I corridoi ecologici funzionano e attraggono nuove specie (VIDEO)

In 20 anni gli scienziati Usa hanno collegato frammenti di savana di pino a foglia larga

[1 Ottobre 2019]

Prima che gli europei arrivassero in America, le savane di pino a foglia lunga (Pinus palustris) si estendevano su 90 milioni di acri in un territorio che andava dall’attuale Florida fino al Texas e alla Virginia. Di quelle immense foreste oggi ne rimane meno del 3% e quel che resta sono piccoli boschi frammentati e isolati l’uno dall’altro. Il problema è che queste savane alberate sono il rifugio di centinaia di specie animali e vegetali, dalle semplici erbe alla testuggine di Gopher (Gopherus polyphemus), al picchio della coccarda (Leuconotopicus borealis)  in pericolo di estinzione.

La frammentazione dell’habitat è una grave minaccia per la biodiversità, non solo nelle savane di pino a foglia lunga, ma negli habitat di tutto il pianeta, ma ora lo studio “Ongoing accumulation of plant diversity through habitat connectivity in an 18-year experiment” pubblicato su Science da un team di ricercatori statunitensi illustra una nuova e promettente strategia per salvaguardare le specie animali e vegetali messi in pericolo dalla frammentazione degli habitat.

All’università del Wisconsin – Madison, che ha guidato il team di ricerca, spiegano che «Collegando piccoli patch restaurati di savana attraverso corridoi di habitat a un territorio sperimentale all’interno del Savannah River Site nella South Carolina, lo studio che è durato quasi 20 anni ha mostrato nel tempo un aumento annuale del numero di specie vegetali all’interno di frammenti e un calo del numero di specie che scompaiono completamente da essi».

La principale autrice dello studio, Ellen Damschen, professore di biologia integrativa all’università del Wisconsin-Madison, sottolinea: «Sappiamo che la frammentazione e la perdita dell’habitat è il motore numero uno delle estinzioni di specie negli Stati Uniti e in tutto il mondo. Abbiamo bisogno di soluzioni per la conservazione in grado di proteggere le specie esistenti e ripristinare gli habitat perduti»- Insieme a un altro autore dello studio, John Orrock, che insegna anche lui biologia integrativa all’università del Wisconsin-Madison, la Damschen ha confrontato i risultati ambientali con un ambito inaspettato: la finanza. Il team di ricercatori è rimasto sorpreso nello scoprire un aumento annuale del 5% del numero di nuove specie che arrivano o colonizzano i frammenti di foresta di Pinus palustris collegati al corridoio e un calo annuale del 2% nel numero di specie che si estinguono.

La Damschen spiega ancora: «Come l’interesse composto in una banca, il numero di specie aumenta a un ritmo costante ogni anno, con il risultato di una linea di fondo molto più ampia nel tempo negli habitat collegati da un corridoio rispetto a quelli che non lo sono», Durante i 18 anni di studio questo è equivalso a una media di 24 specie in più per ciascun frammento collegato rispetto ai frammenti di controllo dello studio, che non erano collegati da corridoi. Ogni frammento ha le dimensioni di due campi da calcio e i corridoi che li collegano si estendono ciascuno su circa 25 metri per 150.

Orrock conferma: «Come ogni buon investimento a lungo termine, si costruisce nel tempo», ma né lui né la Damschen, né il team di ricerca, si aspettavano di scoprire un tasso annuale di aumento senza segni di rallentamento.

Uno studio a lungo termine sulla conservazione e il ripristino come quello ancora in corso nella South Carolina è raro nel mondo ecologico, in parte perché lo studio controlla l’area e la connessione degli habitat frammentati, mentre la maggior parte degli studi ha esaminato d solo la dimensione dell’habitat.

La Damschen evidenzia che «Dal punto di vista della biodiversità, sappiamo che l’area dell’habitat è importante. Ma dobbiamo anche pensare alla rete dell’habitat rimanente e a come ricollegare le piccole parcelle». Orrock aggiunge: «Dato che non sempre è possibile creare più habitat, quindi collegare l’habitat esistente è un altro strumento della cassetta degli attrezzi per la conservazione».

Lo studio effettuato nel Savannah River Site da un team che comprende anche ricercatori della Michigan State University, dell’università della Florida, dell’università del Colorado – Boulder, di National Science Foundation, Future Earth e George Mason University, è unico anche per la sua longevità e questo è stata possibile solo grazie ai finanziamenti del National Science Foundation Long Term Research in Environmental Biology Program. La maggior parte degli studi ecologici copre un periodo di tempo che va da uno a cinque anni, o il ciclo di vita di una borsa di ricerca, ma lo studio pubblicato su Science dimostra che «i risultati significativi richiedono tempo per accumularsi».

La pensa così anche la direttrice programmi della National Science Foundation Betsy Von Holle: «La forza di questo studio a lungo termine è che le piccole differenze nei tassi di accumulo delle specie hanno un grande impatto a lungo termine. Questo ha importanti implicazioni per la scienza del ripristino della conservazione».

Lo studio è stato realizzato anche grazie alla collaborazione con l’U.S. Forest Service–Savannah River, sotto l’autorità del Department of Energy Savannah River Operations Office, dove vengono ripristinati frammenti e corridoi della savana di pini a foglia larga, il cui habitat si è contratto perché gli alberi sono stati sfruttati per farne legname, catrame e trementina e perché sono stati abbattuti per far spazio all’urbanizzazione.

DeVela Clark, forest manager dell’U.S. Forest Service–Savannah River, è molto soddisfatto: «In qualità di gestori del territorio, inseriamo questi studi a lungo termine nel nostro lavoro quotidiano di ripristino della savana. Ellen e il suo team di ricerca condividono il nostro apprezzamento per il fatto che ricerca e ripristino richiedono una prospettiva a lungo termine».

Un programma di questo tipo, guidato da The Nature Conservancy e dal Virginia Department of Conservation and Recreation Division of Natural Heritage, è in atto anche in Virginia, il limite settentrionale dell’areale storico dei pini foglia larga, per ripristinare le savane e il nuovo studio fornisce risultati che arrivano nel momento giusto per poter prendere decisioni sulla conservazione di quell’habitat.

Brian van Eerden, direttore del Virginia Pinelands Program di The Nature Conservancy, commenta: «Quando si tratta di ripristinare la biodiversità delle piante, è una corsa contro il tempo, soprattutto di fronte all’accelerazione imposta dai cambiamenti climatici e dalla frammentazione del paesaggio. Abbiamo bisogno della migliore scienza disponibile e di studi su larga scala a lungo termine come questo per informare su come collegare e gestire i nostri territori protetti, per garantire che le specie autoctone abbiano le migliori possibilità di sopravvivere e prosperare».

Il ripristino degli habitat è ormai una priorità in tutto il mondo: all’inizio di quest’anno, l’Onu ha dichiarato il 2021 – 2030 il Decennio delle Nazioni Unite per il ripristino degli ecosistemi, con la speranza di eliminare i gas serra in eccesso, migliorare la sicurezza alimentare e i rifornimenti di acqua dolce e proteggere gli habitat essenziali per gli esseri umani e per gli animali.

La Damschen conclude: «Fare esperimenti sulle conseguenze della perdita e della frammentazione degli habitat su una scala realistica è incredibilmente difficile perché quando si guarda un territorio reale, accadono molte cose contemporaneamente. C’è bisogno di un forte esperimento che isoli quei fattori indipendenti – come dimensioni, connessione, vicinanza al confine dell’habitat – su una scala rilevante per la conservazione e su una scala temporale significativa. Negli ultimi 20 anni abbiamo avuto questa opportunità».

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