Perché c’è più biodiversità marina vicino all’equatore (e perché potrebbe non durare)

Il riscaldamento globale potrebbe ridurre la biodiversità all’equatore e ai tropici. E sta già avvenendo

[11 Maggio 2021]

Attualmente, la zona equatoriale della Terra ospita maggiore biodiversità che altrove e questa biodiversità generalmente diminuisce quando ci si sposta dai tropici alle medie latitudini e dalle medie latitudini ai poli. Anche se si tratta di un dato di fatto, gli scienziati continuano a cercare di capirne le ragioni e il recente studio “Metabolic tradeoffs control biodiversity gradients through geological time”, pubblicato recentemente su Current Biology da  Thomas Boag (Stanford University e Yale University), William Gearty (Stanford University e University of Nebraska – Lincoln) e Richard Stockey (Stanford University) suggerisce che la temperatura può in gran parte spiegare perché la più grande varietà di vita acquatica risiede nei tropici, ma anche perché non sempre e, a causa dell’accelerazione del riscaldamento globale, presto potrebbe non essere più così.

Infatti, lo studio stima che la biodiversità marina tende ad aumentare fino a quando la temperatura media della superficie dell’oceano raggiunge circa 16 gradi centigradi (65 gradi Fahrenheit), oltre i quali la biodiversità marina diminuisce lentamente.

Durante gli intervalli della storia della Terra in cui la temperatura massima della superficie era inferiore a circa 27° C  (80 gradi Fahrenheit), la maggiore biodiversità si trovava intorno all’equatore, ma quando quel massimo ha superato gli 80° F, «La biodiversità marina è diminuita ai tropici, dove si sarebbero manifestate quelle temperature più elevate, mentre aveva raggiunto il picco nelle acque alle medie latitudini e ai poli».

Gearty  sottolinea che «La vita marina che potrebbe aver percorso distanze considerevoli, probabilmente era migrata a nord o a sud dai tropici durante periodi di caldo estremo. Animali stazionari o che si muovono più lentamente, come spugne e stelle marine, potrebbero invece aver affrontato l’estinzione. La gente ha sempre teorizzato che i tropici sono una culla della diversità, che si schiude e poi viene protetta lì. Esiste anche l’idea che… ci sia molta migrazione verso i tropici, ma non lontano da essi. Tutto ciò ruota attorno all’idea che la più alta diversità sarà sempre ai tropici. E non è quello che vediamo tornando indietro nel tempo».

E, grazie alle stime delle temperature e a reperti fossili di molluschi, Gearty, Boag e Stockey sono tornati indietro nel tempo a circa 145 milioni di anni fa. I tre ricercatori hanno scelto i molluschi per molteplici ragioni: «Vivono (e vissero) in tutto il mondo, in numero abbastanza grande da permettere analisi statistiche, con conchiglie abbastanza dure da produrre fossili identificabili, con variazioni sufficienti che i loro trend i diversità potrebbero essere generalizzate a pesci, coralli, crostacei e una serie di altri animali marini».

Questi dati hanno permesso al team di ricavare il rapporto temperatura-biodiversità per 10 intervalli geologici che coprivano la maggior parte del tempo trascorso dal Cretaceo ai giorni nostri.

Secondo Gearty, «La temperatura sembra spiegare gran parte della tendenza che vediamo nella documentazione sui fossili. Ci sono certamente altri fattori, ma questo sembra essere il predittore di prim’ordine di quello che sta succedendo».

Per indagare sul motivo per cui la temperatura potrebbe essere così influente e predittiva, Stockey ha sviluppato un modello matematico che tiene conto del fatto che temperature più elevate generalmente fanno aumentare la quantità di energia in un ecosistema, innalzando teoricamente il tetto della biodiversità che un ecosistema può sostenere, almeno fino a un certo punto. Ma questo influisce anche sul metabolismo e sull’ossigeno che, dissolvendosi nell’acqua, rende possibile la vita acquatica. «Acque più fredde dissolvono più ossigeno – ricordano i ricercatori – il che significa che temperature elevate ne riducono naturalmente la quantità disponibile per la vita marina e, per estensione, limitano potenzialmente la biodiversità che un ecosistema può supportare. Temperature più elevate aumentano anche le richieste metaboliche degli organismi, aumentando l’ossigeno minimo necessario per mantenere attivi  gli animali marini».

Gearty  aggiunge: «Questo significa che nelle acque più calde è necessario più ossigeno. E se la quantità di ossigeno disponibile non soddisfa quell’aumento del metabolismo, non in quell’ambiente non si sopravvive. Quindi, per sopravvivere, dovrai spostarti in un altro ambiente dove la temperatura è più bassa».

Il team ha applicato il suo modello a numerose specie marine con diversi metabolismi e dice che «Come previsto, il metabolismo ha influenzato il modo in cui la popolazione di una data specie avrebbe risposto a un aumento della temperatura, insieme alla soglia di temperatura oltre la quale quella popolazione sarebbe diminuita». Quando i ricercatori hanno calcolato la media degli effetti del metabolismo e della disponibilità di ossigeno tra quelle stesse specie, hanno scoperto che  «La relazione temperatura-diversità risultante somigliava – e, così facendo, supportava – quella derivata dalla documentazione fossile».

Nel complesso, lo studio indica che «Il riscaldamento globale provocato dall’uomo potrebbe colpire in modo particolarmente duro gli abitanti delle acque tropicali. Secondo una proiezione, la temperatura media della superficie delle acque tropicali potrebbe aumentare fino a 6 gradi Fahrenheit entro l’anno 2300». Gearty  fa notare che, secondo i reperti fossili analizzati per lo studio, «Aumenti di temperatura simili negli ultimi 145 milioni di anni hanno talvolta allontanato in modo permanente specie di molluschi dalle acque tropicali. Ci sono segnali preoccupanti che la tendenza attesa sia già in corso».

Sebbene il team abbia avuto difficoltà a definire l’entità prevista del declino della biodiversità, Gearty conclude: «La proiezione del caso peggiore prevedeva che i tropici perdessero fino al 50% delle loro specie marine entro il 2300. Parte della perdita assumerà la forma di migrazione. Eppure il riscaldamento potrebbe segnare il destino, per esempio, dei coralli e delle migliaia di specie marine che supportano, come si è visto nello sbiancamento spesso fatale della Grande Barriera Corallina al largo della costa australiana. Questa perdita di biodiversità sta già avvenendo e continuerà solo a succedere, a meno che non facciamo qualcosa. Non possiamo davvero riprenderci l’accumulo di anidride carbonica (nell’atmosfera) che è già avvenuto, quindi continuerà ad accadere per un po’ di tempo. Ma sta a noi determinare quanto tempo ci vorrà prima che si fermi».