Lo scarabeo giapponese che minaccia l’agricoltura e la biodiversità in Italia e Svizzera

L'università di Siena sequenzierà il genoma della Popillia japonica

[14 Febbraio 2020]

Il progetto “Integrated Pest Management (IPM) Popillia” punta a «Contrastare l’invasione dello scarabeo giapponese Popillia japonica, che al momento minaccia l’intero settore agricolo, i paesaggi urbani e la biodiversità di alcune aree dell’Italia settentrionale (in particolare al confine tra Piemonte e Lombardia, in prossimità della Valle del Ticino) e della Svizzera meridionale, ma che potrebbe facilmente estendersi a tutta l’Europa».
L’IPM Popillia è un progetto che coinvolge 13 istituzioni di 6 Paesi europei, oognuna delle quali affronterà una o più linee di ricerca, per un finanziamento complessivo di 5 milioni e mezzo di euro provenienti dal programma europeo Horizon 2020 per la ricerca e l’innovazione e che ha deciso di finanziare con 405.000 euro il laboratorio di evolutionary and systematic zoology dell’università di Siena, diretto dal professor Antonio Carapelli.
E’ proprio Carapelli a spiegare che «L’obiettivo principale del progetto IPM Popillia è quello di salvaguardare la salute delle piante di interesse commerciale, e non solo, minacciate dall’invasione di questo coleottero fitopatogeno introdotto per caso in Italia nel 2014 e che può diffondersi attraverso gli scambi commerciali e la circolazione delle persone. Si tratta di una specie che infesta e distrugge tappeti erbosi, piante selvatiche, da frutto e ornamentali e la cui diffusione si sta ampliando in tutto il mondo».
Al Dipartimento scienze della vita dell’ateneo senese sottolineano che «Con il progetto IPM Popillia saranno sviluppate azioni per conoscere il ciclo vitale, le modalità di dispersione e le strategie di controllo dell’insetto.
L’Università di Siena si occuperà del sequenziamento del genoma di Popillia, della ricostruzione della storia evolutiva della specie e in particolare delle rotte percorse dall’insetto dal suo areale di origine in Giappone, attraverso gli Stati Uniti, fino all’Italia e alla Svizzera».
Carapelli conclude: «La conoscenza del genoma dell’insetto permetterà di studiare a livello molecolare i meccanismi messi in atto per adattarsi a nuove situazioni ambientali e per resistere ai trattamenti impiegati. La ricostruzione delle rotte di colonizzazione consentirà di individuare la scala geografica ottimale per realizzare interventi di controllo e limitare al minimo la possibilità di ulteriori invasioni».