Aree marine protette del Mediterraneo: ne beneficiano maggiormente le specie ittiche più comuni e di valore commerciale

I pesci beneficiano della protezione in misura diversa e in base a come sono realizzate le Amp

[10 Gennaio 2020]

Le aree marine protette riducono la mortalità dei pesci limitando la raccolta e riducendo la distruzione dell’habitat e vengono spesso istituite per promuovere la conservazione della biodiversità e la pesca sostenibile. Il nuovo studio “Mediterranean marine protected areas have higher biodiversity via increased evenness, not abundance”, pubblicato sul Journal of Applied Ecology da un team internazionale di ricercatori del quale fanno parte anche gli italiani Antonio Di Franco (Stazione Zoologica Anton Dohr e Consorzio Interuniversitario per le Scienze del Mare – CoNISMa e Université Côte d’Azur), Paolo Guidetti (CoNISMa e Université Côte d’Azur) e Fiorenza Micheli (Hopkins Marine Station and Stanford Center for Ocean Solutions), dimostra che le aree marine protette «portano non solo ad un aumento del numero totale di pesci (individui) in generale. Le aree protette nel Mediterraneo settentrionale ospitano anche un numero maggiore di specie ittiche comuni e accumulano significativi effetti di rete positivi tra le singole riserve».

Nelle regioni costiere del Mediterraneo vivono oltre 100 milioni di persone e da secoli sono sottoposte molteplici fattori di stress di origine antropica, come l’inquinamento dei nutrienti e la raccolta/pesca di risorse naturali. Attualmente, il 6,5% è sottoposto a un qualche livello di protezione, anche se meno dell’1% è integralmente protetto con divieti di pesca e di estrazione di altre risorse. Gli scienziati tedeschi del Deutsches Zentrum für integrative Biodiversitätsforschung (iDiv) e israeliani dell’università di Tel Aviv che hanno guidato il team di ricerca sottolineano: «E’ noto che tale protezione aumenta il numero di individui e la biomassa ittica all’interno delle aree protette, ma l’effetto sul numero di specie (ricchezza delle specie) è più variabile e l’evidenza di guadagni di biodiversità attraverso la protezione è mista».

Il team internazionale di ricercatori ha esaminato il modo in cui la biodiversità dei pesci nel Mediterraneo ha risposto alla protezione confrontando il numero di individui, la relativa abbondanza di specie e il modo in cui sono distribuiti nello spazio, per i pesci sia all’interno che all’esterno delle aree protette, e ha scoperto che «La conservazione ha un forte impatto sulla biodiversità. Gli effetti più notevoli sono stati riscontrati sull’abbondanza relativa delle specie nelle aree protette. Le specie rare e comuni sono state interessate in modo sproporzionato dalla protezione. In particolare, c’erano più specie comuni all’interno delle singole aree protette, nonché a livello di tutte le aree protette messe insieme».

I ricercatori hanno scoperto che le specie più sensibili allo sfruttamento hanno risposto maggiormente alla protezione rispetto alle specie meno sensibili allo sfruttamento: «Le specie sfruttate hanno mostrato un aumento del numero di individui all’interno delle aree protette, del numero di specie comuni e di tutte le specie messe insieme. E’ importante sottolineare che l’aumento del numero di specie comuni con elevata sensibilità allo sfruttamento è stato maggiore a livello regionale che locale. Ciò riflette la tendenza dei diversi siti protetti ad avere diverse specie sfruttate. Di conseguenza, la biodiversità beneficia di una rete di aree protette all’interno di un ecosistema».

Il principale autore dello studio, Shane Blows dell’iDiv e della Martin-Luther-Universität Halle-Wittenberg, evidenzia che «Abbiamo riscontrato questo effetto di rete in riserve che sono state implementate in modo indipendente, quindi non sono state necessariamente progettate per combinarsi come rete. Sarebbe interessante sapere se modelli simili si trovano in reti di riserve progettate con un focus particolare, come ad esempio per massimizzare la diversità dell’habitat o promuovere la connettività tra le riserve». All’iDiv aggiungono che «La ricerca mostra che l’esame di più componenti della biodiversità su più livelli, fornisce nuove intuizioni su come le comunità rispondono alla protezione».

I risultati dello studio suggeriscono che «La protezione potrebbe aiutare a invertire l’omogeneizzazione tassonomica eventualmente associata alle catture» e che «Le iniziative locali di conservazione della biodiversità possono combinarsi sinergicamente in un sistema regionale di aree marine protette».