Bolsonaro: le Ong e le organizzazioni internazionali sfruttano e manipolano gli indios

Indios e quilombole: vuole indebolire i nostri alleati e aprire le nostre terre a minatori e fazendeiros

[3 Gennaio 2019]

Dopo aver affidato con il suo primo decreto la Fundação Nacional do Índio (Funai) e la demarcazione delle terre indigene alla nuova ministro dell’agricoltura Tereza Cristina Correa da Costa  (Democratas), la leader della Bancada ruralista che vuole abolire le terre indigene e appoggia gli attacchi armati alle comunità indigene, il nuovo presidente del Brasile Jair Bolsonaro ha seguito le orme di Vladimir Putin e Matteo Salvini e, in nome del sovranismo, ha attaccato a testa bassa le ONG brasiliane e le organizzazioni internazionali, però colpevoli stavolta non di difendere i migranti ma quelli che sarebbero i veri brasiliani: gli indios. Infatti, in un tweet Bolsonaro ha scritto che «Più del 15% del territorio nazionale è delimitato come terra indigena e quilombole. Meno di un milione di persone vive in questi luoghi isolati del Brasile, sfruttati e manipolati dalle ONG. Integriamo insieme questi cittadini e valorizziamo tutti i brasiliani».

Insomma, sarebbero le ONG che li difendono a sfruttare indios e quilombole (le comunità dei discendenti dagli schiavi afro-brasiliani fuggiti nella foresta), mentre i fazendeiros, i boscaioli abusivi e le industrie minerarie vorrebbero portarli alla civiltà e l’Instituto Nacional de Colonização e Reforma Agrária (Incra) del Funai sarebbe stato il braccio armato di questo complotto di ONG, Onu e contadini senza terra contro il Brasile e la civilizzazione degli indigeni.  Le grandi organizzazioni indigene e dei quilombole hanno già risposto a Bolsonaro di aver capito quale è il suo gioco: vuole indebolire gli alleati degli indios per non avere testimoni durante la prossima invasione violenta e a mano armata delle terre ancestrali dei primi popoli brasiliani.

Secondo i dati della Funai, attualmente in Brasile sono in corso 128 processi di demarcazione che riguardano territori dove vivono più di 120.000 indigeni di diverse etnie e a dicembre Bolsonaro aveva già detto come sarebbe andata a finire: «Abbiamo un’area più grande della regione del Sudeste demarcata come terra indigena. E quale sicurezza c’è per i campi? Oggi, un fazendeiro non può svegliarsi improvvisamente e apprendere, dal suo portiere, che sta per perdere la sua fazenda per una nuova terra indigena». Peccato che di “nuovo” ci sia la fattoria e non certo la terra ancestrale rubata dal fazendeiro agli indigeni…

L’ex candidata alla vicepresidenza del Brasile per il Partido Socialismo e Liberdade (Psol). La leader indigena Sonia Guajajara ha scritto su Twitter: «L0 smantellamento è già cominciato. Il Funai non è più responsabile per l’identificazione, la delimitazione, la demarcazione e la registrazione delle terre indigene. E’ oggi sul Diário oficial da União. Qualcuno ha ancora dei dubbi sulle promesse di esclusione della campagna elettorale?».

Oltre a interrompere i processi di demarcazione già in corso, Bolsonaro ha minacciato anche rivedere il perimetro di alcune terre indigene già delimitate, come Raposa Serra do Sol, nel Roraima, dove vivono circa 20.000 indios, Una terra indigena istituita nel  2005 e confermata nel 2009 dal Supremo Tribunal Federal, una regione molto fertile e con giacimenti di minerali strategici  come il niobio e l’uranio, sulla quale vorrebbero mettere le mani la bancada ruralista e le multinazionali minerarie. Come ha detto Bolsonaro: «È la zona più ricca del mondo. È necessario esplorare razionalmente, e dal  lato degli indios  dare royalties e integrare l’indio nella società». Non si capisce come gli indios potrebbero ricevere royalties  se non avessero più diritti sulla loro terra, si capisce invece la mentalità colonialista e “civilizzatrice” del neofascista che dal primo gennaio governa il Brasile. L’ex ministro del Supremo Tribunal Federal, il costituzionalista Ayres Britto, ha detto a O Globo che la revisione proposta da Bolsonaro sarebbe incostituzionale: «La decisione è diventata definitiva. È stata una decisione storica. Per gli indios è un diritto acquisito. Dopo che lo stato ha pagato un debito storico, di civiltà, non può stornare il pagamento e tornare ad essere un debitore»,

Per Christian Poirier, direttore programmi di Amazon Watch  «L’arrivo del fanatico di destra Jair Bolsonaro alla presidenza del Brasile inaugura un’era pericolosa per i diritti umani, le salvaguardie ambientali e lo stato di diritto nella quarta democrazia mondiale. Il presidente Bolsonaro intende radere al suolo l’Amazzonia e distruggere i diritti degli indigeni, mettendosi al servizio del settore agricolo e minerario brasiliano e internazionale, aiutato e favorito dal capitale straniero. I prossimi mesi si riveleranno fondamentali per dimostrare la capacità dei movimenti sociali brasiliani e dei loro alleati in tutto il mondo di prevenire le proposte di politica più distruttive del presidente Bolsonaro, Amazon Watch sta raddoppiando il suo lavoro in solidarietà con i nostri alleati contro un’agenda che preannuncia conseguenze drammatiche per la foresta pluviale più grande del mondo e per i suoi difensori, nonché per la stabilità globale del clima».

Ricevendo l’incarico di ministro, la Correa da Costa detto in maniera irridente: «Chi vuole disobbedire alla Costituzione?» e ha aggiunto in un’intervista che la delimitazione di nuove terre indigene sarà analizzata da un Consiglio formato da 5 ministri: «Non cerchiamo un problema che non esiste. E’ solo una questione di organizzazione. Tutte le questioni agrarie, come  l’Amazônia Legal, stanno per essere riunite nell’Icra». L’Amazônia Legal comprende ben 9 Stati Brasiliani: Acre, Amapá, Amazonas, Pará, Rondônia, Roraima, Tocantins, Mato Grosso e Maranhão, si estende su 5.016.136.3 km2 (la metà della superficie del Brasile)  dove vivono più di 24 milioni di abitanti, oltre il 12,% della popolazione brasiliana.

In una nota il Funai afferma che «Rispetta la decisione del nuovo governo e continuerà a compiere la sua missione istituzionale del proteggere e promuovere i diritti dei popoli», ma le ONG, con in testa quelle cattoliche (Bolsonaro e molti suoi ministri sono evangelici) non ci stanno e avvertono che in Amazzonia e nelle zone rurali potrebbe esserci un’escalation di violenza, visto che nel 2018 in Brasile sono stati assassinati almeno 24 difensori della terra, 5 dei quali leader indios e quilombola.  Ruben Siqueira, membro del coordinamento esecutivo nazionale Comissão Pastoral da Terra (Cpt) fa notare che «Le politiche e gli organismi per la protezione e la promozione delle popolazioni indigene e delle comunità tradizionali e dell’ambiente sono identificati come ostacoli da questo programma [di governo] .Per sfruttare la ricchezza mineraria, l’acqua, la biodiversità, le fonti energetiche sostenibili, i terreni arabili – le più alte concentrazioni sul pianeta – non possono sottostare alle restrizioni costituzionali stabilite dalla Costituzione federale del 1988. La più grande crisi che affrontiamo è quella della democrazia. Non c’è dubbio che queste misure aumenteranno la violenza nelle aree rurali, questo è avvenuto già a partire dalla campagna elettorale. Perché, da una parte, i grandi agricoltori e minatori si sentiranno legittimati e sostenuti ufficialmente nel continuare ad avanzare in queste aree sotto il controllo di questi popoli e comunità. Dall’altra parte questi popoli non cederanno, resisteranno e cercheranno di riprendersi i loro territori. Il discorso sulla corruzione [in queste entità] è ideologico, selettivo, diretto agli organismi che si vogliono indebolire, neutralizzare. Incra e Funai e Fundação Cultural Palmares seguono  criteri tecnici: primo, gli indici di produttività, secondo, i rapporti storici e antropologici. Il cambio di giurisdizione si propone di modificare i criteri, sottomettendoli a quelli attuali politici ed economici, all’interesse del mercato, ai gruppi economici legati a questo governo».

L’Istituto socio-ambiental, denuncia che «La definizione del ministero dell’agricoltura quale organo responsabile per il riconoscimento dei territori dei popoli indigeni e delle comunità quilombole è un  conflitto di interesse inaccettabile e incostituzionale per la subordinazione dei diritti fondamentali di queste minoranze agli interessi immediati di settori privilegiati dell’agrobusiness,  parte direttamente interessata nei conflitti terrieri attualmente esistenti, e ancora di più se si considera che la leader responsabile di queste tematiche  è la rappresentate dell’Udr [União Democrática Ruralista] e dei grandi proprietari terrieri. Questo indica che la strategia statale non sarà orientata alla pianificazione dell’uso del territorio e alla risoluzione dei conflitti, ma alla concentrazione sulla terra e alla sottomissione degli interessi nazionali agli interessi corporativi».

Secondo Lucia Helena Rangel, antropologa della Pontifícia Universidade Católica de São Paulo e consulente del Conselho Indigenista Missionário (Cimi), il passaggio della demarcazione delle Terre indigene al ministero dell’agricoltura, «Pone fine al dettato costituzionale secondo cui è dovere dello Stato proteggere ed eseguire le demarcazioni, perché ora sarà responsabile di un ministero che ha un conflitto di interessi con la demarcazione: il governo distruggerà i diritti degli indigeni. L’assegnazione delle terre segue criteri tecnici e non è intesa a stabilire un proprietario, perché la terra appartiene all’Unione. Prima che una territorio venga demarcato, viene studiata la storia di quella terra, come vivono gli indios, se il gruppo è stato spostato, come fu dislocato e questo studio stabilisce chi è il “proprietario” di quella terra, senza esserne il proprietario. Dal decreto 1755/96, che sancì il diritto al contraddittorio, i proprietari si erano schierati contro le demarcazioni, ma finora nessuna azione aveva avuto successo».

Nilo D’Ávila, direttore delle campagne di Greenpeace Brasil, ironizza su come Bolsonaro e il  Governo riusciranno a gestire e controllare le ONG che sfrutterebbero e aizzerebbero gli indios e fa notare che «Tutto ciò che riguarda la regolamentazione fondiaria è  integrato in un’entità sola. E sappiamo quali siano i limiti di gestione del ministero dell’agricoltura. La terra indigena è una proprietà dell’Unione, con l’usufrutto per le persone che la abitano. La demarcazione delle terre indigene serve a rendere giustizia a questi popoli, è un diritto precedente. Questo renderà la gestione pubblica un casino, perché diluisce i compiti in diverse entità della federazione».

Ma Bolsonaro ha messo  a guardia delle politiche forestali, ambientali e indigene i rappresentanti  dei maggiori responsabili della deforestazione in Brasile: la Correa da Costa ha il simpatico soprannomedi “Musa del veleno” per aver presieduto una commissione parlamentare che ha approvato norme che permettono di utilizzare senza limiti i pesticidi; il nuovo ministro dell’ambiente, Ricardo de Aquino Salles, ora del Partido Novo (destra neoliberista), a dicembre è stato condannato per imperizia amministrativa: tra il 2016 e il 2017, quando era responsabile del dipartimento ambiente del governo dello Stato di São Paulo presieduto da Geraldo Alckmin (Partido da Social Democracia Brasileira – Psdb), , avrebbe modificato il piano di gestione di un’area di protezione ambientale per favorire una partnership di imprese private. Salles sarà anche a capo dell’ Instituto Brasileiro do Meio Ambiente e dos Recursos Naturais Renováveis (Ibama) che dovrebbe controllare proprio l’impatto ambientale dei progetti privati e pubblici, lo stesso Ibama che all’inizio di dicembre Bolsonaro ha criticato denunciando una presunta «industria multipla» (sic!) dall’Istituto: «Io sono un difensore dell’ambiente, ma non in questo modo sciita, come avviene. Io non ammetterò più che l’Ibama multi a destra e a sinistra, così come fa l’ICMBio [Instituto Chico Mendes de Conservação da Biodiversidade]. Questa festa finirà»  Bolsonaro ha un conto aperto con l’Ibama che in passato gli ha inflitto una multa di  10.000 reais e recentemente ha espresso giudizi che somigliano molto a quelli di Salvini sugli alberelli nell’alveo dei fiumi dopo le tempeste di vento nel nord Italia:  «Quando si tratta di licenze ambientali, [la gente] è costretta a abbattere un albero che sta minacciando di cadere: è una difficoltà ottenere quella licenza. E prende una multa se butta giù quest’albero senza la dovuta autorizzazione. Per esempio, questo disturba quando un sindaco, un governatore, un presidente, vuole fare un lavoro infrastrutturale, una strada. Questo accade molto nella regione amazzonica». Ma lì il problema non è certo l’alberello ma i milioni di alberi che fanno respirare il pianeta e che  Bolsonaro e l’estrema destra brasiliana vorrebbero radere al suolo per far posto a dighe, autostrade, allevamenti di bestiame, campi di soia e mais OGM e miniere.

Una politica che non piace all’Unione europea e a Francia e Germania che hanno già annunciato che se Bolsonaro andrà avanti con i suoi propositi (compreso quello di abbandonare l’Accordo di Parigi sul clima) ci saranno forti ripercussioni nelle già stanche trattative con il Mercosur, al che Bolsonaro ha risposto che «Sottoporre automaticamente il nostro territorio, le nostre leggi e la nostra sovranità a posizioni di altre nazioni è qualcosa che è fuori questione». Cosa che non sembra valere per gli Usa di Donald Trump con i quali lo staff di Bolsonaro sta da tempo concordando le politiche di privatizzazione che consegneranno gran parte dell’economia e delle risorse del Brasile nelle mani di multinazionali statunitensi.