L’evoluzione dell’omosessualità nelle specie animali

Un nuovo approccio per capire perché il comportamento omosessuale è così comune in tutto il regno animale

[3 Maggio 2019]

Tra gli scienziati che parteciparono alla Terra Nova Expedition, partita nel 1910 per esplorare l’Antartide, c’era George Murray Levick, uno zoologo e fotografo che sarebbe stato il primo ricercatore a studiare la più grande colonia di pinguini di Adelia (Pygoscelis adeliae) del mondo, raccontandone nei sui taccuini anche la vita quotidiana e il  loro comportamento sessuale, compresa l’omosessualità tra pinguini maschi, cosa che però venne accuratamente fatta sparire dai documenti scientifici della spedizione e Levick, stampò solo 100 copie di “Sexual Habits of the Adélie Penguin” che circolarono in privato, quasi come un giornale porno. Solo recentemente ne è ricomparsa un’ultima copia rimanente che fornisce preziose informazioni sulla ricerca sull’omosessualità animale.

Ma all’Imperial college London fanno notare che gli studi sull’omosessualità animale risalgono a molto prima del Levick, con osservazioni pubblicate fin dal 1700 e 1800 e che «Più di 200 anni dopo, la ricerca ha superato alcuni dei tabù che i primi ricercatori hanno affrontato e ha dimostrato che l’omosessualità è molto più comune di quanto si pensasse in precedenza. Il comportamento omosessuale, che va dalla genitorialità al sesso, è stato osservato in più di 1,000 specie, con probabilmente molte altre, doto che i ricercatori iniziano a cercare il comportamento in modo esplicito. L’omosessualità è diffusa, con la bisessualità che è ancora più diffusa, tra le specie». I ricercatori ora vanno oltre la semplice osservazione e quelli dell’Imperial stanno aprendo la strada per svelare come e perché l’omosessualità sia così diffusa in natura.

Uno degli esempi citati viene nuovamente dai pinguini: due  pigoscelidi comuni (Pygoscelis papua), Sphen e Magic, sono recentemente finiti sulle pagine dei giornali per aver “adottato” un uovo. I pigoscelidi comuni sono strettamente imparentati con i pinguini di Adelia, la specie che Levick osservò per la prima volta nel 1911. Dopo che i due pinguini maschi si sono messi insieme hanno cominciarono a creare un nido e i guardiani dello zoo Sea Life hanno dato loro un uovo che era stato abbandonato da una coppia di pinguini eterosessuali e dal quale il 19 ottobre 2018 è nato Baby Sphengic, amorevolmente accudito dai due genitori adottivi omosessuali.

L’omosessualità è un comportamento che è stato osservato in molte specie che vanno dagli uccelli agli insetti, dai rettili  ai mammiferi – compresi gli esseri gli umani – e i ricercatori stanno cercando di capire perché. All’imperial college spiegano che «In passato, il comportamento omosessuale veniva spesso ignorato perché contraddiceva apparentemente la teoria dell’evoluzione di Darwin. Gli scienziati sostenevano che l’omosessualità fosse una sorta di “paradosso darwiniano” perché implicava comportamenti sessuali non riproduttivi. Prove recenti suggeriscono tuttavia che il comportamento omosessuale potrebbe svolgere un ruolo importante nella riproduzione e nell’evoluzione».

Tra i ricercatori chela pensano così c’è Vincent Savolainen, professore di biologia organismica all’Imperial, un famosissimo biologo evoluzionista che è partito dalle stesse domande che si era fatto Darwin, ma da una prospettiva contemporanea. I contributi di Savolainen spaziano dalla risoluzione del “mistero abominevole” delle piante da fiore  di Darwin al chiarire come i grandi squali bianchi si siano evoluti per diventare super-predatori e nuotatori veloci. «Affronto le grandi domande della biologia evolutiva – spiega Savolainen –  spiega:. In realtà non importa quale sia l’organismo, alla fine si basa tutto su come si sono evoluti i geni sia per produrre una specie o un nuovo comportamento». L’obiettivo generale del suo laboratorio di ricerca può essere riassunto così: «Nulla in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione» e Savolainen ha trasformato questa filosofia nel “paradosso di Darwin”. Nel 2016 ha iniziato a lavorare sull’omosessualità animale, a partire dalla sua evoluzione, riunendo un team di ricercatori per esaminare la questione attraverso il lavoro sul campo, il sequenziamento genomico e nuovi modelli teorici.

Uno dei casi di studio è quello delle scimmie, primati del Nuovo Mondo nei quali prima non era stato segnalato un comportamento omosessuale. Ma nel 2018 è stato registrato il primo rapporto sessuale tra maschi. Jackson Clive, uno dei ricercatori del team di  Savolainen all’Imperial College, sottolinea: «E’ interessante perché c’era questo tipo di premessa perché, dal momento che i primati del Vecchio Mondo sono più strettamente legati agli esseri umani, non si dovrebbe vedere questo tipo di comportamento nei primati del Nuovo Mondo, ma eccolo. Questo suggerisce che l’attività omosessuale non è un recente costrutto umano, in termini culturali o anche in termini evolutivi, ma si verifica invece lungo molti rami dell’albero della vita».

Clive sta per iniziare uno studio sul campo dei macachi rhesus (Macaca mulatta), in queste scimmie giapponesi l’omosessualità femminile è stata ben studiata, ma Clive studierà come il comportamento omosessuale differisce nei maschi e nei diversi ambienti. Il ricercatore britannico evidenzia che seguire delle scimmie in natura nella boscaglia non è un lavoro facile: «Gli studi comportamentali richiedono molto tempo soprattutto per questi comportamenti imprevedibili e rari, che includono quasi tutti i comportamenti sessuali. Devi stare seduto e guardarti mentre sei abbastanza sveglio. Ci vuole un bel po’ di fatica per riconoscere individualmente questi primati. In un gruppo sociale devo riconoscere 120 maschi individualmente». Prima Clive ha studiato una famiglia di gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei) in ‘Africa orientale e, nonostante non fosse allora l’obiettivo principale delle sue ricerche, ha notato accoppiamenti tra  gorilla maschi. «E’ proprio dovunque si guardai. Posso dare documentazione su scarafaggi, ragni, mosche, pesci, fenicotteri, oche, bisonti, cervi, gibboni, pipistrelli – un sacco di pipistrelli, i pipistrelli lo fanno in ogni occasione – La lista è infinita».

Per quanto riguarda i coleotteri la cosa è nota fin dal 1896, quando l’entomologo francese Henri Gadeau de Kerville pubblicò una delle prime illustrazioni scientifiche sull’omosessualità animale. Il suo disegno raffigurava due coleotteri maschi che copulavano e faceva parte di un’ondata di descrizioni sul comportamento omosessuale negli insetti che prepararono il terreno per le osservazioni sugli animali superiori nel 1900.

Tra i pipistrelli è noto il caso della volpe volante dalla testa grigia (Pteropus poliocephalus) che vive nell’’Australia orientale in grandi gruppi divisi per sessi al di fuori della stagione riproduttiva. Di conseguenza, molti pipistrelli sono probabilmente “bisessuali stagionali”. Un comportamento omosessuale, sia sessuale che affettuoso, è stato osservato nei aschi e nelle femmine che si avvolgono vicendevolmente con le loro grandi ali, si leccano e si pettinano il pelo e  strofinano le teste.

Il team di ricerca dell’Imperial guidato da Clive ha iniziato a registrare i comportamenti omosessuali in natura e a raccogliere campioni di sangue, poi sequenzierà il DNA per cercare connessioni tra il comportamento e i marcatori genetici.

Gli scienziati puntano a rispondere a una domanda difficile: che aspetto ha biologicamente l’omosessualità animale?  Juanita Bawagan, della School of Professional Development, ricorda su Imperial College London News  che «Nel 1993 ci fu una frenesia mediatica per la scoperta del “gene gay”. Questa idea derivava da uno studio che mostrava una correlazione tra il marcatore genetico Xq28 e l’omosessualità maschile, sebbene vi fossero incertezze statistiche su alcuni dei risultati. Gli scienziati hanno modellato con successo altri tratti complessi o poligenici come l’altezza. Non c’è un singolo “alto” o “basso”. Invece, l’altezza è determinata da cambiamenti attraverso centinaia di geni in combinazione con fattori ambientali. Per comprendere ciò che dà origine a tratti e comportamenti complessi, i ricercatori devono identificare dove si svolgono i cambiamenti genetici e quali processi sottostanti li stanno guidando. Quindi possono vedere come dovrebbero apparire nel mondo reale. I fattori biologici ed ereditari dell’omosessualità non sono certamente legati a un singolo gene. I ricercatori non stanno cercando un marcatore genetico o una causa, ma una combinazione di fattori che danno origine a determinati comportamenti in determinate circostanze».

Per creare modelli di omosessualità, Savolainen ha reclutato nel suo team Ewan Flintham, un biologo evolutivo che ha lavorato su modelli della speciazione – la formazione di specie nuove e distinte nel corso dell’evoluzione – e sul comportamento sessuale nei moscerini della frutta e Flintham fa notare che «Abbiamo la capacità di modellare comportamenti complessi e sfruttare enormi quantità di dati. Tuttavia, la creazione di un modello complesso non è utile se non sta modellando un concetto utile».

Ci sono molte teorie sul perché l’omosessualità sia importante per la riproduzione e l’evoluzione. Savolainen ha delineato alcuni modelli guida, uno di questi è il “vantaggio bisessuale” secondo il quale gli animali con una sessualità più fluida hanno maggiori probabilità di riprodursi. La Bawagan  spiega ancora che «Il laboratorio di Savolainen esamina una serie di comportamenti sessuali che vanno dalla rigida eterosessualità all’omosessualità» e . Savolainen è convinto che la bisessualità potrebbe essere «un fenotipo ottimale evolutivo in molte specie, compresi gli esseri umani».

Altri modelli prendono in considerazione se un gene sia benefico per uno specifico sesso. Per esempio, se il gene fosse “femminilizzante” nel senso che porta a femmine che hanno più figli, e se, nonostante fosse   svantaggioso per la riproduzione, passasse a un maschio, quest’ultimo sarebbe omosessuale. Ma altri ricercatori affermano che l’omosessualità potrebbe anche svolgere un ruolo evolutivo attraverso la co-genitorialità o contribuendo a far allevare la progenie da parte dei parenti. Queste spiegazioni non si escludono l’una con l’altra ed è probabile che per l’evoluzione dell’omosessualità sia stata importante una combinazione di fattori.

La Bawaga evidenzia che «Con questi nuovi modelli, i ricercatori possono testare molte teorie in combinazione e, di conseguenza, variare i dati immessi. IL “golden standard”  userebbe i dati genetici e comportamentali originali del lavoro sul campo sui macachi e li adatterebbe a teorie diverse per vedere come ciascuno di essi potrebbe essere applicato ad altre popolazioni e animali. I primati che il laboratorio di Savolainen sta attualmente studiando sono ovviamente strettamente correlati all’uomo. Studiare primati non umani è utile perché fornisce dati più chiari e separa il comportamento dalla cultura, offrendo allo stesso tempo nuove conoscenze sulla sessualità e sull’evoluzione umana».

Tom Versluys, che sta facendo un dottorato all’Imperial College London, studia direttamente gli esseri umani e in la scelta del compagno nelle coppie. Un suo  studio, “The influence of leg-to-body ratio, arm-to-body ratio and intra-limb ratio on male human attractiveness”,  ha esaminato come il contatto fisico renda gli uomini più attraenti. Ora Versluys, nel laboratorio di Savolainen, sta adottando un approccio più ampio e più tecnico; creerà modelli delle coppie in 3D per confrontare forma, struttura e proporzioni. Un progetto che metterà insieme questionari, modellizzazione facciale e sequenziamento genetico per esaminare le somiglianze tra coppie e indagare se le decisioni sulla scelta del partner siano guidate da considerazioni di compatibilità biologica o sociale. Questo comprenderà anche dei partner omosessuali nella speranza di comprendere diverse strategie di scelta del compagno in contesti riproduttivi e non riproduttivi. Versluys sta reclutando coppie eterosessuali e omosessuali tra gli studenti e il personale dell’Imperial e sottolinea che «L’omosessualità è ancora qualcosa che non è sempre ben compresa tra la comunità scientifica e forse anche più scarsamente comprensibile tra la popolazione in generale. E’ attualmente in fase di revisione, nel nostro laboratorio e altrove, come un comportamento normale piuttosto che qualcosa che è aberrante o problematico».

La Bawaga aggiunge: «La speranza è che, man mano che l’omosessualità viene meglio compresa, la ricerca dissiperà i malintesi tra le persone. Tuttavia, molte delle storiche sfide culturali ersistono. E nonostante il riconoscimento di quanto diffusa sia l’omosessualità in natura, i ricercatori devono fare i conti con una mancanza di ricerca che dovrebbe essere stata realizzata nel corso dei decenni».

Savolainen conclude: «E’ ancora una ricerca rischiosa e inusuale che è difficile sostenere attraverso le tradizionali rotte di finanziamento. Stiamo cercando organizzazioni o individui che credono in questa ricerca e sono disposti a correre questo rischio».