«La giustizia sociale e ambientale deve essere al centro degli sforzi per risolvere la crisi della biodiversità»

Le misure e i finanziamenti dei per salvare la biodiversità sono inefficaci e insufficienti

Per salvare la vita del pianeta bisogna ripensare urgentemente l’economia mondiale

[12 Maggio 2021]

Il nuovo studio “Beyond the gap: Placing biodiversity finance in the global economy”, pubblicato da Third World Network (TWN) e University of British Columbia, esamina le principali cause della perdita di biodiversità nel mondo chiede «Un’urgente e profonda riorganizzazione dell’economia globale post-pandemia per evitare ulteriori danni planetari».

Infatti, secondo gli autori dello studio/rapporto – Patrick Bigger e Jens Christiansen della Lancaster University, Jessica Dempsey, Adriana DiSilvestro, Audrey Irvine-Broque, Sara Nelson, Fernanda Rojas-Marchini, Andrew Schuldt dell’University of British Columbia ed Elizabeth Shapiro-Garza della Duke University –  «Le regole commerciali, così come le politiche economiche, l’onere del debito, i sussidi e le scappatoie fiscali che prevalgono oggi, così come l’incapacità di lunga data dei Paesi ricchi di onorare i loro impegni. per preservare la biodiversità, sono anche fattori trainanti del danno ecologico».

“Beyond the gap” evidenzia le violazioni degli impegni assunti ai sensi della Convention on Biological Diversity (CBD) dell’Onu, il trattato multilaterale essenziale per conservare e utilizzare in modo sostenibile la biodiversità e condividere equamente i vantaggi che ne derivano. I ricercatori ritengono che «L’approccio globale alla definizione delle politiche sulla biodiversità sia parziale, con discussioni incentrate su come integrare la natura nelle regole esistenti della scacchiera economica, piuttosto che esaminare come queste regole siano alla radice del problema». Il rapporto fa notare  anche come «Gli investimenti in progetti di conservazione della natura facciano poco per arginare la crisi della biodiversità, poiché i fattori economici alla base di questa crisi vengono ignorati».

Naturalmente, gli autori dicono che un aumento dei finanziamenti per la tutela della biodiversità è auspicabile ma, affinché questi programmi siano efficaci  ci sono alcuni problemi economici devono essere affrontati: Regole commerciali e di investimento che promuovono sviluppi dannosi per la biodiversità; Una crescita esponenziale del finanziamento pubblico e privato a industrie che danneggiano la biodiversità; Diffuse politiche di austerità e liberalizzazione del commercio che vengono imposte come condizioni di accesso al sostegno finanziario; Il peso del debito dei Paesi in via di sviluppo che impoverisce le finanze pubbliche e rendono impossibili per molte nazioni gli investimenti nella conservazione e nell’utilizzo  sostenibile della biodiversità; Disuguaglianze internazionali e nazionali strutturali per le quali si propone come unico rimedio uno sviluppo economico dannoso per la biodiversità; La spesa pubblica per i sussidi che danneggiano la biodiversità eclissa la spesa internazionale per le iniziative sulla biodiversità; Evasione fiscale da parte delle élite e delle società ricche che punisce ulteriormente i fondi pubblici.

I ricercatori dimostrano che i Paesi ricchi non stanno rispettando i loro obblighi di finanziamento presi con  trattati internazionali e che  «Nei quasi trent’anni trascorsi dalla nascita della CBD nel 1992, i firmatari delle nazioni benestanti hanno pagato solo circa la metà (58%) di quanto si erano impegnati a fare, perseguendo agende economiche che contribuiscono alle cause della perdita di biodiversità, o addirittura a peggiorarle». La Dempsey sottolinea che «La nostra ricerca dimostra che non solo sono necessarie risorse finanziarie aggiuntive per arginare la crisi della biodiversità, ma che è anche necessario ripensare in modo più ampio come le regole economiche siano alla radice della sesta estinzione di massa. Dobbiamo esaminare da vicino cose come le politiche fiscali e sulla proprietà intellettuale e persino le idee fondamentali che governano il funzionamento dell’economia globale, come cosa significa per i governi essere “finanziariamente responsabili” quando è così improbabile che l’austerità produca risultati ambientali positivi»

Lim Li Ching del Third World Network  aggiunge: «Per fare un’analogia con l’attuale pandemia, il Fondo Monetario Internazionale ha recentemente offerto pagamenti di solidarietà ai Paesi del sud. Sarebbe un buon passo anche per la biodiversità, ma iniziative del genere devono essere accompagnate da profondi cambiamenti strutturali, a partire dal fatto che il Fmi smetta di imporre l’austerità in questi stessi Paesi».

Gli autori dello studio sottolineano che «Le disuguaglianze sociali di genere, classe, casta e tra razze, non solo influenzano il modo in cui si avvertono gli effetti della perdita di biodiversità, ma sono esse stesse la causa dell’estinzione e del degrado ecologico, spingendo ingiustamente i Paesi in via di sviluppo e le comunità finanziariamente povere a perseguire dannose strategie di sopravvivenza e sviluppo. La giustizia sociale e ambientale deve quindi essere al centro degli sforzi per risolvere la crisi della biodiversità».

Il rapporto evidenzia anche l’insostenibile fardello del debito, sia monetario che ecologico, accumulato dal mondo ricco a scapito dei poveri: «Ripagare questi debiti è cruciale, ma non può essere fatto unicamente fornendo più fondi attraverso i canali esistenti. Sono necessarie anche nuove regole globali per creare un’economia più equa». In un’intervista a BBC News, Bigger ribadisce che «Non devono esserci vincoli per i pagamenti a questi Paesi. Altrimenti continuiamo a scavare questo buco e cerchiamo di riempirlo con i soldi».

I ricercatori dicono che «Il gap tra coloro che convivono con le conseguenze ambientali dell’estrazione [di risorse] e coloro che beneficiano del finanziamento di queste attività si sta allargando. Nel 2019, 50 delle più grandi banche del mondo hanno sottoscritto più di 2,6 trilioni di dollari in settori noti per essere i motori della perdita di biodiversità, un importo equivalente al prodotto interno lordo del Canada».

Ci sono una serie di programmi internazionali nati per proteggere la natura che il rapporto considera «inefficaci e sottofinanziati» e tra questi cita espressamente il Reduce emissions from deforestation and forest degradation in developing countries (REDD+), un programma Onu progettato per ripagare le comunità che vivono nelle foreste più biodiverse perché prevengano la perdita o il degrado delle foreste. Nel 2019 REDD+ ha pagato circa 160 milioni di dollari. Bigger, del Pentland Center della Lancaster University e co-leader del TWN, sottolinea «Anche se può sembrare una cifra elevata, è molto inferiore all’aumento mensile della fortuna di Jeff Bezos dall’inizio della pandemia di Covid-19».

In alcuni casi, questi progetti guidati dal mercato possono fare più male che bene: lo studio di un programma in Costa Rica, progettato per incentivare la piantagione di alberi, ha rivelato che in realtà aveva sovvenzionato la silvicoltura commerciale, dando come  risultato più “foreste di piantagioni” fatte da una singola specie di albero non autoctona che poi viene utilizzata nella produzione di pallet in legno per il trasporto di merci.

Con la pandemia di Covid-19 che accelera la necessità di una revisione della struttura e della regolamentazione dell’economia globale di lungo periodo, gli autori di Beyond the gap dicono che è ora di agire e, in un documento di base che accompagna il rapporto, presentano 5 raccomandazioni per cambiare i processi economici globali per contrastare la perdita di biodiversità. Chiedono ai 196 governi che fanno parte della CBD di: 1. Porre fine ai legami tra debito e austerità che alimentano l ‘”estrattivismo” e ostacolano l’attuazione della CBD. 2. Regolamentare il finanziamento e penalizzare le industrie note per minare la biodiversità e i diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali. 3. Garantire che il finanziamento per la biodiversità non ostacoli il cambiamento trasformativo e metta a repentaglio gli obiettivi della CBD. 4. Ridurre le disuguaglianze di ricchezza e potere a livello nazionale e internazionale che ostacolano il cambiamento trasformazionale. 5. Agire per smantellare le disuguaglianze di classe, casta, razza e genere che sono alla base della perdita di biodiversità e ostacolano la conservazione e l’utilizzo  sostenibile della biodiversità.

Bigger conclude: «Chiediamo urgentemente un nuovo approccio, con un’azione statale multilaterale forte e coordinata, per regolamentare e reindirizzare i finanziamenti che aiutano a degradare la biodiversità a favore di quelli per una ripresa verde. Questo richiede il rafforzamento delle nostre istituzioni pubbliche e l’avvio di riforme politiche di vasta portata, nonché investimenti pubblici. La nostra ricerca dimostra che i finanziamenti vengono spesso incanalati in progetti che sono inefficaci, non provati o che sono totalmente controproducenti. Molti di questi progetti si basano sulla cosiddetta blended finance, il che finisce per sostenere le organizzazioni private che cercano di arricchirsi, invece di aiutare direttamente i Paesi più ricchi di biodiversità a proteggere i loro fragili ecosistemi e le persone che li salvaguardano e li proteggono».