L’ombra delle foreste e la bomba a orologeria dell’azoto

Un equilibrio destinato a cambiare a causa del riscaldamento globale e che modificherà l’ecologia delle foreste europee

[2 Ottobre 2020]

Le foreste sono tornate a occupare il 40% del territorio dell’Unione Europea e in alcuni Paesi si stanno ancora ri-espandendo, soprattutto grazie ai rimboschimenti e a causa dell’abbandono dei terreni agricoli. Le foreste forniscono servizi ecosistemici essenziali come il controllo dell’erosione e il riciclo dell’acqua, ma sono minacciate sempre di più da siccità, malattie e specie invasive alloctone.

Ma Horizon, the EU Research & Innovation Magazine, lancia un nuovo allarme: «Le delicate piante del sottobosco come l’acetosella o la violetta e l’equilibrio tra le specie di alberi che torreggiano sopra di loro sono tutte minacciate da decenni di inquinamento da azoto accumulato». Uno studio ha scoperto che l’ombra delle foreste ha attenuato gli effetti dell’azoto, ma in futuro dalle fronde degli alberi delle foreste filtrerà più luce mentre gli alberi soccombono alla siccità e alle malattie.

Il belga Kris Verheyen, dell’Università di Ghent, sottolinea che «Per capire come sta rispondendo a queste sfide è fondamentale studiare il suolo della foresta. Questo strato di erbe viene molto spesso dimenticato. Alcuni lo chiamano lo strato di passaggio: lo scavalchi per guardare gli alberi». Ma, nelle foreste temperate, la vita che si svolge sotto gli alberi rappresenta l’80% della biodiversità forestale e il sottobosco ricicla nutrienti essenziali come fosforo, potassio e azoto, aiuta a decomporre la lettiera degli alberi e determina quale sarà la prossima generazione di alberi, facendo sopravvivere solo i più adatti.

Per  cercare di capirne di più sul suolo della foresta,  il team di scienziati  del progetto PASTFORWARD guidato da Verheyen  ha raccolto i dati – a volte risalenti fino a 50 anni fa – di 4.000 appezzamenti forestali in tutta Europa e per quelli più facilmente identificabili e raggiungibili i ricercatori hanno effettuato misurazioni aggiornate.

Dopo aver prelevato campioni di suolo forestale in tutta Europa li hanno portati in Belgio e li hanno incorporati in ambienti sperimentali all’aperto – mesocosmi – nei quali hanno variato l’accesso delle piante all’azoto, alla temperatura e alla luce. Verheyen spiega su Horizon che «La domanda fondamentale alla quale volevamo rispondere era in che modo più fattori di cambiamento globale determinano le traiettorie del cambiamento nel tempo». E’ cosi che il team ha accertato che il fattore chiave che controlla la vita della foresta è la luce che impedisce ad altri cambiamenti di esercitare un effetto.

Un clamoroso esempio di tutto questo è come l’ombra degli alberi frena gli effetti dell’inquinamento da azoto.

I ricercatori ricordano che «La deposizione di azoto è un problema cronico causato dalle emissioni di ammoniaca dai fertilizzanti agricoli e dalla creazione di ossidi di azoto come sottoprodotto della combustione di combustibili fossili. Estrae alcuni nutrienti dal suolo, acidifica il terreno e fa crescere le alghe nei corsi d’acqua». Il team di PASTFORWARD ha scoperto molti depositi di azoto nelle foreste e ne ha documentato le conseguenze per le specie. Ma Verheyen evidenzia che «Gli effetti non sono così forti come ci aspettavamo perché … l’azoto è disponibile ma le piante (sul suolo della foresta) non possono trarne vantaggio perché sono limitate dalla quantità di luce disponibile».

Alcune piante, anche specie molto diffuse e non autoctone che possono sopravvivere in una varietà di ambienti, hanno meccanismi per sfruttare un eccesso di azoto e crescere di più; altre, più specializzate e con areali limitati, non ci riescono. Nelle foreste ombreggiate questi due tipi di piante sono su un piano di parità. Ma non appena la chionma degli alberi si dirata d e fa entrare più luce le piante in grado di sfruttare l’inquinamento ne traggono immediatamente vantaggio.

E la ricerca rivela che «Le foreste europee stanno già perdendo le loro specie più specializzate e quindi stanno subendo un calo della biodiversità».   Verheyen è preoccupato per il rischio che le chiome delle foreste si diradino a causa della siccità e delle malattie che uccidono gli alberi, aprendo così le porte all’azoto: «Questo porterà a cambiamenti rapidi e molto ampi nello strato di erbe».

Anche se per ora le foreste di latifoglie sembrano resistere meglio, negli ultimi anni, la siccità portata dal cambiamento climatico ha già sterminato molti alberi nelle foreste di abeti rossi in Germania, Belgio e Francia, Verheyen avverte che  questo non significa che le foreste di latifoglie siano immuni dal diradamento delle chiome: un esempio è la malattia del deperimento del frassino: «Abbiamo le prove che a causa del deperimento del frassino  si ha molta luce e quindi il sottobosco esplode davvero perché la luce non è più una risorsa limitante. Questi grandi e probabilmente improvvisi cambiamenti che possono verificarsi nello strato di erbe influenzeranno la rigenerazione degli alberi e determineranno sicuramente quali specie saranno in grado di passare il filtro dello strato di erbe e quali no. Avrà le sue conseguenze sul ciclo dei nutrienti perché questo strato di erbe influisce davvero sul tasso di decomposizione».

I ricercatori hanno anche scoperto che finora le foreste hanno svolto un lavoro straordinario nel proteggere le piante dal cambiamento climatico in atto, con effetti che vanno oltre le aree che occupano.

Le foreste hanno spesso temperature significativamente diverse da quelle che vengono registrate dalle stazioni meteorologiche, sempre posizionate lontano dagli alberi. Per esempio, in estate sono in media di 4° C più fresche e questo non solo perché le fronde non fanno passare la luce ma anche perché l’evapotraspirazione dell’acqua attraverso le foglie e nell’atmosfera aspira il calore dalla foresta, e la vegetazione impedisce alla brezza di mescolare l’aria calda con quella fresca.

Pieter de Frenne, un bioscienziato dell’università di Ghent che coordina il progetto FORMICA che studia i microclimi forestali, sottolinea: «Nonostante il fatto che due terzi delle specie del mondo vivano nelle foreste e i processi forestali come il ciclo del carbonio e dei nutrienti dipendano dalla temperatura, I modelli climatici non tengono conto di questo vero e proprio cuscinetto. Questo, a sua volta, spiega perché, nella foresta vergine, c’è stato meno “rimescolamento” di specie forestali di quanto previsto con il riscaldamento dell’Europa. Il forest-buffering ha permesso a molte specie di resistere. Ci saremmo aspettati che le piante forestali avessero già risposto in misura maggiore, in modo che specie più adattate al caldo sarebbero entrate a far parte della comunità e le specie con maggiore affinità per il freddo sarebbero diminuite o addirittura estinte localmente».

Ma l’effetto cuscinetto non può durare per sempre e se la chioma delle foreste si aprirà  queste specie autoctone cominceranno davvero ad avere grossi problemi, mentre il loro mondo si riscalda fino a raggiungere le temperature esterne alla foresta.

Frenne  conclude: «Il buffering ci sta facendo guadagnare tempo, dando modo alle specie di avere la possibilità di adattarsi al nuovo clima».

Il lavoro sulle chiome delle foreste e sui suoli forestali ha implicazioni pratiche per la gestione delle foreste e ora i team di PASTFORWARD e FORMICA sperano di sviluppare insieme uno strumento per aiutare i gestori forestali a capire quanta parte della chioma possono rimuovere, ad esempio per la raccolta o come parte del ciclo di diradamento degli alberi, senza innescare questa crescita esplosiva.