Biodiversità a rischio, Mediterraneo osservato speciale

Dossier Legambiente: «Un’emergenza che minaccia anche la nostra sopravvivenza»

[22 Maggio 2020]

Oggi è la Giornata mondiale della Biodiversità, che quest’anno ha come tema “Le soluzioni sono nella natura”, uno sloga che secondo il dossier “Biodiversità a rischio” di Legambiente ci ricorda quanto le attività antropiche e il mancato rispetto degli equilibri ecologici minaccino non solo le specie animali e vegetali che popolano gli ecosistemi del globo, ma la stessa sopravvivenza dell’umanità. Per questo è fondamentale che il nuovo decennio sia quello della svolta decisiva nella tutela della natura e delle specie. A cominciare dall’Italia, nazione con la più grande biodiversità in Europa, che dovrà fare la sua parte».

Eppure, come sottolinea il Cigno Verde, «Il declino della biodiversità galoppa a un ritmo senza precedenti nella storia dell’uomo. Un’emergenza fra le emergenze che non ammette stalli né minimizzazioni. Il 2020 funestato dal Covid-19 avrebbe dovuto essere l’anno cruciale per il raggiungimento degli obiettivi decennali sulla conservazione della Natura, ma così non è statoin gran parte di essi sono stati disattesi».

Presentando il dossier, il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, ha detto che «Il declino della biodiversità è uno dei maggiori problemi ambientali che l’umanità si trova ad affrontare. Malgrado ciò, la portata e la gravità delle sue conseguenze non sono ancora percepite dal grande pubblico e dalla gran parte dei decisori politici. Eppure quanto avvenuto con il Covid-19 dovrebbe spingerci a una riflessione globale sull’urgenza di tutelare gli ecosistemi. Occorre invertire il paradigma di una Natura che soccombe alle scelte economiche e preservare ecosistemi sempre più fragili e perciò anche meno efficaci nel contenere i salti di specie dietro l’espansione di pandemie come quella in atto. Per questo, dal 2020 l’Italia deve innescare un cambiamento urgente e definire politiche a breve e lungo termine per affrontare il cambiamento climatico, l’inquinamento, l’invasione di specie aliene e tutti gli altri fattori, anche quelli legati alla produzione e al consumo di cibo, che stanno portando a una perdita senza precedenti di biodiversità».

Il nuovo dossier traccia un quadro sullo stato di salute del nostro patrimonio naturalistico a partire dal Mediterraneo, osservato speciale, che «Pur rappresentando lo 0,82% delle superfici marine e lo 0,32% del volume di tutti i mari del globo, il Mar Mediterraneo ospita oltre 12.000 specie marine, tra il 4 e il 18% di tutte le specie marine viventi del Pianeta, moltissime delle quali endemiche. Per il Mare Nostrum le principali minacce sono rappresentate dall’eccessivo prelievo di pesca o sotto forma di by-catch (catture accessorie o accidentali durante pratiche di pesca indirizzate ad altre specie), dallo sviluppo urbano costiero, dall’inquinamento delle acque (tra cui il marine litter) e dalle modificazioni dell’habitat indotte dalle attività̀ umane. Per diverse specie minacciate, come la cernia e lo sgombro, o a rischio come il nasello, è da tenere presente il loro interesse commerciale, che le rende più soggette a pressione e a un potenziale futuro declino».

Il report dedica un focus speciale a squali e delfini: «A fronte di una popolazione di Tursiopi di circa 10 mila individui in un’area che va dal Mar Ligure al Tirreno, dal Canale di Sicilia all’Adriatico, ogni anno sono circa 180 i delfini trovati morti lungo le coste italiane, vittime soprattutto di catture accidentali nelle attività di pesca a strascico o di piccola pesca. Secondo la Lista Rossa del Mediterraneo, almeno il 53% di squali, razze e chimere originarie del Mare Nostrum è invece a rischio estinzione, tra loro palombo e spinarolo. Anche in questo caso tra gli impatti antropici diretti a cui sono maggiormente esposti i pesci cartilaginei ci sono le catture accidentali (o by-catch). Si stima che durante le abituali attività di pesca più dell’88% dei pescatori abbia catturato degli squali, rimasti in vita nel 75% dei casi».

Un quadro preoccupante che si aggiunge a quello tracciato dalle Liste Rosse italiane sullo stato di conservazione di flora e fauna in Italia: nelle Liste coordinate dal Comitato Italiano dell’IUCN, delle 672 specie di animali vertebrati italiani, 6 si sono estinte in tempi recenti: lo storione, lo storione ladano, il gobbo rugginoso, la gru, la quaglia tridattila, il rinofolo di Blasius.  161 specie sono minacciate di estinzione, fra cui lo squalo volpe, l’anguilla, la trota mediterranea, il grifone, l’aquila di Bonelli, l’orso bruno. In pericolo 49 specie tra cui il delfino comune, il capodoglio, la tartaruga Caretta caretta e la gallina prataiola. Anche la flora italiana non è in buona salute: su 386 specie valutate, il 65% di quelle vascolari è infatti da considerarsi minacciato, così come il 55% delle specie non vascolari.

IL dossier fa notare che «Oggi più che mai, le attività dell’uomo hanno un impatto negativo sulla Natura stimato a un ritmo da cento a mille volte più veloce della media di quello degli ultimi 10 milioni di anni (IPBES). Legambiente nel report ricorda che tre quarti dell’ambiente terrestre e circa il 66% dell’ambiente marino sono stati significativamente modificati dalle attività umane. Di natura prevalentemente antropica i fattori responsabili dell’attuale declino di biodiversità: trend demografici quali aumento della popolazione, migrazioni, urbanizzazione, innovazione tecnologica, ma anche trasformazione d’uso del suolo (deforestazione in primis), sovrasfruttamento di risorse vegetali e animali (inclusi caccia e bracconaggio), inquinamento, specie aliene invasive, cambiamenti climatici. Questi ultimi, in particolare, hanno avuto effetti a livello di ecosistema, genetico e di specie, con almeno 20 estinzioni documentate. Senza dimenticare gli effetti “collaterali” della perdita di biodiversità causata dall’uomo: frammentazione e distruzione degli habitat, insieme a cattura e commercio di specie selvatiche, sono infatti correlati al diffondersi di epidemie quali Ebola, SARS e, ultimo, il Covid-19. Perdita di biodiversità significa anche una maggiore esposizione agli effetti dei cambiamenti climatici, che vengono mitigati da torbiere, zone umide, oceani, foreste oggi in grave pericolo. Dal 1700 la Terra ha perso fino all’87% di zone umide naturali; mentre ogni anno vanno distrutti 10 milioni di ettari di foreste, in grado di assorbire il 12-20% delle emissioni di gas serra: foreste da cui dipende la sopravvivenza di 1,6 miliardi di persone, tra cui oltre 2 mila culture indigene».

A preoccupare Legambiente è soprattutto il mancato rispetto degli obiettivi per la biodiversità che dovevano essere realizzati entro il 2020: «Quello in corso avrebbe dovuto essere un anno cruciale per la conservazione della Natura, ma così non è stato, come dimostra il mancato raggiungimento di gran parte degli obiettivi 2011-2020. Nel 2010, infatti, la decima COP (Conferenza delle parti) aveva approvato il Piano strategico mondiale per la biodiversità 2011-2020, prevedendo 20 obiettivi (Aichi biodiversity targets) con 56 indicatori, quadro di riferimento del decennio quasi concluso, per arrestare la perdita di biodiversità entro quest’anno. Ma anche all’interno dell’Unione europea la natura non è ancora pro­tetta, conservata e valorizzata come previsto. Se per 4 dei 6 obiettivi della strategia Ue per la biodiversità 2011-2020 vi sono stati progressi modesti, negli ecosistemi agricoli e forestali la situazione della biodiversità è peggiorata dal 2010 a oggi, mentre soltanto una percentuale ridotta di specie (23%) e habitat protetti (16%) risulta in buono stato di conservazione. L’unico traguardo che probabilmente verrà raggiunto è la tutela di aree marine e terrestri».

Per questo, secondo Legambiente nel decennio appena iniziato  «Sarà fondamentale la volontà dei vari Paesi di definire una strategia post-2020 ambiziosa e misurabile, che contribuisca al raggiungimento dei 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu, e che si integri con gli altri trattati internazionali che hanno un nesso con la biodiversità, incluso l’Accordo di Parigi approvato nell’ambito della Convenzione Onu sui Cambiamenti Climatici».

Il Cigno Verde propone di mettere in campo 10 azioni: ridurre l’impatto climatico sulla biodiversità; incrementare le aree protette e le zone di tutela integrale; migliorare la conoscenza e il monitoraggio della biodiversità; rafforzare la rete Natura 2000 per garantire una migliore tutela e governance della biodiversità; promuovere una gestione integrata della costa, dando piena attuazione alla Strategia marina e favorendo la crescita della Blu Economy, in particolare nelle aree marine protette. E ancora, di migliorare gli ecosistemi agricoli e la tutela dell’agro-biodiversità nelle aree ad alto valore naturale; creare una rete nazionale dei boschi vetusti; contrastare le azioni illecite contro specie faunistiche ed ecosistemi naturali; proteggere gli ecosistemi acquatici e migliorare i servizi ecosistemici dei corpi idrici superficiali; combattere le specie aliene invasive; sostenere l’economia della natura e finanziare la biodiversità e il capitale naturale, prevedendo investimenti nella bioeconomia e agevolazioni per giovani imprese che investono in green jobs.

Antonio Nicoletti, responsabile aree protette e biodiversità di Legambiente, conclude: «Per rendere più forti i nostri ecosistemi serve incrementare la percentuale di aree naturali protette, marine e terrestri, e porsi l’obiettivo di tutelare efficacemente il 30% del territorio nazionale entro il 2030. Importante realizzare aree in cui non siano permesse attività antropiche, limitare il prelievo della fauna ittica attraverso le cosiddette NO-Take Areas (che raggiungono appena lo 0,1% del Mediterraneo) e creare santuari per la biodiversità forestale. Per questo, occorre rimuovere gli ostacoli che frenano la nascita dei Parchi nazionali e delle Aree marine da tempo bloccate. Servono una strategia nazionale che contribuisca a ridurre l’impatto climatico sulla biodiversità, una governance efficace e coerente per la gestione dei siti, un incremento e un migliore impiego delle risorse messe in campo da Governo e Regioni. Non dimentichiamo – conclude – che le aree protette possono dare un notevole contributo all’uscita dell’Italia dalla crisi, valorizzando il ruolo della Natura, sia in termini di servizi ecosistemici sia di cultura e immaginario collettivo».