Eea: la biodiversità marina europea è ancora troppo sotto pressione. E il Mediterraneo è uno degli hot spot

Dove vengono attuati e monitorati sforzi di gestione coerenti e a lungo termine, si osservano alcuni effetti positivi sulle specie chiave. Ampliare la rete delle aree marine protette

[20 Aprile 2021]

Il nuovo briefing “Europe’s marine biodiversity remains under pressure” dell’European environment agency (Eea) riassume lo stato attuale della biodiversità nei mari europei e ricorda che «I mari d’Europa sono preziosi. La nostra qualità della vita, i mezzi di sussistenza e le economie dipendono dal fatto che siano in buone condizioni. I nostri mari ospitano molte specie, habitat ed ecosistemi. Forniscono inoltre alle nostre società servizi ecosistemici vitali, tra cui cibo, energia, aria pulita e mitigazione dei cambiamenti climatici. Tuttavia, a causa del continuo uso insostenibile dei mari europei, abbiamo alterato il loro ambiente fisico-chimico, i loro habitat ed ecosistemi. La resilienza dei nostri mari si sta erodendo, mentre i loro ecosistemi, habitat, biodiversità e servizi che forniscono sono minacciati in modo significativo». Questo briefing.

I mari europei si estendono su più di 11 milioni di km2 e vanno da mari poco profondi e semichiusi a vaste distese dell’oceano profondo. Ospitano un’ampia e diversificata gamma di ecosistemi costieri e marini con una grande varietà di habitat e specie. E l’Eea sottolinea che «Il Mar Mediterraneo, ad esempio, è uno dei punti caldi del mondo per la biodiversità. I suoi ecosistemi altamente diversificati ospitano fino a circa il 18% della biodiversità marina macroscopica del mondo (Nike Bianchi e Morri, 2000), o potenzialmente oltre 17.000 specie (Coll et al., 2010). In confronto, la baia di Botnia nel Mar Baltico ospita solo circa 300 specie, rendendola vulnerabile ai cambiamenti antropici (HELCOM, 2018a)».

Ma il briefing  evidenzia che «Non importa quante specie ospitano molti ecosistemi marini: riempiono tutte le nicchie ecologiche disponibili. Le specie interagiscono e dipendono l’una dall’altra attraverso le dinamiche della rete alimentare, la competizione per lo spazio o le sinergie reciproche che forniscono riparo o aree di foraggiamento». Insieme, questi organismi sono alla base della capacità di un ecosistema marino di fornire servizi e benefici per l’umanità. Questi servizi essenziali sono i risultati finali degli ecosistemi marini e vengono direttamente consumati, utilizzati o goduti dalle persone e includono cibo, medicinali, materiali da costruzione, energia e opportunità di svago. Ci sono anche vantaggi meno tangibili, come limitare l’erosione costiera o mitigare il cambiamento climatico. «In breve – dice l’Eea – gli esseri umani e le nostre società dipendono da mari sani con una fiorente vita marina per il nostro benessere e, in definitiva, per la nostra stessa esistenza».

Ma i mari europei stanno cambiando rapidamente e la vita marina è minacciata: «L’uso dei mari europei, sia in passato che oggi, sta mettendo a dura prova le condizioni generali degli ecosistemi marini. Ciò mette le aspettative per il loro uso futuro in contrasto con la visione politica a lungo termine per mari puliti, sani e produttivi – si leggeva già nel 2019 in un rapporto Eea – I segni di stress sono visibili a tutte i livelli: dai cambiamenti nella composizione delle specie e degli habitat marini al cambiamento delle caratteristiche fisiche e chimiche generali dei mari».

Il briefing  fa notare che osservando più da vicino le condizioni generali della biodiversità marina in Europa, emergono alcune conclusioni inquietanti: «Quasi tutti i gruppi di specie marine sembrano essere in cattive condizioni nei mari europei, con tendenze di ripresa miste. Per molte specie e habitat, ci sono troppo poche informazioni per analizzare il loro stato o identificare se sono sulla buona strada per il recupero. Mentre alcune specie si stanno riprendendo, gli ecosistemi marini europei sembrano essere in declino. Dalle ultime informazioni riportate ai sensi della Direttiva Habitat, è chiaro che dal 2007la ripresa è stata scarsa. L’unica eccezione sembra essere alcune, ma non tutte, le popolazioni di foche. La condizione delle popolazioni di specie ittiche e molluschi sfruttate commercialmente nei mari europei (per le quali esistono dati sufficienti) ha presentato un quadro contrastante per il periodo 2015-2017. Nel 2017 le condizioni degli stock ittici nell’Oceano Atlantico nordorientale e nelle popolazioni del Mar Baltico hanno iniziato a migliorare. L’82,3% e il 62,5% degli stock di questi mari, rispettivamente, sembrano essere pescati in modo sostenibile. Tuttavia, le condizioni di alcuni singoli stock, come il merluzzo bianco, non hanno iniziato a migliorare in queste regioni. Al contrario, la condizione degli stock ittici valutati nelle popolazioni del Mar Mediterraneo e del Mar Nero rimane critica».  Secondo dati Fao e Unep-Map, «Nel 2016, solo il 6,1% e il 14,3% di questi stock, rispettivamente, è stato pescato in modo sostenibile. Tuttavia, l’Europa non valuta ancora i singoli stock in base ai tre criteri primari identificati nella direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, vale a dire che non abbiamo ancora implementato questa parte delle nostre ambizioni stabilite nel 2008».

Per quanto riguarda la biodiversità, in Europa vivono più di 180 specie di uccelli marini e «Le tendenze medie della popolazione europea di uccelli marini sono stabili o in calo». Nel 2017, la Oslo Convention OSPAR evidenziava che «Nell’Oceano Artico norvegese, nel Grande Mare del Nord e nel Mar Celtico, negli ultimi 25 anni c’è stato un calo complessivo del 20% nelle popolazioni di uccelli marini per oltre un quarto delle specie valutate».

Sebbene il loro status sia spesso “sconosciuto”, le specie di mammiferi marini sono tutte protette dalla legislazione Ue. Alcune popolazioni di foche sono sane e stanno raggiungendo la capacità di carico, come ad esempio le foche nel Kattegat, che però stanno diminuendo in altre aree. Nel complesso, nel periodo 2014-2019, lo stato delle foche era migliorato rispetto ai rapporti 2007-2013 ai sensi della direttiva Habitat. Buone notizie anche per il Mar Mediterraneo, dove il numero di foche monache sembra stabilizzarsi, sebbene questa specie sia ancora a rischio a causa delle sue ridotte dimensioni della popolazione».

Recenti studi (OSPAR 2017) sulle popolazioni europee di orche dimostrano gli effetti negativi dei policlorodifenili (PCB) sulla loro riproduzione, con il 50% della popolazione mondiale minacciata. Al contrario, dal 1994 le popolazioni di balenottera minore, focena comune e lagenorinco rostrobianco sembrano essere stabili.

Nei mari europei, gli habitat dei fondali marini sono sottoposti a una pressione significativa, con un’elevata percentuale di habitat marini profondi protetti che nel 2020 l’Eea segnalava come in stato di conservazione “sfavorevole” e/o “sconosciuto”. In ben l’86% dei fondali marini valutati nel Grande Mare del Nord e nel Mar Celtico ci sono evidenze i disturbi fisici causati da attrezzi da pesca che toccano il fondo. Nel Mar Baltico, solo il 44% dell’habitat del fondale marino e il 29% delle acque costiere e in mare aperto sono in uno stato “buono”.

Ma l’Eea  sottolinea che «Queste cifre impallidiscono rispetto ai risultati di un recente studio (Albano et al., 2021) sull’estinzione catastrofica di specie marine provocata dal clima nell’ultimo decennio nel Mar Mediterraneo orientale. Gli scienziati hanno scoperto che le specie autoctone di molluschi (cozze, lumache, polpi, ecc.) Sono crollate di quasi il 90%, lasciandosi dietro una terra desolata arida sensibile alle incursioni di specie non indigene dal Canale di Suez». Gli scienziati »suggeriscono che questo nuovo ecosistema potrebbe aver superato le soglie che rendono il ripristino delle linee di base storiche non realizzabile».

Quindi, nel suo insieme, la biodiversità nei mari europei resta minacciata e questi risultati sono confermati dai rapporti 2018-2019 ai sensi della direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino e delle direttive sulla natura, nonché dalla ricerca scientifica riassunta dall’Eea in due rapporti del 2020.

Ma l’ dell’European environment agency è convinta che ci sia ancora speranza per la vita marina europea: «Sebbene la situazione rimanga grave, ci sono segni che le specie e gli habitat marini si stanno riprendendo. Ciò è dovuto agli sforzi significativi, spesso decennali, da parte di individui e governi per ridurre gli impatti. In quanto tale, la situazione non è altrettanto grave per tutti i mari europei. La raccolta di tutte le informazioni disponibili in una classificazione integrata della condizione della biodiversità mostra che alcune aree, principalmente offshore, nell’Oceano Atlantico nord-orientale sono ancora in buone condizioni. Tuttavia, le aree costiere e i mari semichiusi devono ancora affrontare sfide significative per quanto riguarda il recupero dell’intero ecosistema. La gestione delle singole specie commerciali può avere successo. Ad esempio, una forte regolamentazione per ridurre la mortalità da pesca ha tolto il tonno rosso dall’orlo del collasso nel 2005-2007. Probabilmente, nel 2022 raggiungerà livelli sostenibili per la mortalità da pesca e la capacità riproduttiva. Ci sono stati anche risultati positivi con il divieto di alcune sostanze. Ad esempio, il buccino Nucella lapillus, un mollusco che vive sul fondo, autoctono della costa norvegese, si sta riprendendo in risposta al divieto di tributilstagno (TBT). Allo stesso modo, ci sono esempi di recupero di altre singole specie grazie a iniziative di gestione mirate come il divieto di PCB e diclorodifeniltricloroetano (DDT). Questo  ha portato al recupero dell’aquila dalla coda bianca in alcune parti del Mar Baltico dopo 35 anni di sforzi. Sebbene questi esempi rimangano frammentati, non solo forniscono insegnamenti  emergenti per il recupero, ma anche un raggio di luce di speranza. L’Ue, se agisce con urgenza e decisione per bilanciare meglio l’utilizzo umano dei nostri mari con i suoi impatti sugli ecosistemi marini, ha ancora la possibilità di ripristinare pezzo per pezzo la resilienza dell’ecosistema marino»

Con la visione delineata nell’Europea Green Deal  e nel quadro politico di sostegno, gli Stati membri dell’Ue non solo hanno riconosciuto l’urgenza di questa azione, ma hanno anche deciso di agire di conseguenza. Questo ha prodotto il quadro politico più ambizioso per il recupero della natura europea mai messo in atto dall’Ue e che punta a invertire la perdita di biodiversità entro il 2030 attraverso una serie di azioni delineate nella strategia Ue sulla biodiversità fino al 2030. Queste azini includono, tra le altre: rafforzare la coerenza della rete delle aree protette; ripristinare attivamente gli ecosistemi a terra e a mare; l’introduzione di misure per consentire il necessario cambiamento trasformativo.

Ma il briefing Eea si conclude ricordando che «Il raggiungimento di queste ambizioni entro il 2030 richiederà: 1. Di basarsi sugli insegnamenti tratti dagli sforzi di gestione esistenti che hanno prodotto miglioramenti per la biodiversità marina; 2. colmare il divario di attuazione per garantire che gli impegni politici esistenti siano rispettati in tempo;  3. colmare il divario di conoscenze per garantire che le misure messe in atto siano efficienti ed efficaci in termini di costi. Invertire la perdita di biodiversità resta una sfida generazionale. L’Europa ha la conoscenza e la capacità per affrontare con successo questa sfida. Con il quadro politico dell’European Green Deal, stiamo ora dimostrando la volontà di intensificare i nostri sforzi per apportare i cambiamenti così urgentemente necessari».