Le are e i pappagalli mummificati dell’Atacama rivelano un antico traffico di fauna selvatica

Un viaggio di migliaia di Km dall’Amazzonia al deserto più arido del mondo. Tutto per le preziose piume di are e pappagalli

[1 Aprile 2021]

E’ noto che gli antichi egizi mummificavano gatti, cani, ibis e altri animali, ma in pochi sanno che nel deserto sudamericano di Atacama, nel nord del cIle, sono state trovate mummie dei pappagalli che rivelano che, tra il 1100 e il 1450 d.C., un commercio di fauna selvatica portò dei pappagalli dall’Amazzonia fino alle comunità delle oasi.

E’ quanto rivela lo studio “Pre-Columbian transregional captive rearing of Amazonian parrots in the Atacama Desert”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team di ricercatori statuinitensi, cileni e boliviani.

Il principale autore dello studio, l’antropologo José M. Capriles della Pennsylvania State University, spiega che «Le piume erano apprezzate in tutte le Americhe e le vediamo nelle sepolture di alto rango. “Non sappiamo come siano arrivate le piume, le rotte che hanno preso o la rete dei commerci».

Nell’Atacama, che è il deserto più arido del mondo, non ci sono pappagalli e are, ma gli archeologi hanno trovato loro piume in delle sepolture, conservate in scatole di pelle o in altro materiale protettivo e nei siti archeologici hanno anche trovato uccelli mummificati: pappagalli e are -.

Capriles sottolinea che «Il fatto che uccelli vivi si siano fatti strada attraverso le Ande alte più di 10.000 piedi è sorprendente. Hanno dovuto essere trasportati attraverso enormi steppe, clima freddo e terreni difficili fino all’Atacama. E dovevano essere mantenuti in vita».

Anche se è un archeologo, Capriles è cresciuto circondato da pappagalli e are perché suo padre si occupava di protezione della fauna selvatica e sua madre, Eliana Flores Bedregal, fino alla sua morte nel 2017 è stata un’ornitologa boliviana del Museo Nacional de Historia Natural di La Paz. Mentre era un borsista post-dottorato in Cile, Capriles ha studiato il commercio e il trasporto di merci come coca, conchiglie, metalli, piume e animali in Bolivia, Perù e Cile e ora racconta che «Calogero Santoro, professore di antropologia all’Universidad de Tarapacá, menzionato questi uccelli a mia madre quando venne in visita e le suggerì di studiarli. La nostra idea era di dire qualcosa su questi pappagalli, da dove provenissero e quali specie fossero rappresentate. Mia madre è una coautrice di questo studio».

La maggior parte dei resti di pappagalli e ara, mummificati o meno, si trovano nei musei. Il team internazionale ha setacciato le collezioni museali del nord del Cile per quasi tre anni esaminando tutto ciò che era stato trovato. Capiles spiega ancora: «Una volta che abbiamo iniziato a lavorare su questo, abbiamo trovato così tanto materiale su are e pappagalli. Colombo riportò i pappagalli in Europa e l’importanza storica delle piume di ara per le società precolombiane era onnipresente».

La maggior parte dei resti di uccelli che i ricercatori hanno scoperto risalgono al periodo compreso tra il 1000 e il 1460 d.C., a partire dalla fine dell’impero Tiwanaku e poco prima che gli Inca invadessero l’area. Secondo Capriles, «Era un periodo di guerra, ma anche un grande periodo per il commercio, con frequenti carovane di lama che si spostavano».

I ricercatori hanno studiato 27 resti completi o parziali pappagalli amazzonici trovati in 5  oasi dell’Atacama e, utilizzando analisi zooarcheologiche, ricostruzione dietetica isotopica, datazione al radiocarbonio e test del DNA antico, hanno catalogato le ara scarlatte (Ara macao) e almeno altre 5 specie di pappagalli che sono stati trasportati nell’Atacama  dall’Amazzonia orientale, a oltre 300 miglia di distanza. Per cercare di determinare come sono arrivati nell’Atacama Il team ha mappato i dicversi areali naturali delle ara scarlatte, delle ara giacinto (Anodorhynchus hyacinthinus), ara giallo-blu (Ara ararauna) e dei vari pappagalli e hanno scoperto che i pappagalli  mangiavano le stesse cose degli agricoltori che li avevano comprati.

Capriles  fa notare che «Ciò che consideriamo accettabili per le interazioni con gli animali sotto la nostra cura allora erano era molto diversi. Alcuni di questi uccelli non hanno vissuto una vita felice. Sono stati tenuti in cattività per produrre piume e le loro piume venivano strappate non appena crescevano».

Ma forse ancora più insolito dell’importazione di pappagalli e are per produrre piume era il loro trattamento dopo la morte: molti dei pappagalli sono stati trovati mummificati con la bocca spalancata e la lingua sporgente. Altri avevano le ali spalancate come in un volo eterno.

Capriles. Ammette che «Non abbiamo assolutamente idea del motivo per cui sono stati mummificati in questo modo. Sembrano essere stati eviscerati attraverso la loro cloaca (un’apertura sia escretoria che riproduttiva), che ha contribuito a preservarli. Molte volte, sono stati avvolti in tessuti o borse».

Sfortunatamente, molti degli uccelli erano reperti derivanti dai saccheggi dei tombaroli – acquisiti al di fuori di progetti archeologici formali – quindi mancano alcuni dati, ma questi pappagalli erano solitamente associati a sepolture umane. La maggior parte delle mummie di uccelli sono state trovate a Pica 8, un sito vicino a una comunità di oasi che esiste ancora oggi come luogo di trasporto merci. Durante il periodo in cui ci vivevano i pappagalli, a Pica ( si praticava anche l’agricoltura e anche attualmente vi si coltivano limoni molto pregiati.

«Sappiamo che gli uccelli vivevano lì – conclude Capriles –  Che mangiavano gli stessi cibi che mangiavano le persone arricchiti con l’azoto del mais fertilizzato con il guano degli uccelli marini. I lama non sono i migliori animali da soma, perché non sono così forti. Il fatto che le carovane di lama portassero are e pappagalli attraverso le Ande e attraverso il deserto fino a questa oasi è incredibile».