La Giornata Europea dei Parchi: il dilemma di proteggere il 30% di territorio e di mare mentre si tagliano i parchi esistenti

Nicoletti: «Persone sane vivono in ecosistemi sani»

[25 Maggio 2021]

Il declino della biodiversità è uno dei maggiori problemi ambientali che l’umanità si trova ad affrontare. L’impatto antropico ha trasformato il 75% degli ambienti naturali delle terre emerse e il 66% degli ecosistemi marini, messo a rischio almeno un milione di specie animali e vegetali dopo averne cancellato per sempre un numero imprecisato. Appare oramai evidente che la salute e il benessere umano sono strettamente legati alla vitalità e alla resilienza dei sistemi naturali, per questo è importante considerare la salute come un unicum che riguarda la connessione tra la dimensione umana e quella planetaria (One World-One Health).

Per mantenere il Pianeta in equilibrio e proteggere la biodiversità occorre essere più responsabili nell’utilizzo delle risorse naturali, fondamentali per produrre cibo, energia e altri servizi ecosistemici, e poterne fruire per migliorare il nostro benessere. Una responsabilità che chiama direttamente in causa il ruolo delle aree protette che hanno come missione principale la protezione della biodiversità e la tutela del nostro benessere economico e sociale.

Persone sane vivono in ecosistemi sani.

E le aree protette sono a livello globale lo strumento più adeguato per tutelare la biodiversità, prevenire problemi di salute pubblica e promuovere stili di vita sostenibili. I parchi e le aree marine protette hanno, dunque, una ragione in più di esistere, e non solo per proteggere la biodiversità.

Nel nostro Paese le aree protette sono anche un formidabile attrattore turistico e una opportunità di crescita e di sviluppo sostenibile delle comunità interessate, oltre ad essere una delle poche politiche pubbliche fatte su larga scala per tutelare la natura e promuovere lo sviluppo delle aree interne e montane.

Per frenare il declino della biodiversità viene proposto di istituire altre aree protette e tutelare almeno il 30% delle aree terrestri e marine del globo ponendo sotto tutela integrale almeno il 10% di esse entro il 2030. Una richiesta che viene dall’Unione Europea e dagli organismi internazionali che si occupano di conservare la biodiversità (ONU, FAO, IUCN..), e riguarda tutti gli stati aderenti alla Convenzione mondiale per la biodiversità (CBD). Perciò abbiamo poco tempo, meno di un decennio, per raggiungere questo obiettivo che per il nostro Paese significa triplicare la percentuale di aree terrestri protette (attualmente siamo all’11%) e sestuplicare il territorio marino attualmente protetto (appena il 5% di mare e coste tutelate).

Sono dati e percentuali che da quasi un decennio non cambiano, e il Bel Paese vede una lunga lista di aree protette in attesa di essere istituite: quelle necessarie per garantire la tutela di specie e habitat a rischio, quelle richieste da tanti comitati e realtà locali, quelle che sono previste da leggi di qualche decennio fa e che tardano ad arrivare per incapacità di gestire i conflitti politici e/o decidere la cosa migliore da fare. Un ricco campionario di iter legislativi e procedimenti burocratici che si sono infranti sul muro di gomma del Ministero (oggi della Transizione Ecologica) e che sono la cartina di tornasole tra le chiacchiere ed i fatti concreti con cui giudichiamo gli inquilini di quel Ministero. Per non lasciare nel vago il lettore, provo a rifare la lista delle aree protette in attesa di essere istituite che, tra l’approvazione della norma di legge da parte del Parlamento e la sua realizzazione concreta, aspettano mediamente 7/8 anni. Altro che velocizzare la Transizione Ecologica con questi ritmi gli obiettivi al 2030 li raggiungiamo nel prossimo secolo, e se la tendenza è quella del Parco nazionale del Gennargentu o del Parco nazionale Delta Po siamo a 30 anni esatti (entrambi previsti dalla legge 394/91). Ci sono poi casi più “recenti” come il Parco nazionale della Costa Teatina, in terra d’Abruzzo, atteso dal 2001, oppure i Parchi nazionali siciliani (Egadi, Eolie e iblei) attesi dal 2007 e quelli del Matese e Portofino, invece, dal 2017.

Ritardi e improvvisazioni riguardano anche le aree marine protette: dall’Amp della Costa del Conero a quella della Costa del Piceno nelle Marche, l’Amp del Golfo di Orosei-Capo Monte Santu in Sardegna, a quelle di Capo d’Orlando – Grotte Zinzulusa e Romanelli – Capo di Leuca in Puglia in stand-by per colpa di veti e mancanza di visione di molti amministratori locali. Le Amp Isola di Capri, Capo Spartivento, Isola San Pietro e Costa di Maratea, di cui solo lo scorso anno sono stati finanziati gli studi conoscitivi nonostante la loro istituzione sia prevista da tanti anni, mentre per altre aree come per la Penisola salentina, Monte di Scauri, Monti dell’Uccellina – Formiche di Grosseto – Foce dell’Ombrone Talamone, mancano le risorse per iniziare gli studi. Un inaccettabile ritardo, invece, riguarda alcune Amp da istituire in coincidenza con alcuni Parchi nazionali già istituiti come: Arcipelago Toscano, La Maddalena, Pantelleria e le Isole Pontine per il Circeo.

Sebbene sia lunga la lista delle aree protette nazionali in attesa di completare l’iter di legge per essere istituite, l’elenco di quelle di cui si propone l’istituzione è ancora più imponente e qualificante: il Parco nazionale del Fiume Magra, tra Liguria e Toscana, che trasforma l’omonimo parco regionale solo ligure in un’area protetta fluviale interregionale; la trasformazione del Sirente Velino da Parco regionale in Parco nazionale anche per fermare i ripetuti tagli operati a più riprese dalla Regione Abruzzo; la nascita di un Parco nazionale in penisola sorrentina che comprenda l’attuale Parco regionale dei Monti Lattari e l’Area marina protetta di Punta Campanella che potrà garantire una più adeguata gestione al sito Unesco della Costiera Amalfitana. Per passare poi alla nascita di alcuni Parchi regionali fondamentali per garantire la conservazione di territori fondamentali per la tutela della biodiversità come: Il Parco regionale del Crinale Piacentino che costituisce un corridoio ecologico tra Emilia Romagna e Liguria; il Parco regionale dei Monti Volsci nel Lazio meridionale che ricomprenda i Monti Lepini, gli Ausoni e gli Aurunci. In un’unica area protetta; il Parco regionale degli Ernici corridoio ecologico fondamentale per la tutela dell’Orso bruno marsicano tra Lazio e Abruzzo; il Parco regionale dell’Alto Molise tra le valli del Trigno e del Volturno e l’area MAB Collemeluccio-Montedimezzo; il Parco regionale fluviale del Neto in Calabria.

Ecco una prima e parziale lista di priorità di aree da istituire entro il 2030 affinché il nostro Paese rafforzi la tutela della biodiversità e raggiunga l’obiettivo del 30% di territorio e di mare protetti.

Si tratta di un obiettivo raggiungibile, a condizione che si vada oltre le enunciazioni di principio e si proceda in maniera concreta e verso gli obiettivi che rispondono alle sfide globali della tutela della biodiversità e del capitale naturale che siamo chiamati a soddisfare. Per farlo però, serve la stessa capacità politica che ha permesso sul finire degli anni ‘80 di immaginare un sistema nazionale di aree protette e subito dopo costruire le condizioni politiche e normative per realizzarlo. Tutto questo è già accaduto nel nostro Paese, grazie alla legge 394/91 di cui quest’anno celebriamo il trentennale. Il “miracolo” che ha permesso, in un tempo relativamente breve, la nascita di un sistema di aree protette terrestri e marine diffuso su tutto il territorio nazionale, si può ripetere se con convinzione e senza titubanze si riprende il cammino di innovazione e progresso indicato dalla 394 nel 1991.

di Antonio Nicoletti

responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente