Coronavirus Covid-19: proteggere le grandi scimmie durante le pandemie umane

A forte rischio i nostri parenti più vicini, a cominciare dagli oranghi di Tapanul e dai gorilla di montagna

[26 Marzo 2020]

In una lettera pubblicata su Nature, Thomas Gillespie dell’ Emory University di Atlanta e Fabian Leendertz del Robert Koch Institute di Berlino, entrambi a nome anche dei cofirmatari del Great Ape Health Consortium, chiedono un’azione urgente per proteggere i nostri parenti viventi più stretti, le grandi scimmie, dalla minaccia del coronavirus. Ecco cosa scrivono:

«La SARS-CoV-2, il coronavirus responsabile dell’attuale pandemia di COVID-19, è anche una minaccia per i nostri parenti viventi più vicini, le grandi scimmie. Come principali esperti di conservazione e salute di questi animali, esortiamo i governi, i professionisti della conservazione, i ricercatori, i professionisti del turismo e le agenzie di finanziamento a ridurre il rischio di introdurre il virus in queste scimmie in via di estinzione. Possono farlo applicando le linee guida sulle buone pratiche dell’International Union for Conservation of Nature per il monitoraggio della salute e il controllo delle malattie nelle popolazioni di grandi scimmie (vedi go.nature.com/3b1bq9k ). Non è noto se la morbilità e la mortalità associate alla SARS-CoV-2 nell’uomo siano simili nelle scimmie. Tuttavia, la trasmissione alle scimmie persino di patogeni umani lievi può portare a risultati che vanno da moderati a gravi (LV Patrono et al. Emerg. Microbes Infect. 7 , 1–4; 2018). Nella situazione attuale, raccomandiamo di sospendere il turismo delle grandi scimmie e di ridurre la ricerca sul campo, fatte salve le valutazioni del rischio per massimizzare i risultati di conservazione (ad esempio, il bracconaggio potrebbe aumentare con un minor numero di persone nelle vicinanze). Tali sforzi dovrebbero includere modi per compensare la perdita di guadagno derivante dal turismo, avendo cura di non interferire con il lavoro per salvare vite umane».

Mentre molti virus, batteri e parassiti circolano nelle grandi scimmie senza causare danni, alcuni sono noti per causare malattie negli esseri umani. Precedentemente alcuni studi avevano dimostrato che gli scimpanzé possono contrarre il comune virus del raffreddore, mentre si ritiene che in Africa il virus Ebola abbia ucciso migliaia di scimpanzé e gorilla.

Le principali minacce per le grandi scimmie restano la perdita di habitat e il bracconaggio sono grandi minacce, ma anche i virus preoccupano e gli scienziati del Great Ape Health Consortium dicono che l’attuale epidemia di COVID-19 esige la massima cautela, visto che per alcune specie e popolazioni di grandi scimmie le malattie infettive sono ora elencate tra le prime tre minacce per la loro sopravvivenza.

Uno dei co-firmatari della lettera pubblicata su Nature, Serge Wich della Liverpool John Moores University e dell’università di Amsterdam, ha detto in un’intervista a BBC News che «Non sappiamo quale sia l’effetto del virus su di loro e questo significa che dobbiamo assumere il principio di precauzione e ridurre il rischio che possano prendere il virus. Questo significa fermare il turismo, il che sta già accadendo in diversi Paesi, ridurre la ricerca, essere molto cauti con i programmi di reintroduzione, ma anche, potenzialmente, fermare le infrastrutture e i progetti estrattivi negli habitat delle grandi scimmie che portano le persone a stretto contatto con le grandi scimmie e quindi, potenzialmente, diffondono a loro questo virus. E’ necessaria una valutazione dettagliata di tutti i progetti negli habitat delle grandi scimmie per valutare quali sono i rischi. Per le specie con un numero basso come l’orangutan di Tapanuli, una diffusione del virus potrebbe potenzialmente avvicinarle all’estinzione».

L’orangutan Tapanuli (Pongo tapanuliensis) è stato “scoperto” solo nel 2017, vive in una piccola area nell’isola di Sumatra in Indonesia e in natura è ridotto a ormai circa 800 esemplari. Wich è uno degli scienziati che ha confermato che si trattava di una specie fino ad allora sconosciuta alla scienza e distinta sia dall’orangutan di Sumatra (Pongo abelii) che da quello del Borneo (Pongo pygmaeus).

Attualmente nel mondo vivono 4 tipi di grandi scimmie divise in diverse specie e sottospecie: gorilla, bonobo e scimpanzé in Africa e orangutan nel sud-est asiatico. Sono strettamente imparentate con noi esseri umani, visto che condividiamo un antenato comune risalente a diversi milioni di anni fa.

Il Parc National des Virunga, nella Repubblica democratica del Congo ha chiuso fino al primo giugno proprio per limitare il contatto con i gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei) in via di estinzione per proteggerli dalla pandemia di coronavirus e lo stesso ha fatto il Development Board del Rwanda che ha sospeso le attività turistiche e di ricerca con primati nei parchi nazionali di Gishwati-Mukura, Nyungwe e dei Vulcani.

Grazie a queste aree protette e a quella confinante in Uganda i gorilla di montagna sono riusciti ad evitare di estinguersi, come ormai sembrava essere il loro destino a causa del bracconaggio e dei conflitti armati. La Lista Rossa dell’Iucn ha spostato questa sottospecie dalla categoria a rischio di estinzione a quella di minacciata perché i gorilla di montagna sono passati dai 680 nel 2008 a oltre 1.000 esemplari nel 2018.

Cath Lawson, responsabile conservazione per l’Africa del Wwf UK, ha sottolineato che I recenti aumenti del numero dei gorilla di montagna potrebbero rapidamente invertirsi se si introducesse la malattia, quindi la protezione è fondamentale in questo momento critico. I gorilla di montagna sono noti per essere sensibili ad altre malattie respiratorie umane, quindi dobbiamo presumere che siano sensibili al virus che causa la malattia Covid-19 nell’uomo. Questo significa che in questo momento, ridurre al minimo l’interazione gorilla uomo-montagna e l’opportunità di trasmissione della malattia, è la priorità».

Il rischio però e che il ritiro dei ranger da queste aree a causa del i confinamenti per coronavirus potrebbe lasciar via libera ai bracconieri e ai minatori e boscaioli abusivi, mettendo i gorilla ancora più a rischio.

Il Wwf, che fa parte dell’International Gorilla Programme, ricorda che «Le entrate di migliaia di turisti che vanno a vedere i gorilla hanno sostenuto le economie locali e nazionali nei Paesi in cui si trovano e hanno contribuito a trasformare gli atteggiamenti del governo nei confronti della conservazione. Attualmente, nei parchi si sta attuando solo un monitoraggio essenziale, utilizzando gli approcci previsti dalle buone pratiche come mantenere una distanza di 10 metri e indossare mascherine».