Parco del Beigua: gli ambientalisti contro le prospezioni minerarie per cercare rutilio

«Non esistono soluzioni "ambientalmente compatibili" per estrarre diossido di titanio» nell'area protetta

[29 Maggio 2015]

Italia nostra, Wwf e Legambiente Liguria, appoggiati dal Gruppo Spontaneo Monte Tsarinè, hanno promosso su change.org la petizione “Negare richiesta autorizzazione ispezioni minerarie sul Monte Tarinè”, indirizzata alla Regione Liguria e che arriverà sul  tavolo del prossimo presidente e del prossimo assessore all’ambiente che usciranno – se non si andrà al ballottaggio – dalle elezioni del 31 maggio.  Anche il Parco del Beigua si è sempre dichiarato contrario alle attività minerarie dentro il suo territorio, ma tra i candidati e i partiti in lizza in Liguria non mancano certo quelli che vorrebbero chiudere i Parchi e trasformarli in aree minerarie o da cementificare.

Ecco cosa scrivono le tre associazioni ambientaliste:

Fa di nuovo capolino l’ennesima richiesta di permessi di ricerca (ce ne sono state altre nei decenni passati) di campioni di rutilo sul M. Tarinè, nei comuni di Urbe e Sassello, in parte entro i confini del parco naturale regionale del Beigua, in provincia di Savona. Una srl piemontese con soli 10.400 euro di capitale sociale ha depositato il 20 aprile scorso una richiesta, con procedura di valutazione di impatto ambientale, di 200 campionamenti (da 1 a 10 kg. ciascuno, per un totale stimato di 1.250 kg.) ; l’intenzione infatti è quella di richiedere una ennesima autorizzazione di ricerca per minerali di titanio, granati e minerali associati su una superficie di 453 ettari.

Ma non esisterebbero affatto soluzioni “ambientalmente compatibili” per estrarre rutilo (diossido di titanio) dalle rocce dette “eclogiti” , in una fase successiva ai campionamenti, nel comprensorio del Bric Tarinè, a cavallo tra i comuni di Urbe e Sassello.

Il minerale grezzo potenzialmente estraibile in teoria sarebbe solo il 6% della roccia, e il rimanente 94% andrebbe risistemato in discariche molto estese da creare nelle vicinanze; un lavoro forse anche non remunerativo perché quello da eseguire per estrarlo è molto superiore a quello di una cava di marmo.

Fermi restando i divieti di legge (penalmente sanzionati) di attività estrattive in area parco, le attività di cava per estrarre, macinare le rocce contenenti rutilo, e separare ciò che è economicamente rilevante dagli immensi scarti, comporterebbero teoricamente:

– centinaia di ettari devastati da attività di cava a cielo aperto, in aree ad alto valore naturalistico e paesistico

– grandi consumi di acqua e derivazioni dei torrenti Orba e Orbarina, loro inquinamento ed indisponibilità di acqua potabile per i comuni piemontesi a valle ;

– mega discariche a cielo aperto per contenere oltre il 90% di rocce macinate di scarto, la cui lavorazione ne aumenterebbe il volume e renderebbe i suoli instabili ;

– transiti per decine di migliaia di passaggi di camion, a fronte di compensazioni economiche inesistenti, in quanto non previsti dalla legislazione mineraria , a dispetto di false informazioni già diffuse;

– inoltre nella composizione delle rocce del giacimento di rutilo e granati (non titanio allo stato puro, che ovviamente non esiste nei terreni interessati) di Piampaludo risulta la presenza di un anfibolo del gruppo degli asbesti in una percentuale pari a circa il 10/15%. Detto anfibolo, chiamato crocidolite (c.d. “asbesto blu”), ha tendenza a separarsi sotto forma di fibra e minutissimi aghi ed è notoriamente dannoso per la salute anche quale rischio cancerogeno.

Dunque sono sempre da scongiurare attività, oltre che ambientalmente e paesisticamente devastanti per il territorio, nocive per la salute delle popolazioni locali, atteso che la macinazione e il trasporto di gigantesche quantità di materiali rocciosi con fibre di asbesto libererebbe nelle aree di coltivazione di eventuali cave e presso le strade di collegamento elementi che notoriamente provocano mesoteliomi.

E’ dalla fine degli anni ’70 che le associazioni ambientaliste sono schierate contro un progetto mai rivelatosi economicamente sostenibile, ferme restando le ferme e costanti opposizioni unanimi delle province e dei comuni del comprensorio.

Già nel dicembre 1991 un parere della facoltà di geologia del’Università di Genova aveva calcolato che la quantità di materiale di risulta derivante da un ipotetico sbancamento per molti anni del Monte Tarinè sarebbe pari ad almeno 20 volte il volume della posta dell’aeroporto Colombo di Genova e richiederebbe l’apertura di una apposita discarica.

Anche i soli prelievi di minerali sono già vietati dal Piano del Parco Beigua, vigente, per cui anche le solo autorizzazioni di ricerca devono essere negate, come ha richiesto il rappresentante delle associazioni ambientaliste nella Comunità del Parco Beigua durante la riunione del 29 aprile scorso. L’attività di cava in area parco è peraltro vietata dalla normativa statale e regionale sulle aree protette.
Italia nostra, Wwf, Legambiente

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