirebbe alla notte dei tempi, on un boom che si sarebbe verificato circa 30 milioni di anni, in seguito a un drammatico cambiamento climatico. Allo Smithsonian  dicono che l’uomo avrebbe ancora molto da imparare dai sistemi di coltivazione emersi da quella rivoluzione agricola delle formiche.

Oggi, nelle Americhe e nei Caraibi sono note circa 240 specie di formiche attine, tra le quali quelle taglia-foglie, che coltivano funghi  e le loro complesse coltivazioni sotterranee che sostengono società basate sull’agricoltura  sono on sono solo sostenibili ed efficienti, ma anche resilienti a malattie e parassiti . Questi minuscoli agricoltori sono accomunati da una strategia: trasportano nei loro formicai pezzi di vegetazione, ma non li mangiano: li utilizzano per usano per nutrire i loro preziosi funghi, che coltivano a livello industriale.

I  funghi crescono completamente isolati in orti sotterranei, spesso in luoghi asciutti, dove ai loro antichi parenti selvatici sarebbe impossibile sopravvivere. Come risultato di questo isolamento, i funghi domesticati dalle formiche si sono sviluppati  in una completa co-dipendenza con i loro agricoltori e le formiche dipendono così tanto da loro che quando la figlia di una formica regina fonda una nuova colonia porta con sé una parte di coltivazione di funghi della vecchia colonia di sua madre per poter dare il via al suo nuovo regno agricolo.

Nello studio  “Dry habitats were crucibles of domestication in the evolution of agriculture in ants” appena pubblicato 12 aprile sulla rivista  Proceedings of the Royal Society B  un team di ricercatori statunitensi  guidati da Ted Schultz, curatore della sezione formiche allo Smithsonian national museum of natural history, ha utilizzato nuovi strumenti genomici per scoprire le radici di questa insolita predisposizione delle formiche, creando un albero genealogico evolutivo delle  formiche che coltivano funghi e mettendo a confronto i dati genetici per 78 specie di formiche coltivatrici di funghi e di 41 specie di formiche che non coltivano. La maggior parte di questi dati sono stati raccolti da Schultz in decenni di lavoro con le formiche e lo scienziato sottolinea: «I funghi che coltivano non sono mai stati trovati in natura, ora sono totalmente dipendenti dalle formiche. E’ come per molte delle nostre colture. Coltiviamo le cose che sono state così altamente modificate che non esistono più in forme presenti in natura».

I ricercatori dello Smithsonian hanno utilizzato questi dati genetici che comprendono oltre 1.500 sequenze di DNA per ogni specie, per andare a ritroso nel tempo e identificare gli antenati comuni delle formiche che oggi popolano il mondo. Per “calibrare” le date dei cambiamenti sono stati essenziali alcuni fossili di formiche. Con questi dati, il team di Schultz è stato in grado di svelare quando queste specie di formiche hanno fatto il passo avanti evolutivo che ha permesso loro di diventare agricoltrici così raffinate, inoltre i ricercatori Usa hanno anche l elaborato una teoria sul perché lo abbiano fatto.

«I dati del DNA – spiegano – suggerisce che questo salto sia coinciso con antichi e drammatici cambiamenti climatici.  Le formiche sembrano aver sviluppato i loro sistemi di coltivazione avanzati qualche tempo dopo che un evento di raffreddamento globale ha iniziato a far abbassamento le temperature in tutto il mondo, circa 35 milioni di anni fa». Il freddo ha fatto scomparire le foreste pluviali umide dove vivevano gli  antenati cacciatori-raccoglitori delle formiche e ha reso l’ambiente più arido, questo «potrebbe aver scatenato l’innovazione agricola», dicono i ricercatori, dato che le formiche avrebbero dovuto realizzare nei loro formicai condizioni controllate per fare in modo di crescere i funghi nei loro orti.

Schultz spiega ancora: «Sembra che, qualunque sia stato il oro primo antenato, le formiche coltivatrici di funghi vivessero in un habitat secco o in uno stagionalmente secco. Quindi, se le formiche volevano coltivare i funghi che amano habitat umidi, e trasportarli in un habitat secco, è stato un po’ come se  gli esseri umani avessero portato una delle loro specie domesticate fuori dal suo areale di distribuzione originario. In generale,  quando pensiamo di addomesticare qualcosa la isoliamo e raccogliere i semi dagli individui che ci sembrano i migliori, e continuiamo a piantare quei semi. Se si dispone di un fungo i cui parenti vivono tutti in una foresta umida e lo portiamo in un habitat secco, non può sfuggire più … Nel corso del tempo, isolato per centinaia di migliaia o milioni di anni, questa è un buon opportunità di addomesticamento».

Ma l’agricoltura non ha modificato solo i funghi, anche i loro minuscoli contadini hanno cominciato a diversificarsi significativamente, mutando i loro genomi  prima durante il passaggio da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori  e ancora quando si sono specializzati nella coltivazione di funghi.  Già in precedenti ricerche, Schultz e i suoi colleghi avevano notato che le formiche taglia-foglie avevano probabilmente perso la capacità di produrre un aminoacido chiave: l’arginina, perché è presente nei funghi, diventando così dipendenti da quella fonte. Un legame così forte che i micologi studiano i formicai per capire se siano i funghi a utilizzate le formiche, piuttosto che il contrario come sembrerebbe. Diana Six, un’entomologa dell’università del Montana che non ha partecipato allo studio, ha detto allo Smithsonian Magazine: «Può sembrare che sia male per  i funghi, ma è un vantaggio anche per loro. Tutti tendono a soddisfare i loro bisogni. Penso davvero che anche i funghi manipolino la situazione. Schultz e colleghi sono stati in grado di prendere parte di una storia evolutiva complessa che non supporta molte  ipotesi precedenti, cioè, che l’evoluzione dei funghi che amano l’umidità sarebbe stata il portato delle foreste pluviali umide dove avevano vissuto. L’idea che in queste  simbiosi ci debba essere qualcosa che impone la specificità e che l’isolamento abbia portato a questa estrema dipendenza… ha davvero molto senso. Ma ci vuole gente che pensi un po’ al di fuori dagli schemi per trovare questo tipo di risposte».

Evidentemente tra l’agricoltura umana e quella delle formiche ci sono enormi differenza (le formiche non hanno trattori, scherzano allo Smithsonian),  eppure Schultz è convinto che possiamo imparare qualcosa da una delle poche altre specie in natura, che comprendono  termiti, coleotteri e api, che si prendono cura dei loro raccolti. «Per esempio: come alcuni agricoltori industriali, le formiche che coltivano i funghi crescono un singolo tipo di coltura. Tuttavia, riescono a farlo senza soccombere a nemici come malattie o parassiti che minacciano le colture umane in caso di perdita della diversità genetica. Le formiche riescono questa notevole impresa mantenendo immacolate i loro orti sotterranei, per limitare la possibilità di malattie e producendo una sorta di antibiotico naturale che agisce come pesticida, combattendo un fungo parassita che minaccia la loro fonte di cibo», ma anche le erbe infestanti. Schultz aggiunge: «Queste strategie tengono efficacemente sotto controllo gli agenti patogeni, ma non li cancellano come tendono a fare gli esseri umani, a volte senza volerlo. Invece, le formiche hanno raggiunto un equilibrio sostenibile che gli esseri umani farebbero bene a osservare. Coltivano una monocoltura, ma ci sono ogni tipo di batteri e altri microbi che potrebbero essere benigno o addirittura benefici. E’ come se coltivassero un piccolo ecosistema. Allo stesso modo, nell’agricoltura umana, quando si coltiva una coltura non stiamo solo facendo crescere qualcosa come il mais, stiamo anche crescendo tutti questi microbi nel suolo, e c’è probabilmente una miscela ecologica ottimale di microbi che è il meglio per il terreno sano e mais sano».

Gli agricoltori umani potrebbero trarre insegnamenti anche da come la colonia di formiche si inserisce nel più ampio ecosistema locale, Schultz  conclude: «Pensate a una colonia di taglia-foglie come a un unico grande vertebrato al pascolo: messo insieme, il peso di una colonia è simile a quello di una mucca e può consumare una quantità simile di vegetazione locale per un periodo di tempo simile. Perché non spazzano via tutta la vegetazione in una zona e non devono spostarsi?  Una ragione è che anche la vegetazione locale si è evoluta in sincronia con le colonie. Un albero che viene portato vicino alla morte dalle formiche può iniziare ad esprimere una tossina che rende le sue foglie sgradevoli ai funghi delle formiche, portandole ad andare oltre, in modo che l’albero possa rigenerarsi. Non lo stanno facendo deliberatamente; non è come se consapevolmente scegliessero di non a decimare un albero. Ma un intero ecosistema locale e tutti gli organismi che ospita si sono co-evoluti in una sorta di stato stabile, che produce questo tipo di agricoltura sostenibile».

Se ci fosse stao bisogno di una conferma, il mondo è davvero tutto attaccato – come diceva e continua a dire qualcuno – e l’uomo ha scordato che dovremmo far nostre le grandi lezioni che vengono dalle più piccole forme di vita che abitano insieme a noi , e prima di noi, il nostro pianeta vivente.