Educazione ambientale, Legambiente: il bando del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano è un pasticcio ottocentesco

Quel che emerge è l’immagine di un Parco Nazionale del tutto incapace di pensare e progettare una politica di educazione ambientale rivolta in primo luogo al nostro territorio ed ai cittadini elbani e dell’Arcipelago

[18 Aprile 2018]

Il bando “Gestione di Centri di Educazione Ambientale e servizi di informazione e accoglienza turistico-naturalistica, prenotazioni e vendita servizi turistici, bookshop e gestione eventi” del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano mischia le pere con le mele ed esprime una preoccupante concezione ottocentesca dell’educazione ambientale, confondendola in maniera evidente con il turismo ambientale, indicando per lo scopo strutture inadatte come le ex case del Parco e svilendo la funzione e le potenzialità dell’unico vero possibile Centro di Educazione Ambientale: quello delle Dune di Lacona, per la cui salvaguardia il movimento ambientalista elbano ha dato tanto, anche in progetti e idee. Eppure in Italia non mancano, anche in altri parchi, esempi di educazione ambientale di grande rilievo ed efficacia, come sa certamente il presidente del Parco che è anche presidente di Federparchi.

La concezione di educazione ambientale che emerge dal bando è vecchia di quasi mezzo secolo: superata 41 anni fa, nel 1977,  quando a Tblisi (ancora Unione Sovietica) si svolse la prima Conferenza internazionale interamente dedicata all’Educazione Ambientale, che approvò la Dichiarazione Unesco/Unep, diventata il punto di riferimento ineludibile di chi lavora in campo educativo ed ha a cuore l’ambiente. In Georgia i leader mondiali, che cominciavano a capire la gravità dei problemi ambientali che incombevano sul nostro pianeta, tracciarono le linee guida di un’Educazione Ambientale che doveva assolutamente essere «globale, multidisciplinare, impartita a tutte le età e ad ogni livello di educazione (formale e non formale), rivolta a tutta la comunità, capace di connettere la conoscenza all’azione attraverso un processo di assunzione di responsabilità, stimolo per la presa di coscienza individuale» e «dare il senso di continuità che collega l’atto di oggi alle conseguenze di domani». Nei successivi 40 anni ci sono state innumerevoli ricerche, sperimentazioni, dichiarazioni, leggi e, anche se con un ritardo decennale, l’Italia ha seguito quel processo virtuoso producendo, a partire dalla fine degli anni ’90  la grande e feconda stagione del Sistema Infea, con risultati formativi e culturali notevoli che vengono ora copiati nei Paesi emergenti e in via di sviluppo.

Il Bando del PNAT ignora evidentemente anche la famosissima ricerca pubblicata dal Cirea – Centro Italiano di Ricerca ed Educazione Ambientale dell’Università di Parma – che nel 1985/86 fotografava lo stato dell’arte in Italia, sottolineando la sostanziale inefficacia delle azioni di “Educazione Ambientale” intraprese fino ad allora nel nostro Paese e basate su 4 caratteristiche superate: Lezioni teoriche; Gite in natura; Prediche ambientaliste; Catastrofismo. Basandosi su dati e cattivi risultati, il Cirea diceva già 32 anni fa che  tutto quel che si era fatto fino ad allora, con un approccio antiquato all’educazione ambientale, «non serve assolutamente a niente se quello che si vuole ottenere è il cambiamento dei comportamenti (e quindi, a monte, delle competenze e delle convinzioni) necessario al cambiamento del modello di sviluppo».

Proprio a partire dalla ricerca Cirea si attivò anche il mondo ambientalista italiano: scuole, Regioni, Provincie, Parchi ed Aree Protette, associazioni ambientaliste, aziende e Cooperative verdi hanno dato vita ad un ampio movimento che si è formato, informato, ha sperimentato portando avanti progetti e modelli di educazione ambientali non banali, in linea con le ormai antiche linee guida di Tblisi e con tutti i loro moderni aggiornamenti. Modelli che sono disponibili per tutti quelli che vogliano fare un’Educazione Ambientale che sia degna di tale nome.

Ora, corre l’anno 2018, il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano produce un bando da 1.808.060 euro di base di finanziamento nel quale circa il 75% delle risorse è destinato direttamente a servizi turistici (Gestione dei due Infopark, delle visite al Volterraio, delle visite guidate sul territorio, dei servizi turistici nelle isole minori), un ulteriore 15% a eventi o istituti che potrebbero forse avere un taglio un po’ più culturale, anche se sicuramente niente che abbia a vedere con la moderna concezione di educazione ambientale  (Forte Inglese e Museo di Pianosa) ed il rimanente pietoso 10% circa ai tre “Centri di Educazione Ambientale” (CEA), dove si  presumerebbe che si facesse appunto Educazione Ambientale secondo criteri scientifici adeguati. Ma, andando a vedere più nel dettaglio, due di questi CEA sono Case del Parco, quindi con uno statuto intermedio tra le prestazioni turistico/informative e quelle culturali e di promozione di eventi; l’ultimo, il tanto atteso CEA di Lacona esito dell’acquisto della relitta porzione dunale e della ristrutturazione dell’Ex Essenza, ha diritto ad un 4% dell’investimento.

E non è finita qui: se si va a vedere nel capitolato relativo al CEA di Lacona, si scopre che il suo orario di apertura sarà «tra il 1° aprile e il 1° ottobre di ogni anno, garantendo la fornitura di servizi di educazione ambientale per almeno quattro giorni alla settimana, comprese festività per n. 6 ore al giorno», e che questi ” servizi di educazione ambientale” sono in realtà:  «servizio di informazione ed accoglienza turistico-naturalistica; vendita servizi turistici del PNAT; un’offerta “outdoor” (escursione naturalistica con Guida Parco a pagamento) una volta alla settimana;  sostegno al “Festival del Camminare ed alla “Settimana Europea dei Parchi”, organizzazione di specifico calendario di promozione in collaborazione con il circuito eventi del Comune di Capoliveri per promuovere l’ambiente e l’offerte turistica del circondario. Ovviamente «l’apertura dovrà essere garantita da personale qualificato in possesso di titolo di Guida Parco».  Siamo fermi a prima di Tblisi.

Le Guide Ambientali sono sicuramente una grande risorsa, ma la loro formazione prevede competenze di conoscenza del territorio, di comunicazione e di conduzione di gruppi: non di progettazione educativa «globale, multidisciplinare, impartita a tutte le età e ad ogni livello di educazione (formale e non formale), rivolta a tutta la comunità, capace di connettere la conoscenza all’azione attraverso un processo di assunzione di responsabilità…». Alcune validissime guide sanno fare anche questo, esattamente per lo stesso motivo per cui alcuni ginecologi sono anche buoni padri o alcuni otorinolaringoiatri cantano bene: storie personali. Per il resto, si tratta di competenze professionali completamente diverse: il Cirea lo sapeva già nel 1985. Al PNAT evidentemente ci debbono ancora arrivare.

Così come deve ancora arrivare a capire che l’Educazione Ambientale è permanente e deve essere rivolta in primo luogo alla popolazione locale, per la quale i CEA debbono essere punti di riferimento culturali: non è chiamando Educazione Ambientale un’offerta turistica stantia o con qualche progettino che organizza per le scuole elbane, “gite in natura” una tantum, che il PNAT assolve il proprio compito educativo.

Quel che emerge dal bando è una scarsa o nulla cognizione dell’Ente Parco riguardo ai criteri base per una efficace politica di formazione, informazione ed educazione ambientale. Un  bando che trasforma i centri di educazione ambientale in una goffa e datata  Agenzia Turistica, connotata puntigliosamente – verrebbe da dire quasi orgogliosamente –  da tutte le rigidità burocratiche che un Ente Pubblico ha inevitabilmente in materia.

Quel che emerge è l’immagine di un Parco Nazionale del tutto incapace di pensare e progettare una politica di educazione ambientale rivolta in primo luogo al nostro territorio ed ai cittadini elbani e dell’Arcipelago, una politica che coinvolga in maniera efficace i nostri giovani, che parli il linguaggio delle nostre imprese sostenibili e che riesca a informare e formare la nostra classe politica, che diventi elemento di trasformazione e cambiamento culturale e di nuova economia.

Quel bando è, per quanto riguarda l’educazione ambientale, un pasticcio indigeribile, che sarebbe bene ritirare e riscrivere insieme a chi l’Educazione Ambientale, quella che cambia i paradigmi ed i comportamenti, la conosce e la pratica davvero tutti i giorni.