Ispra: la caccia in braccata non serve a risolvere il problema cinghiali

Wwf: è la conferma autorevole che la caccia tradizionale non riduce il rischio per coltivazioni e l’incolumità umana

[26 Gennaio 2021]

La Regione Abruzzo aveva chiesto all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) un parere per poter prolungare la caccia al cinghiale fino al 31 gennaio e nel suo parere l’Ispra, pur accogliendo la richiesta di proroga, ha evidenziato sia le forti carenze programmatorie sia la scarsa efficacia delle misure prese dalla Regione Abruzzo per contenere davvero i cinghiali, sia il fatto che la caccia collettiva in braccata – alla quale si affida quasi esclusivamente la Regione – non è uno strumento utile né per contenere la popolazione di cinghiale né per limitare i danni provocati dalla specie e fa notare che difficilmente il prolungamento della caccia al cinghiale «avrà un qualche tangibile effetto nel contenimento dei danni che ci potranno essere tra la primavera e l’estate prossime».

L’Ist pra aggiunge che  « In merito alla necessità di estenbdere il periodo di attuazione della braccata ai fini di limitare gli impatti negativi e le consistenti criticità lamentate in Regione Abruzzo legate alla proliferazione della specie cinghiale, si ritiene opportuno evidenziare che i risultati di una serie di studi, riportati nella recente letteratura scientifica, e i dati derivanti  da diversi contesti italiani suggeriscono che tale forma di caccia modifichi la struttura sociale e genetica delle popolazioni; modifichi il comportamento delle popolazioni, favorendo la produttività delle femmine; possa rappresentare una forma di disturbo ambientale rilevante sia per il cinghiale che per le specie non target; favorisca il rischio di frammentare i gruppi familiari (poiché difficilmente permettono un tiro preciso e selettivo su animali in fuga, soprattutto se inseguiti da segugi), prrovocando un allontanamento incontrollato dei cinghiali; favorisce una maggiore mobilità dei cinghiali verso aree meno disturbate (p.e. nei pressi di ambiti urbanizzati, nelle zone agricole più antropizzate, o nei diversi e numerosi istiturti di protezione disseminati nel territorio), dove aumenta il rischio di danni, di incidenti stradali e di diffusione di malattie infettive portate dalla specie. Per questi motivi, la caccia collettiva in braccata, non ha dimostrato efficacia nel contenere né le presenze di cinghiali né i danni da questi causati là dove, ad esempio, è stata impropriamente utilizzata per effettuare interventi di controllo  ai sensi della L. n. 157/92 o in Istituti di protezione o in periodi diversi da quelli previsti all’art. 18.c. 1, lett. D) della L. 157/92».

Una solenne bocciatura della caccia in braccata che ne conferma non solo l’inutilità ma addirittura la dannosità per contenere le popolazioni di cinghiali, frutto di una gestione venatoria e di introduzioni scellerate di animali ibridati.

Il Wwf Abruzzo fa notare che le motivazioni del parere Ispra sono quelle che più il volte l’associazione ambientalista ha sostenuto e portato all’attenzione delle amministrazioni regionali che si sono susseguite: «La caccia in braccata modifica la struttura delle popolazioni, comporta cambiamenti al ciclo riproduttivo favorendo la prolificità delle femmine, rischia di frammentare i gruppi familiari ed è per questo spesso controproducente rispetto all’obiettivo conclamato di ridurre il numero degli individui e i relativi danni. Favorisce inoltre una maggior mobilità dei cinghiali verso aree meno disturbate come quelle più prossime ai centri urbani o zone agricole più antropizzate, dove aumenta il rischio di danni, di incidenti stradali e di diffusione di malattie portate dalla specie».

Secondo Filomena Ricci, delegata regionale del Wwf Abruzzo, «E’ arrivato il momento di affrontare il problema con dati ed evidenze scientifiche alla mano  e non utilizzare il pretesto dei danni da cinghiale per concedere sempre di più all’attività venatoria ottenendo come risultato solo quello di destabilizzare ulteriormente le popolazioni, come chiaramente afferma anche l’Ispra. In Abruzzo si potrà cacciare il cinghiale fino al 31 gennaio, ma difficilmente i danni all’agricoltura e il rischio di impatto con autoveicoli saranno ridotti e allora a chi giova? Solo a un piccolo gruppo di cittadini che tra l’altro utilizzano una tecnica di caccia invasiva e impattante che crea disturbo anche a molte altre specie di animali».

Gli ambientalisti sottolineano che «Il mondo agricolo, ma anche tutti i cittadini che rischiano gli impatti con gli autoveicoli, hanno il diritto di vedere affrontanti in modo serio le problematiche inerenti le loro attività lavorative e la loro incolumità».

Dante Caserta, vicepresidente del Wwf Italia, conclude: «Il parere dell’Ispra sulla caccia in braccata fa cadere gli assunti delle ultime ordinanze della Regione Abruzzo e di diverse altre regioni secondo i quali l’attività venatoria rappresenterebbe uno stato di necessità per conseguire l’equilibrio faunistico venatorio e limitare il pericolo potenziale per la pubblica incolumità. Questo parere deve essere l’occasione per rivedere gli interventi sul territorio in materia di fauna selvatica e attività venatoria e per aprire un confronto tra le parti che miri davvero a risolvere le problematiche cambiando l’impostazione che per troppo tempo ha considerato la caccia come unica soluzione: questo miope approccio in realtà ha solo peggiorato la situazione sia per la diffusione delle popolazioni di cinghiale sia per la gestione dei danni».