Il Sud Sudan e la guerra infinita per le risorse e alla natura e alle persone

Sintesi paese: Sud Sudan. Lo scenario, le principali questioni ambientali e la risposta internazionale e nazionale

[12 Gennaio 2021]

Cominciamo oggi, con una prima introduzione al più giovane Paese dell’Africa e alla sua travagliata storia, uno speciale in tre puntate dedicato alla guerra “civile” in Sud Sudan e alle sue conseguenze ambientali e per la protezione della fauna selvatica.

Si tratta di un eccezionale lavoro di Adrian Garside pubblicato da Conflict and Environment Observatory (CEOBS) che, come la bozza dei principi dell’International Law Commission sulla protezione dell’ambiente in relazione ai conflitti armati, esamina le diverse opportunità per la conservazione della fauna selvatica “prima, durante e dopo” la più recente guerra civile nel Sud Sudan.

Adrian Garside ha fondato il Western Equatoria programme di  Fauna & Flora International nel 2011 e ha trascorso gran parte degli ultimi 10 anni lavorando nel pericoloso confine tra risorse naturali, conservazione della fauna selvatica e conflitti armati in Sud Sudan.

 

Lo scenario

Il Sud Sudan, 644.000 Km2, ha una popolazione stimata (in tempo di pace) di 11,5 milioni di persone. Nella terza guerra civile sarebbero morte almeno 380.000 persone, i rifugiati interni sono 1,5 milioni, la popolazione in grave insicurezza alimentare è di 4,5 milioni. I Paesi vicini ospitano 2,3 milioni di profughi sud-sudanesi.

La prima guerra civile del Sudan iniziò nel 1955, l’anno prima della sua indipendenza. La prima e la seconda guerra civile sono costate circa tre milioni di vite e alla fine hanno portato alla secessione del Sud Sudan nel 2011. Il Sud Sudan sta ora uscendo provvisoriamente da una terza guerra civile, la prima come nazione indipendente, nella quale gli ex ribelli sono diventati i custodi della ricchezza naturale del Paese. Una guerra a bassa tecnologia che ha provocato alti livelli di violenza contro i civili, causando enormi sfollamenti di popolazione e una carestia provocata dall’uomo.  Al centro della guerra civile c’era e c’è il controllo del territorio per sfruttare le risorse naturali che finanziano il conflitto e garantire l’equilibrio del potere.

Se, grazie al recente accordo di pace ottenuto anche grazie all’intervento di Papa Francesco, la guerra civile tra le due fazioni del Sudan People’s Liberation Army (SPLA) che ha portato all’indipendenza il Paese sembra conclusa nella capitale Juba, in buona parte del resto del Paese continuano violenti scontri tribali e gli antagonismi subnazionali, mentre alcune fazioni  ribelli non hanno deposto le armi.

Principali questioni ambientali

Dopo decenni di sottosviluppo e guerra, le minacce ambientali in Sud Sudan vanno dall’estrazione mineraria non regolamentata, al disboscamento illegale e all’inquinamento da petrolio, ma ci sono anche vaste aree di territorio naturale quasi incontaminato, compresa la più grande zona umida dell’Africa.

Nell’allora Sudan unito, il petrolio è stato scoperto nel 1978 e il suo controllo ha provocato due guerre civili inframmezzate da una pace armata. Il Sud Sudan, senza sbocco al mare. ha le terze riserve petrolifere più grandi dell’Africa subsahariana, rendendolo un partner chiave per il progetto del corridoio Lamu Port-South Sudan-Ethiopia-Transport  (LAPSETT) per portare il petrolio verso sud. Ma a nord gli oleodotti del Sud Sudan arrivano già al Mar Rosso per raggiungere le raffinerie in Sudan (in gran parte sotto controllo cinese).

Il petrolio rappresentava il 60% del PIL del Sud Sudan e il livello massimo di estrazione aveva raggiunto i 350.000 barili al giorno. La durata delle risorse petrolifere è stimata in soli 15 anni e l’indice di progresso sociale nel 2020 era il 163esimo si 163 Paesi censiti.

La secessione del Sud Sudan ha avuto un enorme impatto sull’economia del Sudan ed è stato sicuramente un importante fattore nella caduta della trentennale dittatura del presidente sudanese Omar Hasan Ahmad al-Bashīr nel 2019.

In Sud Sudan il controllo politico degli Stati petroliferi è stata una delle principali cause – insieme a radicati odi etnici – dell’ultima guerra civile tra le fazioni antagoniste dell’SPLA.

Ma la più importante risorsa strategica del Sud Sudan non è il petrolio: è l’acqua. Il Nilo Bianco scorre da sud a nord formando la più grande zona umida africana, il Sudd; alimentata da una rete di importanti affluenti. Il Sud Sudan è membro dell’East African Community della quale fanno parte molti Paesi del  bacino meridionale del Nilo, facendone così un nuovo fondamentale protagonista dei negoziati sul Nilo. Il sistema fluviale dello spartiacque Nilo/Congo fornisce il terreno più fertile del Paese, un potenziale granaio per la regione. Ma l’insicurezza endemica e la mancanza di infrastrutture hanno fatto restare la maggior parte dell’agricoltura al livello di sussistenza. Inoltre, gli agricoltori sud-sudanesi hanno segnalato cambiamenti climatici che influenzano i raccolti stagionali e minacce come le inondazioni che, insieme allaa continua insicurezza, potrebbero continuare a influire sulla sicurezza alimentare.

Dal luglio 2016, il centro della guerra civile si è spostato dagli Stati petroliferi del Nord, ai confini con Sudan ed Etiopia, ai tre Stati meridionali dell’Equatoria (Western, Central ed Eastern Equatoria) ai confini con Repubblica centrafricana, Repubblica democratica del Congo (Rdc), Uganda e Kenya, e l’estrazione illecita di legname e minerali hanno sostituito il petrolio come fonte di finanziamento delle forze governative e ribelli e di quelle tribali.

Gli effetti della guerra civile sud-sudanese si fanno sentire anche oltre i confini del Paese, cion una massa di profughi che crea preoccupazioni ambientali per la deforestazione e competizione per le risorse. Nella Rdc, il Parc National de la Garamba è stato invaso da chi fuggiva dai combattimenti in Sud Sudan e le sue foreste sono diventate un’area dove nascondersi e praticare il bracconaggio per le tutte le forze coinvolte nella guerra sud-sudanese.

Formalmente, circa il 14% del territorio del Sud Sudan è occupato da aree protette in difesa della fauna selvatica, solo lo 0,1% del territorio è edificato, il 4,2% è agricolo l’83% allo stato naturale (il 14% laghi. Fiumi e paludi). Sembra il ritratto di un paradiso naturale e infatti un tempo gli habitat del Sud Sudan erano tra i più ricchi di abbondante biodiversità dell’Africa, ma i parchi nazionali, le Game Reserves e il Wildlife Service sono in gravi difficoltà e gli animali selvatici sono stati decimati per essere venduti come selvaggina. Un altro grosso problema sono le malattie zoonotiche e, nonostante la guerra, è stato fatto un grande sforzo per prevenire la diffusione dell’epidemia di Ebola presente nelle province orientali della Rdc.

Risposta internazionale e nazionale

Il Revitalised Agreement on the Resolution of the Conflict in South Sudan (R-ARCSS) resta la migliore speranza per il Sud Sudan. L’economia del Paese è imprigionata in una spirale discendente fin dall’inizio della guerra civile e l’ulteriore calo dei prezzi del petrolio a causa della pandemia di Covid-19 ha spezzato i sogni del governo di diventare l’Arabia Saudita dell’Africa sub-sahariana. Come se non bastasse, il governo è stato accusato di appropriazione indebita di enormi somme di denaro.

Un passo fondamentale nell’accordo di pace R-ARCSS è la formazione di un esercito nazionale, della polizia e altri servizi di sicurezza che integrino le forze governative e dell’opposizione che si sono combattute fino a pochi giorni fa e che non si sono risparmiate atroci crimini di guerra. Ma con l’economia ridotta in uno stato drammatico, gran parte dei soldati (portandosi dietro le armi) anche se la controversa questione del controllo degli stati, in particolare quelli petroliferi, sembra essere stata risolta.

In Sud Sudan la presenza internazionale è un vero e proprio mosaico fatto da Agenzie Onu e dall’Intergovernmental Authority on Development (IGAD) dellì’Unione Africana.

L’organizzazione internazionale più grande presente in Sud Sudan è l’United Nations Mission in South Sudan (UNMISS), poi ci sono una moltitudine di agenzie, fondi e programmi, altri rappresentanti diplomatici, donatori e la Banca mondiale. Le principali nazioni a fornire aiuti  sono la “Troika”: Stati Uniti,  Regno Unito e Norvegia, che hanno avuto un grosso ruolo nel portare all’indipendenza del Sud Sudan. Inoltre, ci sono circa 120 ONG internazionali e 400 nazionali. Sono tutti alle prese con un partner governativo problematico e intrappolati in un girone infernale fatto di priorità per l’aiuto umanitario, la resilienza sociale e ambientale e salute celle persone.

Un tempo i Paesi vicini godevano facevano buoni affari con il Sud Sudan, ora ospitano moltitudini di profughi causati dalla guerra civile.