Aree protette vulnerabili e sicurezza alimentare

In molte aree protette prevalgono i terreni coltivati, mettendo a rischio la loro efficacia nel raggiungimento degli obiettivi di conservazione delle specie rare e in via di estinzione

[22 Gennaio 2021]

Le aree protette sono fondamentali per mitigare la sesta estinzione di massa delle specie in atto, ma possono anche entrare in conflitto con gli sforzi per nutrire la crescente popolazione umana. Il nuovo  studio “Pervasive cropland in protected areas highlight trade-offs between conservation and food security,” Varsha Vijay and Paul Armsworth”,pubblicato su  Proceedings of the National Academy of Sciences dimostra che «Il 6% di tutte le aree terrestri protette globali sono già costituite da terreni coltivati, un habitat fortemente modificato che spesso non è adatto a sostenere la fauna selvatica. Peggio ancora, il 22% di queste terre coltivate si trova in aree che presumibilmente godono dei livelli di protezione più rigorosi, la chiave di volta degli sforzi di protezione della biodiversità globale».

Gli autori dello studio – Varsha Vijay, del National Socio-Environmental Synthesis Center dell’università del Maryland, e Paul Armsworth  del Department of Ecology and Evolutionary Biology e del National Institute for Mathematical and Biological Synthesis dell’università del Tennessee – hanno esaminato per la prima volta in modo completo gli impatti globali dei terreni coltivati ​​nelle aree protette, sintetizzando una serie di stime dei terreni coltivati ​​rilevate a distanza e diversi dataset socio-ambientali.

I ricercatori evidenziano che «La persistenza di molte specie autoctone, in particolare habitat specialists (specie che dipendono da un ristretto insieme di sistemi naturali), specie rare e minacciate, è incompatibile con la conversione dell’habitat in terreno coltivato, compromettendo così l’obiettivo primario di conservazione di queste aree protette».

Partendo dalle esigenze della conservazione delle specie e dei servizi ecosistemici, i ricercatori hanno utilizzato metodi che forniscono un punto di riferimento importante e metodi riproducibili per il monitoraggio rapido dei terreni coltivati ​​nelle aree protette.

La principale autrice dello studio,  Varsha Vijay, spiega che «La combinazione di più approcci di telerilevamento con l’inventario in corso e il lavoro di indagine ci consentirà di comprendere meglio gli impatti della conversione agricola su diversi taxa. I terreni coltivati ​​negli hotspot di biodiversità richiedono un monitoraggio particolarmente attento. In molte di queste regioni, l’espansione dei terreni coltivati ​​per soddisfare la crescente domanda di cibo espone le specie sia alla perdita dell’habitat che all’aumento dei conflitti uomo-fauna selvatica».

I ricercatori fanno notare che «I Paesi con una maggiore densità di popolazione, una minore disuguaglianza di reddito e una maggiore idoneità agricola tendono ad avere più terreni coltivati ​​nelle loro aree protette. Anche se i terreni coltivati ​​nelle aree protette sono più dominanti alle latitudini medio-settentrionali, i conflitti tra biodiversità e sicurezza alimentare possono essere più acuti nei tropici e nelle aree subtropicali». Questo maggiore conflitto è dovuto a livelli più elevati di ricchezza di specie che coincidono con un’elevata percentuale di aree protette danneggiate dai terreni coltivati.

Secondo Lucas Joppa, chief environmental officer di Microsoft, che non ha partecipato al nuovo studio ma  ha pubblicato numerosi articoli sul tema dell’efficacia delle aree protett, «I risultati di questo studio sottolineano la necessità di andare oltre gli obiettivi di conservazione basati sull’area e sviluppare misure quantitative per migliorare i risultati di conservazione nelle aree protette, in particolare nelle aree ad elevata insicurezza alimentare e biodiversità».

Il 2021 sarà uno storico “Year of Impact” per la tutela della biodiversità terrestre e marina e  molti paesi e agenzie internazionali stanno preparando i nuovi obiettivi decennali per la conservazione della biodiversità che prevedono la tutela del 30$ del pianeta, sia a terra che a mare.

I ricercatori evidenziano: «Poiché i Paesi mirano a raggiungere questi obiettivi e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile 2030, vi è una crescente necessità di comprendere le sinergie e i compromessi tra questi obiettivi al fine di garantire un futuro più sostenibile. Studi come questi offrono spunti per la pianificazione e la gestione delle aree protette, in particolare perché le future aree protette si espandono su una matrice dominata dall’agricoltura».

Anche se lo studio rivela molte sfide che l’umanità e la biodiversità dovranno affrontare in futuro, presenta anche potenziali scenari per il ripristino della biodiversità alle latitudini medio-settentrionali e per la cooperazione tra la conservazione e i programmi alimentari nelle regioni con alti livelli di insicurezza alimentare e biodiversità.

Armsworth ricorda che «Nonostante i chiari collegamenti tra produzione alimentare e biodiversità, la conservazione e la pianificazione dello sviluppo sono ancora spesso trattate come processi indipendenti» E la Vijay conclude: «I rapidi progressi nella disponibilità dei dati offrono interessanti opportunità per riunire i due processi».