L’Iran in rivolta e la magistratura condanna gli ambientalisti che studiano i ghepardi

I ricercatori accusati di essere spie straniere. Teoria fantapolitica sui disordini: complotto di kurdi, Daesh e Mujahedin Khalq

[25 Novembre 2019]

Mentre in Iran i pasdaran continuano a reprimere duramente – sembra con decine di morti e centinaia di feriti e arresti – le proteste di piazza contro il carovita e l’aumento del 50% del costo della benzina, l’United Nations environment programme si è detto «profondamente preoccupato per la recente condanna degli ambientalisti a lunghe pene detentive per crimini legati allo spionaggio nella Repubblica dell’Iran».

L’Unep ricorda che «I detenuti, che si sono dedicati alla conservazione della fauna selvatica del loro Paese, languivano già in prigione da quasi due anni e in precedenza avevamo ricevuto informazioni preoccupanti sulla mancanza di un adeguato accesso, dell’assistenza legale e della rappresentanza. In passato abbiamo espresso le nostre preoccupazioni alle competenti autorità di Teheran».

L’agenzia ambientale dell’Onu ricorda che «La conservazione della fauna selvatica e la protezione dell’ambiente non dovrebbero essere considerate un crimine e in effetti sono riconosciute come un dovere pubblico nella Costituzione islamica della Repubblica dell’Iran (articolo 50). È profondamente preoccupante che le autorità abbiano talvolta risposto ai legittimi sforzi di conservazione degli ambientalisti criminalizzando le loro azioni».

L’Unep conferma che Niloufar Bayani, una delle ambientaliste condannate, «ha lavorato come consulente per l’Unep tra il 2012 e il 2017. Niloufar, che faceva base al nostro ufficio di Ginevra, era una collega molto apprezzata, profondamente impegnato a sostenere le comunità che si riprendono dalle conseguenze ambientali in seguito di catastrofi. A tal fine, il lavoro di Niloufar l’ha portata in un certo numero di paesi tra cui Haiti, la Repubblica Democratica del Congo, lo Sri Lanka e la Costa d’Avorio».

L’Unep evidenzia che «In un momento in cui affrontiamo serie sfide ambientali, il lavoro di ambientalisti e conservazionisti non è mai stato più essenziale per il nostro futuro collettivo. Questo lavoro è basato sul diritto ambientale internazionale e sul quadro normativo delle Nazioni Unite sugli standard internazionali in materia di diritti umani e sullo stato di diritto. Ora chiediamo clemenza e sollecitiamo le autorità iraniane a rivedere e ribaltare queste sentenze».

La vicenda, della quale grrenreport.it ha già scritto, riguarda la sentenza di colpevolezza – con condanne per spionaggio che vanno da 6 a 10 anni – emessa nei giorni scorsi da un tribunale di Teheran contro 6 ricercatori che lavoravano al censimento degli ultimi ghepardi asiatici iraniani. Si tratta di ricercatori appartenenti tutti alla Persian Wildlife Heritage Foundation (Pwhf), un’ONG iraniana che vuole salvare dall’estinzione il ghepardo asiatico e di altre specie e che da due anni erano in galera dopo che i servizi segreti delle Corpo della Guardie della Rivoluzione Islamica (i Pasdaran) le avevano accusati di essere spie al soldo di Paesi nemici.
Il fondatore del Pwhf, Morad Tahbaz, che ha la doppia cittadinanza iraniana e statunitense e il responsabile del programma ghepardo, Niloufar Bayani, sono stati condannati a 10 anni di prigione, mentre Houman Jowkar e Taher Ghadirian a 8 anni, Sepideh Kashani e Amirhossein Khaleghi Hamidi a 6 anni. Tre giorni dopo sono stati condannati anche Abdolreza Kouhpayeh e Sam Radjabi, rispettivamente a quattro e sei anni.

I verdetti sarebbero stati emessi in assenza degli avvocati degli imputati. In una e-mail invaiata a National Geographic, Mehran Seyed-Emami, figlio dell’iraniano-canadese Evin Seyed-Emami, l’amministratore delegato di Pwhf morto in prigione nel 2018, ha scritto: «E’ un peccato che i miei amici, che hanno speso le loro vite al servizio dell’ambiente e della conservazione della fauna selvatica, inizialmente abbiano avuto delle accuse contro di loro, ma ancora più sorprendente è che abbiano ricevuto una condanna esagerata nonostante il fatto che non un singolo brandello di prove … sia stato prodotto».

Le sentenze contro gli ambientalisti si inquadrano probabilmente nel clima repressivo scattato contro le proteste di piazza in Iran. Il regime iraniano, sia a livello centrale che regionale sta reagendo duramente e spiegando tutto con teorie complottiste francamente poco credibili. Come le dichiarazioni di Houshang Bazvand, il governatore della provincia Kermanshah nell’Iran occidentale secondo il quale «L’arresto di un gruppo dei rivoltosi e teppisti» dimostrerebbe che sono «legati ai gruppi terroristici come il Daesh, il PJAK (Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) e l’organizzazione Mujahedin Khalq (MKO)».

In realtà le tre organizzazioni sono quanto di più lontano ci possa essere tra loro per poter organizzare qualcosa di minimamente concertato: il Partiya Jiyana Azad a Kurdistanê (Partito della Vita Libera in Kurdistan – PJAK che si ispira al PKK kurdo/turco), è stato praticamente spazzato via dai Pasdaran nel nord dell’Iran, Il Daesh, lo Stato Islamico, è nemico giurato dei kurdi, il MKO è un’organizzazione armata ex comunista, attualmente in esilio in campi in Iraq e alleata degli Usa. Pensare a un qualsiasi complotto ordito da forze che, quando non sono nemici senza tregua – non hanno niente in comune fra loro sembra pura fanta-politica.

Ma Bazvand deve propagandare la versione ufficiale sulla sanguinosa rivolta in atto in Iran e quindi, come riferisce l’agenzia ufficiale iraniana Pars Today, «Ha dichiarato domenica che i sabotatori e i malfattori hanno preso di mira sia la gente comune che le forze di sicurezza ed hanno distrutto la proprietà pubblica e le principali istituzioni economiche e commerciali della città aggiungendo: “essi erano legati ai gruppi terroristici PJAK, Daesh, MKO, ma tutti sono stati identificati dalle forze di sicurezza e verranno puniti secondo quanto prevede la legge per il loro reato”».

Pars Today ammette che «Lo scorso fine settimana ci sono state proteste dopo l’aumento del prezzo del carburante», ma sposa la teoria del complotto internazionale: «Le manifestazioni pacifiche in alcune città dell’Iran si sono trasformate in violenza dai vandali e teppisti sostenuti dalle potenze straniere i quali hanno danneggiato e bruciato i beni pubblici».

Nelle proteste iraniane, oltre a una richiesta di una vita migliore e di più libertà, c’è sicuramente una componente internazionale, ma non è certamente ordita da gruppi che a l’Iran definisce terroristi, Le radici delle rivolte e dei saccheggi vanno cercate nell’embargo statunitense e nella vigliaccheria dell’Unione europea che si è piegata ai diktat di Donald Trump e dei suoi alleati israeliani e sauditi che hanno rottamato l’accordo sul nucleare iraniano tra Teheran e il G5+1 (Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna, Usa e Germania), mettendo l’economia iraniana in ginocchio e favorendo la destra islamista, nazionalista e militarista e l’ala più retriva degli ayatollah che sta mettendo all’angolo i riformisti al potere.

Un film già visto ma che statunitensi ed europei continuano compulsivamente a proiettare in tutto il Medio Oriente.