Amazzonia: restano solo 15 anni per salvare la foresta pluviale ed evitare che si trasformi in savana

Al Gore e Nobre contro il ministro brasiliano: non è vero che disboscare l’Amazzonia fa diminuire la povertà

[24 Gennaio 2020]

Il ritmo della deforestazione in Amazzonia, insieme ai devastanti incendi boschivi dell’anno scorso, ha spinto la foresta pluviale più grande del mondo vicino verso un punto di non ritorno, oltrepassato il quale si trasformerà da pozzo di carbonio a una fonte di emissioni di carbonio. Lo ha rivelato, intervenendo al meeting “Securing the future of the Amazon forest” del World economic forum (Wef) che si conclude oggi a Davos, il famoso climatologo Carlos Afonso Nobre, dell’Instituto Nacional de Pesquisas da Amazônia (INPA) e dell’Academia Brasileira de Ciências, che ha aggiunto: «Senza un’azione immediata per arrestare la deforestazione e iniziare a sostituire gli alberi perduti, metà della foresta pluviale amazzonica potrebbe diventare savana entro 15 anni». Le foreste tropicali dell’Amazzonia creano il 20-30% delle piogge che le bagnano e hanno benefiche ricadute in una gigantesca area circostante, quindi salvaguardarle è vitale per i sistemi meteorologici regionali e la produzione alimentare così come per stabilizzare il clima globale.  Nobre ha però ricordato che «La deforestazione è ora al 17%, ma se supera il 25% oltrepasseremo il punto di non ritorno».

All’incontro sull’amazzonia hanno partecipato anche l’ex vicepresidente Usa e Premio Nobel per la Pace Al Gore, il presidente della Colombia Ivan Duque Márquez  e la primatologa Jane Goodall, ma il convitato di pietra era il governo del presidente neofascista brasliano Jair Bolsonaro e in particolare il suo ministro dell’economia, Paulo Guedes che, intervenendo al Wef, aveva rilasciato dichiarazioni ispirate al solito negazionismo climatico e giustificato “socialmente” e storicamente la distruzione dell’Amazzonia dicendo che «Il peggior nemico dell’ambiente è la povertà. Le persone distruggono l’ambiente perché hanno bisogno di mangiare. Loro [i poveri] hanno tutte le preoccupazioni che non sono più le preoccupazioni delle persone che hanno già distrutto le loro foreste, che hanno già combattuto le loro minoranze etniche, queste cose … È un problema molto complesso, non esiste una soluzione semplice».

Intervistato da BBC News Brasil. Nobre ha sottolineato che «Il discorso di Paulo Guedes non è molto in linea con quello del mondo economico a Davos. La gravità degli incendi in Australia, che hanno devastato la costa orientale australiana negli ultimi mesi, nonché gli eventi in California e in Amazzonia, hanno aumentato il livello della preoccupazione per il clima tra amministratori delegati, presidenti di multinazionali e leader agroalimentari globali partecipanti al summit. Questo tipo di discorsi va molto contro il trend mondiale, questo discorso [di Guedes] sembra difensivo: “Sono contro la deforestazione, ma è più importante eliminare la povertà”, ma non è vero».

Al ministro brasiliano ha risposto, senza citarlo, anche Al Gore: «Oggi è ampiamente noto che il suolo dell’Amazzonia è povero. Dire alla gente in Brasile che arriveranno in Amazzonia, taglieranno tutto e inizieranno a piantare, e avranno coltivazioni per molti anni, q equivale a dare loro false speranze. Sì, occorrono risposte per l’Amazzonia, ma non per questo».

Un fuoco incrociato di critiche che ha costretto Guedes a provare persino a spiegarsi durante un incontro riservato che ha avuto con i presidenti di multinazionali come come Iberdrola, Enel, Mastercard e Corporación Améric. Secondo quanto scrive Valor Econômico, il ministro dell’economia brasiliano avrebbe spiegato che la sua maldestra dichiarazione si riferiva al fatto che le maggiori richieste al Brasile di salvaguardare la foresta amazzonica provenivano proprio dai Paesi che hanno già distrutto le loro foreste, a causa della fame e dell’ignoranza dei loro abitanti o che, in altre occasioni, hanno attaccato le minoranze etniche. »Ma come quei Paesi, nemmeno il Brasile, vuole vedere distrutte le sue foreste», ha detto Guedes, prima di chiedere ai suoi interlocutori alla fine dell’incontro:: «Ora ho detto bene».

Secondo Nobre si è trattata dell’ennesima gaffe del governo brasiliano perché «E’ possibile percepire chiaramente che il mondo degli affari globali è sempre più interessato alla questione ambientale. Il mondo economico è molto preoccupato per il fatto che, su questa traiettoria che stiamo percorrendo, l’ambiente è minacciato e il mondo degli affari è minacciato. Sempre più spesso, nel mondo degli affari si parla di deforestation-free supply chains. E’ già una buona notizia. E’ molto meglio di qualcuno che, come ha affermato il nostro ministro dell’Economia, dice che la deforestazione è necessaria per porre fine alla povertà in Amazzonia. Almeno, questo non è il discorso degli amministratori delegati, delle principali compagnie del mondo». Lo scienziato brasiliano ha portato come esempio del cambiamento in corso il fatto che nel 15esimo Global Risks Report presentato a Davos dal Wef si afferma per la prima volta che tutti i principali rischi per il pianeta sono ambientali.

Oltre a intervenire all’evento sull’Amazzonia, Nobre ha partecipato a Davos anche a un’iniziativa sugli effetti sul clima globale degli incendi in Australia e ha detto che «Sebbene gli incendi stagionali siano comuni in Australia, la frequenza e la ferocia degli incendi negli ultimi anni hanno allarmato la comunità internazionale, compresi i leader economici».

Al fianco di Nobre c’era il ministro delle finanze australiano Mathias Cormann che – di fronte alla catastrofe che continua nel suo Paese – ha usato altri toni rispetto a quelli sprezzanti e minimizzatori del primo ministro Scott Morrison, che difende ancora l’industria carbonifere indipendentemente dagli effetti che ha sulla natura.

Secondo Nobre «Qualcuno potrebbe dire “ah, ma non sono i cambiamenti climatici a causare incendi. Gli incendi in Australia sono fenomeni naturali, causati da scariche elettriche che innescano un incendio sulla vegetazione secca, e questa vegetazione secca, specialmente l’eucalipto, si è completamente adattata agli incendi nel passato. 16.000 anni fa, la comunità aborigena australiana ha imparato a controllare gli incendi, li monitorano, non esplodono. Ma sapevano tutto degli incendi del passato. Lo abbiamo visto quest’anno, che è stato un record. Anche il ministro delle finanze ha riconosciuto che i cambiamenti climatici stanno rendendo il problema più serio, il che è già di un grande progresso».

Tornando alle parole del ministro brasiliano, Nobre ha fatto notare che «Nella scienza o nella storia dell’occupazione dell’Amazzonia, non vi è mai stata alcuna correlazione tra l’aumento della deforestazione e la riduzione della povertà. Non ci sono prove scientifiche in nessun studio che la deforestazione in Amazzonia abbia posto fine alla povertà. L’Amazzonia rimane la regione più povera del Brasile. Per decenni, dagli anni ’70, la strategia del Brasile riguardo all’Amazzonia è stata quella di portarci la gente per occupare aree per proteggere il territorio, incluso l’incoraggiamento alla deforestazione attraverso finanziamenti e crediti. Per avere un prestito in banca si doveva dimostrare di aver disboscato un’area. Le persone sono state portate alla deforestazione. Chiedetevi: la preoccupazione del governo militare era quella di ridurre la povertà? No. La preoccupazione del governo militare era la paura di un’invasione. Internazionale. Il modello non ha portato progresso: ha trasferito la povertà da un luogo a un altro. Quindi le critiche internazionali [sulla deforestazione] hanno cominciato ad aumentare troppo e, a partire dalla nuova democratizzazione, dal governo Sarney, nel 1989, questa regola ha già iniziato a cambiare. Negli anni ’90 sono stati interrotti i finanziamenti per la deforestazione. Negli anni ’90, a causa delle pressioni dovute alla deforestazione, [l’ex presidente] Fernando Henrique Cardoso ha aumentato dell’80% l’obiettivo di conservazione delle foreste. Le popolazioni amazzoniche che vivono nelle campagne restano povere, sia in Amazzonia che nella maggior parte dei Paesi della foresta pluviale. In Africa, l’espansione e la crescita demografica hanno un impatto sulle foreste, ma le persone rimangono molto povere. Più poveri anche che in qualsiasi altro Paese, di qualsiasi altro posto ai tropici. Quindi non esiste alcuna correlazione tra l’eliminazione della povertà dalla popolazione nel suo insieme e la deforestazione. Non esiste nel sud-est asiatico, non esiste in Africa e non esiste in Amazzonia».

Per il climatologo brasiliano la strategia della destra di invocare la riduzione della povertà per giustificare gli attacchi all’ambiente in eventi come il World economic forum non è una novità: «Ho 68 anni, non ho mai visto in vita mia nessun presidente del Brasile, compreso il regime militare, che non abbia detto che la sua preoccupazione principale era la riduzione della povertà. È, ovviamente, in un paese povero come il Brasile, che non si è mai sviluppato, in cui il 50% della popolazione è povero, quello che il presidente deve dire. Lo fanno tutti».

Nobre ha sviluppato l’idea di una terza via per l’Amazzonia, nella quale la tecnologia moderna attinge alla saggezza tradizionale indigena e la sviluppa per creare una nuova bioeconomia. Per esempio, la bacca di acai porta entrate per oltre 1 miliardo di dollari all’economia amazzonica, in termini di valore è seconda solo alla carne bovina, ma utilizza solo il 5% della superficie occupata dalle fazendas di bestiame, rendendo la bacca 10 volte più redditizia della carne bovina.

Se anche in Colombia la deforestazione prosegue tra gli assassinii dei difensori dell’ambiente e dei diritti umani, il presidente di centro destra Duque la pensa diversamente da Bolsonaro e a Davos ga dichiarato che «La più grande sfida del nostro tempo è il cambiamento climatico» e ha ricordato che nel settembre 2019 ha convocato il Pacto de Leticia por la Amazonia con il quale 7 paesi amazzonici si sono impegnati personalmente a lavorare insieme per proteggere la foresta pluviale.

«Dobbiamo sconfiggere la deforestazione» ha detto il presidente colombiano che ha annunciato: «Vogliamo lanciare una strategia che si chiamerà Biodiverciudades, vale a dire quelle città dei diversi Paesi che si trovano in Amazzonia o nelle zone vicine. Queste città devono vivere proteggendo la biodiversità e l’ambiente, per assicurare un’economia circolare e per attuare il concettoProducir conservando y conservar produciendo”», E poi ha aggiunto in evidente polemica con il sovranismo del governo brasiliano: «Dobbiamo proteggere l’Amazzonia perché è nostra e anche perché è importante per il mondo. Ci sono 34 milioni di persone che vivono nell’Amazzonia e questa rappresenta la dimensione della popolazione di e questa è la dimensione di molti Paesi del mondo. Abbiamo bisogno che queste società siano in grado di preservarsi, guardare al futuro, co-proteggere l’ambiente, proteggere gli ecosistemi e la biodiversità (…) Una biodiverciudad è quella che gestisce integralmente la biodiversità e i suoi servizi ecosistemici come asse e strumento essenziale del suo sviluppo socioeconomico. La Colombia, in quanto paese megadiverso, progetta città preparate per le attuali e future sfide socio-ambientali che gestiscono pienamente la biodiversità e i suoi servizi ecosistemici con un approccio urbano-regionale, come strumento per lo sviluppo di città sostenibili».

Al Gore ha ricordato a tutti che «La crisi climatica è molto peggiore di quanto le persone generalmente si rendano conto e sta peggiorando molto più velocemente di quanto nessuno di noi si renda conto» e ha chiesto che la politica raccolga questa sfida epocale: «Questo è Azincourt, questo è Dunkerque, questo l’11 settembre».

Jane Goodall ha invitato tutti a partecipare all’ 1 Trillion Trees Initiative del World economic forum e ha concluso: «Abbiamo bisogno di modi per ricompensare le persone che si occupano delle foreste pluviali tropicali per conto nostro, poiché attualmente non stiamo pagando le foreste nonostante ne abbiamo bisogno ovunque. Non bisogna rendere troppo cupo e oscuro il dibattito. Diamo speranza ai giovani, perché se perdi la speranza, ti arrendi».