Le specie aliene invasive fanno aumentare i rischi di malattie infettive

Studio coordinato dall’università Statale di Milano sulle ricadute sanitarie delle introduzioni di specie alloctone

[26 Ottobre 2020]

Nel 60% dei casi, le malattie infettive emergenti nell’uomo sono di origine zoonosica, cioè vengono trasmesse all’uomo da altre specie animali. Di queste, il 70% è causato da specie selvatiche, come nel caso di Ebola o dell’l’attuale pandemia da SARS-Cov-2, meglio conosciuta  come Covid-19. Comprendere le condizioni che regolano e favoriscono la trasmissione di queste infezioni tra animali e uomo, risulta quindi di fondamentale importanza per prevenirne i potenziali impatti sanitari ed economici.

E’ quello che fa lo studio “Invasive alien species and disease risk: An open challenge in public and animal health”, pubblicato su Plos Pathogens da un team di ricercatori del Dipartimento di medicina veterinaria dell’università Statale di Milano e del Royal Veterinary College britannico che evidenzia «le ricadute sanitarie potenzialmente conseguenti alle introduzioni di specie alloctone».

All’università statale di Milano spiegano che «L’introduzione da parte dell’uomo di specie alloctone al di fuori della loro area naturale è un fenomeno in costante e progressivo aumento, basti pensare alla diffusione della nutria Sud Americana nella Pianura Padana. Di questo fenomeno sono ormai ampiamente riconosciuti i gravi impatti ambientali ed economici (12 miliardi di euro di danni annui nella sola Europa). Tuttavia, nonostante i diversi agenti patogeni normalmente presenti nelle specie animali, il ruolo delle specie alloctone quali agenti promotori dell’insorgenza di nuove infezioni è stato finora largamente sottovalutato».

Con il nuovo studio, il team italo-britannico, facendo numerosi esempi, analizza i meccanismi che legano le specie introdotte all’insorgenza o all’aumento delle infezioni, sottolineando che «possono non solo introdurre nuovi patogeni nell’ambiente, ma anche acquisire e amplificare la trasmissione di patogeni locali, o modificarne indirettamente la circolazione attraverso i loro impatti sull’ambiente e gli organismi che lo abitano».

Nicola Ferrari del Dipartimento di medicina veterinaria dell’università Statale di Milano, che ha coordinato il team di ricerca, ricorda che «Questi fenomeni possono avere conseguenze non solo sulla salute umana, ma anche su quella animale con conseguenti impatti economici, qualora fossero coinvolte specie da reddito, o ricadute sulla biodiversità, qualora fosse coinvolta la fauna selvatica nativa».

Alla luce di questi complessi meccanismi e rilevanti impatti sanitari, gli autori dello studio sollecitano «una maggiore attenzione al fenomeno da parte del mondo biomedico e lo sviluppo di indagini volte a quantificarne i rischi, in modo da identificare le aree e le azioni di intervento prioritarie volte alla loro mitigazione».