Riceviamo e pubblichiamo

Cinque punti per un bilancio di fine anno sui parchi italiani

«Per ridare una visione e una strategia comune ai parchi, nazionali regionali e Amp, andrebbe rifinanziato il “piano triennale” previsto dalla legge 394 e non più finanziato da una quindicina d’anni»

[30 Dicembre 2019]

Nel 2019  Federparchi  ha compiuto trenta anni  da quando nacque come  coordinamento.  Da allora siamo molto cresciuti e abbiamo fatto tanta strada. Adesso rappresentiamo tutti i parchi nazionali,  quasi tutti quelli regionali e la maggioranza  delle aree marine protette.  Il 2020 sarà l’anno dei “Parchi per il Clima”, uno slogan e un logo che rappresentano un programma di lavoro. Non certo per accodarci a  quella che sembra diventata una moda più piena di annunci che di fatti concreti come dimostra il fallimento della conferenza mondiale di Madrid. In realtà da sempre i parchi danno un grande contributo con azioni concrete a partire dalla tutela del patrimonio vegetale (non solo quello boschivo) e degli ecosistemi in generale. Ma anche con le  attività di educazione ambientale. non  solo quella rivolta alle scuole. Infatti chi visita i parchi entra in contatto con la natura e può apprendere buone pratiche per comportamenti  di vita quotidiana che contribuiscono  al contrasto dei cambiamenti climatici. Ma, ancor più, dentro questo percorso intendiamo collocare tutto il complesso delle nostre azioni previste per il 2020 (turismo sostenibile, mobilità dolce, acquisti verdi, parchi plastic free, e tanto altro) come un ulteriore contributo attivo e dinamico per il contrasto del cambiamento climatico.

2 – Alla fine dell’anno (12 Dicembre) è arrivata la conversione in legge del cosiddetto “decreto clima”. C’è da dire che nel suo iter parlamentare il testo è ampiamente peggiorato, sia in generale, sia per quanto riguarda le aree protette in particolare. Sono infatti sparite alcune norme specifiche che sarebbero state di una qualche utilità.

L’unica misura riguardante le aree protette che ha resistito è stata quella dell’istituzione delle cosiddette Zone Economiche Ambientali (ZEA). Si tratta di zone connesse alle aree protette all’interno delle quali vengono concesse agevolazioni economiche, per azioni che contribuiscano al contrasto ai cambiamenti climatici. Questa è stata sicuramente un’importante intuizione del ministro Costa, che, ricordo, aveva illustrato la sua idea proprio al congresso di Federparchi lo scorso anno. Purtroppo bisogna dire che questa  misura, anche se non è sparita come le altre, è stata notevolmente indebolita nell’iter parlamentare rispetto alla stesura uscita dal ministero. Sopravvivono gli incentivi per le imprese ma spariscono quelli per i cittadini residenti nelle ZEA per  l’efficientamento energetico degli edifici. Inoltre le ZEA sono state  ristrette ai soli parchi nazionali escludendo i parchi regionali e le aree marine protette. Questa è a mio giudizio la cosa più preoccupante perché conferma un trend che tende sempre di più a frammentare  il sistema delle aree protette oltretutto andando a privilegiare quelle che ne hanno meno bisogno, i parchi nazionali.

È lo  stesso criterio utilizzato da parte del ministero per lo stanziamento di 85 milioni per interventi nei parchi per il contrasto ai cambiamenti climatici. È stato un importantissimo provvedimento, dalle potenzialità molto efficaci e mai fatto in precedenza.

È proprio di questi giorni la comunicazione del Ministro che nel 2020 ci stanno ancora ulteriori importanti risorse a favore delle aree protette,   nuovamente per il contrasto ai cambiamenti climatici, ma anche su altre azioni come la sentieristica . È sicuramente un’ottima occasione per recuperare e finanziare l’intero sistema.

Un’ultima chiosa sulle ZEA ho visto che da parte di qualcuno sono state espresse preoccupazioni di carattere ambientale perché incentivi alle imprese potrebbero spingere al diffondersi di attività non compatibili con le finalità dei parchi. Da questo punto di vista mi sento di tranquillizzare ampiamente: le regole del parco sono sempre quelle, se un’attività è consentita oggi si può fare senza incentivi, se non è consentita anche con gli incentivi non si può fare…

3 – Nel 2019 c’è stato un deciso miglioramento  sui temi della governance. Ad Aprile erano tredici i  parchi nazionali senza presidente; adesso ne restano tre, perché tra agosto ed ottobre il ministro Costa ne ha nominati 10. Tutto sommato è un bilancio positivo anche se non siamo a pieno regime. Lo stesso non  si può dire per i direttori. Sono 10 i parchi  che ne sono privi, in 4 di questi dipende dai parchi che non hanno ancora definito le terne all’interno delle quali il Ministro sceglie, 2 sono senza consiglio e quindi impossibilitati a fare la terna, 3 hanno inviato le terne e si attende la scelta del ministro. Infine  uno è stato nominato da agosto ma non ha ancora preso servizio. Critica anche la situazione dei consigli 13 hanno il consiglio incompleto 2 non lo hanno proprio ed altri 7 sono completamente scaduti il 29 Dicembre, lasciando solo il presidente.

Ecco, penso che sistemare la governance anche con provvedimenti normativi che rendano le nomine più semplici (è la stessa storia che si ripete da quando esiste la legge 394/91 quasi 30 anni) per i parchi nazionali sia sicuramente più importante di ulteriori risorse economiche.  Anche perché se arrivano risorse e non c’è una governance completa si corre il rischio di non riuscire a spenderle…

La Corte dei Conti ha rilevato di recente  una difficoltà nella spesa dei parchi nazionali e una carenza importante di entrate proprie:  su questo gli enti devono lavorare di più ma vanno anche messi nelle condizioni di farlo. Su questo abbiamo avviato un’azione mirata – di stimolo, efficientamento, dinamicizzazione – che coinvolgerà tutti i parchi, per arrivare a costruire una capacità gestionale più efficace e puntuale.

4  – I parchi regionali a differenza dei nazionali,  vivono  una fase critica  per i finanziamenti, anche con alcuni paradossi. Ci sono regioni che, pur avendo aree protette importanti  e strutturate con enti gestori, quando approvano il bilancio di previsione  mettono per i parchi regionali zero risorse! E non sto parlando di parchi “sulla carta” ma di parchi strutturati con presidenti, consigli, direttori e dipendenti!

Poi, e questo è decisamente bizzarro, in fase di assestamento di bilancio, che avviene solitamente a novembre, assegnano le quote  ai loro parchi regionali spostando i fondi da altri capitoli dove ci sono somme non spese! . E’ un assurdo che mette in seria difficoltà chi deve gestire un’area naturale protetta specie se di notevoli dimensioni. Ed in pratica è un’ammissione di aver sbagliato a fare il bilancio regionale mettendo risorse dove non servivano e non mettendole dove era indispensabile metterle. In ogni caso i fondi che mediamente le regioni mettono a disposizione dei parchi sono molto basse, a differenza di quelle che mette a disposizione il ministero dell’Ambiente per i parchi nazionali. Nonostante questo molto parchi  regionali svolgono attività encomiabili nel campo della conservazione e della  gestione del territorio.

5 – Concludo questa riflessione con le “cenerentole” del sistema, le Aree Marine Protette. Molte sono riconosciute dagli organismi internazionali come eccellenze  nel Mediterraneo, sia per conservazione che per gestione; sono tanti i progetti europei, soprattutto  Life, che vi si svolgono. Eppure questi luoghi incantevoli hanno dei finanziamenti ridicoli da parte dello stato e trovano risorse attraverso il contributo di tanti altri soggetti (enti locali, regioni, UE etc).  Basterebbe veramente poco per garantire nuova linfa e dinamicità alle AMP, il finanziamento medio che viene accordato ad uno dei 23 parchi nazionali da solo raddoppierebbe quasi il finanziamento statale per le AMP. Non so perché ma nei miei anni di Federparchi ho fatto questa richiesta a 6 ministri ed almeno ad una cinquantina di parlamentari ma senza mai trovare una soluzione. Perché la sostenibilità, la  tutela della biodiversità e le buone pratiche per i mutamenti climatici valgono anche per il mare, come hanno dimostrato le più che positive esperienze che hanno visto insieme AMP e pescatori per  il rilancio della piccola pesca artigianale. Non un ritorno al passato, ma una nuova visione del futuro.

Per ridare una visione e una strategia comune ai parchi, nazionali regionali e Amp, andrebbe rifinanziato  il “piano triennale” previsto dalla legge 394 e non più finanziato da una quindicina d’anni. Ciò  consentirebbe un reale coordinamento fra le aree protette e una efficace integrazione fra i nazionali regionali ed aree marine protette. Faccio un esempio: recentemente in Abruzzo un’orsa è morta investita da un’auto mentre attraversava una strada  nella zona esterna al parco. Un incidente fatale e pericoloso anche per gli uomini.  Consideriamo che l’orso marsicano  è uno degli elementi più importanti per la  conservazione in Italia e va  fatto un plauso al   PNALM grazie  al quale questa sottospecie a rischio d’estinzione conserva ancora una popolazione vitale. Per migliorare le strategie di prevenzione e tutela – degli orsi e degli uomini – occorrono azioni coordinate non solo tra i parchi nazionali, ma fra tutte  le aree protette appenniniche dove la specie è presente, così come  serve  rinforzare il coordinamento con gli enti territoriali  che intervengono nelle zone esterne ai parchi. Questa era la finalità per cui era stato previsto il piano triennale è che sarebbe tanto bene rifinanziare.

di Giampiero Sammuri, presidente Federparchi