Il Covid-19 potrebbe infettare alcuni mammiferi marini. Sensibilità al virus uguale o superiore a quella umana

Il pericolo per delfini, beluga, foche e lontre marine viene dalle acque reflue che scarichiamo in mare

[16 Novembre 2020]

Alcune specie di cetacei, foche e altri mammiferi marini in via di estinzione potrebbero essere vittime dell’infezione da Covid-19 a causa delle acque reflue e degli scarichi delle imbarcazioni che immettiamo nei loro habitat marini. A dirlo è lo studio “Pandemic danger to the deep: The risk of marine mammals contracting SARS-CoV-2 from wastewater”, pubblicato su Science of The Total Environment da un team interdisciplinare di ricercatori canadesi della Dalhousie University, che ha scoperto che alcuni animali sono molto sensibili a il virus.

Nello studio, il team canadese descrive come ha utilizzato la mappatura genomica per determinare quali mammiferi marini sarebbero vulnerabili a SARS-CoV-2, il virus che causa il Covid-19: i ricercatori hanno esaminato gli amminoacidi chiave ai quali si lega il virus e hanno scoperto che c’erano sorprendenti somiglianze tra quelli presenti negli esseri umani e in diversi mammiferi marini, inclusi delfini, beluga, foche e lontre marine.

Il coordinatore dei ricercatori. Graham Dellaire, il direttore della ricerca al Dipartimento di patologia della facoltà di medicina della Dalhousie, che per prevedere la suscettibilità di una specie di mammifero marino alla SARS-CoV-2ha utilizzato un approccio di modellazione, ha scoperto che «Almeno 15 specie di mammiferi marini erano suscettibili all’infezione da SARS-CoV-2 a causa dei loro recettori ACE2, la proteina fondamentale necessaria affinché il virus possa entrare e infettare la cellula. E’ importante sottolineare che più della metà delle specie determinate a essere vulnerabili alla SARS-CoV-2 sono già a rischio a livello globale. Molte di queste specie sono minacciate o in grave pericolo. In passato, questi animali sono stati infettati da coronavirus correlati che hanno causato sia malattie lievi che danni al fegato e ai polmoni potenzialmente letali».

Secondo il team di ricerca, «La maggior parte delle specie di balene, delfini e focene – 18 su 21 – hanno la stessa o maggiore suscettibilità al virus degli esseri umani, mentre si prevede che anche 8 specie di foche su 9 siano altamente sensibili alla SARS-CoV- 2».

Il principale autore dello studio, Saby Mathavarajah, ha evidenziato che «La nostra principale preoccupazione è per i Paesi in via di sviluppo, dove esiste già una disparità nella salute pubblica e nelle infrastrutture di trattamento delle acque reflue necessarie per gestire la crisi di Covid-19. Il monitoraggio delle specie sensibili in queste aree ad alto rischio in tutto il mondo sarà utile per proteggere la fauna selvatica durante e dopo la pandemia».

Gli studi hanno dimostrato che la SARS-CoV-2 viene escreta nelle feci e può sopravvivere in acqua fino a 25 giorni, aumentando la possibilità che le acque reflue forniscano una modalità di diffusione separata per questo coronavirus, «Come è successo in Spagna, Italia e Francia  – fanno notare i ricercatori – dove il virus è stato rilevato nelle acque reflue non trattate. Ad esempio, in Italia, la SARS-CoV-2 è stato recentemente rilevato in acque reflue non trattate, mentre a Parigi è stato dimostrato che le alte concentrazioni di SARS-CoV-2 RNA nelle acque reflue tra marzo e aprile 2020 erano correlate a un picco di morti per Covid -19 circa sette giorni dopo. A giugno, la SARS-CoV-2 è stata rilevata anche nell’acqua di un fiume in Ecuador, dove le acque reflue non trattate vengono immesse direttamente nelle acque naturali».

In molte aree c’è almeno un trattamento primario dei reflui, ma in determinate condizioni i sistemi fognari possono andare in tilt, portando alla tracimazione di acque reflue non trattate direttamente nei corsi d’acqua dove vivono mammiferi vulnerabili. Anche le acque reflue che subiscono solo un trattamento primario – e i casi non mancano nemmeno in Italia – hanno dimostrato di avere livelli rilevabili di SARS-CoV-2 RNA. Le acque reflue che hanno avuto solo un trattamento primario possono essere rilasciate da bacini di sedimentazione, un rischio che i ricercatori hanno identificato come un potenziale problema in Alaska, dove i beluga potrebbero essere infettati dalle acque reflue che vengono immesse nei corsi d’acqua direttamente dai sistemi di lagunaggio locali.

Un altro autore dello studio, Graham Gagnon del Dipartimento di ingegneria civile e delle risorse della Dalhousie, che ha lavorato sullo studio con la collegaAmina Stoddart, spiega che «Negli ultimi mesi il nostro laboratorio si è concentrato sul rilevamento della SARS -CoV-2 nelle acque reflue per aiutare a comprendere i risultati riguardanti la salute pubblica. Tuttavia, questo studio ha contribuito a mettere in luce una preoccupazione ambientale potenzialmente significativa delle acque reflue non trattate».

Ad oggi non ci sono stati casi documentati di SARS-CoV-2 nei mammiferi marini, ma in passato sia i delfini che i  beluga sono stati infettati da coronavirus simili. E, dato che la maggior parte dei mammiferi marini è sociale, è anche possibile che i coronavirus si diffondano tra gli animali attraverso un contatto stretto. «Quindi – dicono i ricercatori – un animale infetto potrebbe minacciare intere popolazioni».

Gli autori dello studio suggeriscono che, per capire se vengono infettati dal Covid-19 – gli animali suscettibili potrebbero essere monitorati attraverso innovazioni come il campionamento con lo SnotBot, un drone in grado di prendere campioni di muco dello sfiato dei cetacei, e propongono persino di vaccinare questi animali. Raccomandano inoltre di limitare le interazioni tra persone e animali negli zoo per proteggerli dalla potenziale esposizione al virus.

I ricercatori della Dalhousie University concludono: «I sistemi di trattamento delle acque reflue dovrebbero essere valutati per garantire che possano arginare la trasmissione del virus delle acque reflue ai sistemi idrici naturali. Data la vicinanza degli animali marini agli ambienti ad alto rischio in cui è probabile la diffusione virale, dobbiamo agire con lungimiranza per proteggere le specie di mammiferi marini che si prevede siano a rischio e mitigare l’impatto ambientale della pandemia da Covid-19».