Allarme anche in America per il declino delle popolazioni di insetti

E’ causato dal cambiamento climatico: c'è poco tempo per salvare gli ecosistemi

[5 Settembre 2019]

Anche in America Latina cresce la preoccupazione per il declino delle popolazioni di insetti sembra venire più dal cambiamento climatico e dalle sue conseguenze sugli ecosistemi. A dirlo è lo  studio “Climate-driven declines in arthropod abundance restructure a rainforest food web”, pubblicato su PNAS Bradford Lister, del Department of Biological Sciences del Rensselaer Polytechnic Institute di New York, e Andrés García, dell’Estación de Biología Chamela, Instituto de Biología, Universidad Nacional Autónoma de México, che indaga sugli effetti del riscaldamento globale sull’abbondanza delle specie e sulla conseguente ristrutturazione della catena trofica nelle foreste tropicali di Puerto Rico.

Lister e García sono preoccupati soprattutto per gli impollinatori, essenziali per il mantenimento, il funzionamento e la struttura degli ecosistemi e García sottolinea: «Sebbene non ci sia consenso sulla sua entità, l’allarmante declino delle popolazioni di api colpisce l’agricoltura, così come la riproduzione e la dispersione di molte specie di piante selvatiche (il 75% di quelle con fiori dipende dagli impollinatori). Negli ultimi 25 anni c’è stata una riduzione fino al 75% delle popolazioni di insetti volanti in Germania e fino al 50% delle farfalle in Europa; e a causa del declino degli insetti prodotto dalle intense siccità e da un caldo più intenso, c’è stato un declino degli uccelli nelle foreste di eucalipti».

Lo studio di Lister e García sottolinea che «Il cambiamento climatico è un fattore chiave nel ridurre l’abbondanza di artropodi e, quindi, delle popolazioni dei loro predatori, che includono specie di lucertole del genere Anolis, una rana del genere Eleutherodactylus e diversi uccelli insettivori». Inoltre, i due ricercatori fanno notare  «Un aumento della temperatura media di 2,4° C tra il 1981 e il 2014 e una riduzione dell’80% dell’abbondanza di insetti nelle foreste basse di Chamela, Jalisco. E’ probabile che, a causa del calo delle loro popolazioni e del previsto aumento della frequenza e dell’intensità degli uragani, gli insetti di Puerto Rico e della giungla di Chamela non possano riprendersi o rispondere adeguatamente agli effetti dell’impatto dei cambiamenti climatici».

Lister e García sono convinti che «I meccanismi di resilienza della Terra sono cosi colpiti dall’attuale crisi ambientale che al pianeta non basta il tempo per riprendersi da quello che è conosciuta come la sesta estinzione di massa».

Per García, «E’ una crisi ambientale che è caratterizzata da una perdita accelerata di specie, dalla modifica irreversibile degli ecosistemi naturali, dal cambiamento climatico (riscaldamento globale), dal danneggiamento dello strato di ozono e dall’emergere di malattie a livello globale. E’ originata da diversi fattori antropogenici: tra le altre cose, la crescita della popolazione, la deforestazione e la frammentazione, il sovrasfruttamento degli habitat, il sovrasfruttamento delle risorse, l’intrduzione di specie esotiche e il consumo di combustibili fossili. Questa crisi ambientale causa, a una velocità allarmante, nmai registrata in tempi geologici, la perdita della biodiversità, l’estinzione delle specie, la diminuzione delle loro popolazioni e la riduzione dei loro areali».

In questo che ormai in molti chiamano Antropocene, l’impatto antropico ha fatto schizzare il tasso di estinzione a un livello molto più alto di quello naturale: un milione di specie rischiano di scomparire  e quelle che si sono estinte nel  XX secolo o negli ultimi 100 anni, in una situazione normale,  avrebbero dovuto scomparire in un periodo molto più lungo: da 800 a 10.000 anni, a seconda del gruppo tassonomico di appartenenza.

García aggiunge che «Anche il livello di riscaldamento globale è aumentato. Nel XIX secolo l’aumento annuale era stato di 0.005º Celsius, mentre nel XX secolo è stato di 0.003º C, quindi, la temperatura media del pianeta è passata da essere di più 0.2º C nel decennio degli anni ‘70 ai più di 1.2º C negli anni recenti. Nello stesso tempo, il cambiamento climatico, in particolare questo smisurato riscaldamento globale, sta alterando il ciclo globale delle precipitazioni e la rotta delle correnti marine ed aeree che trasportano molti nutrienti. Quindi, le attuali generazioni saranno le ultime a poter invertire un po’ la crisi ambientale che ci colpisce».

Il cambiamento delle correnti marine, dovuta sia all’amento delle temperature che all’innalzamento del livello del mare favorito dallo scioglimento delle calotte polari, modifica la distribuzione di nutrienti e delle specie negli oceani, sia perché alcune specie sono legate a particolari range di temperature, sia perché provocano cambiamenti nelle aree di attività, riproduttive e di foraggiamento. A pagarne il prezzo più duramente sono le specie di piante e animali che non riescono a sincronizzare il loro ciclo vitale con il rapido cambiamento climatico in corso. García è convinto che «Grandi regioni saranno in pericolo se le correnti aeree che trasportano nutrienti nel Mar de Cortés, o quelle che le portano dal deserto del Sahara in Amazzonia, perderanno questi rifornimenti o li sposteranno da altre parti. Con la perdita di biodiversità, tutti i servizi ecosistemici, come la fornitura di risorse e la formazione di suolo, saranno danneggiati localmente e globalmente. Per esempio, nell’ultimo decennio il sovrasfruttamento della pesca è triplicato e ci sono tassi di erosione da deforestazione e attività agricole da 100 a 1.000 volte maggiori che la formazione del suolo. Anche un altro servizio ecosistemico basilare, il ciclo dell’acqua, che supporta gli ecosistemi a tutti i livelli, viene alterato dall’erosione e dalla deforestazione che riducono la capacità di gestione dei servizi idrici. La qualità dell’acqua è danneggiata anche da fertilizzanti che la contaminano e dall’evapotraspirazione che innesca cambiamenti nell’atmosfera inquinata che fanno sì che precipiti come pioggia acida». A questo si aggiunge l’incremento demografico che ogni giorno aumenta sempre di più la pressione sui servizi ecosistemici: dagli attuali 7,5 miliardi di esseri umani nel 2050 saremo 10 miliardi.

Molti scienziati avvertono che la Terra è sul bordo di un collasso ambientale e che  gli esseri umani sono in debito con gli ecosistemi per aver sfruttato eccessivamente le risorse, superando il tasso di recupero.

Garcia, che nel 2015 ha fatto parte del team di ricercatori messicani e statunitensi che ha pubblicato su Science Advances lo studio “Accelerated modern human-induced species losses: Entering the sixth mass extinction” conclude: «Non c’è più tempo. Dobbiamo agire ora e apportare profondi cambiamenti nell’economia mondiale e nelle strutture finanziarie e sociali, nonché utilizzare e consumare risorse in modo sostenibile, proteggere le specie autoctone (in particolare gli impollinatori), ripristinare gli ecosistemi, ridurre il consumo di carburanti fossili … il tutto basandosi sulla ricerca interdisciplinare e all’interno di un quadro giuridico e di protezione dell’ambiente»