Quando l’Arte riscopre e salva la Storia: Plebem e il miracolo della chiesa di San Lorenzo all’Isola d’Elba

La performance dell'artista elbano.newyorkese Riccardo Mazzei

[20 Agosto 2019]

Ci sono notti piene di magia che a volte fanno miracoli. Ed è quel che è successo il 10 Agosto, notte di San Lorenzo, tra i blocchi di granito del Monte Capanne e di calcarenite di Pianosa che si aprivano nuovamente sulla volta di stelle della Pieve di San Lorenzo, messa a ferro e fuoco proprio il 10 agosto del 1533 dalle orde franco-turche guidate da Dragut che, risalendo dal mare dove oggi c’è Marciana Marina, distrussero Marciana allora turrita, diroccando le sue mura.

La scintilla, la bacchetta magica, che ha fatto uscire dall’oblio una Pieve dimenticata, è stata un’iniziativa del festival d’arte contemporanea Marciana Borgo d’Arte curato da Valentina Anselmi: Plebem, una performance dell’artista elbano-newyorkese Riccardo Mazzei.

San Lorenzo era rimasta dimenticata, indicata da un anonimo segnale, ignorato dai più, lungo la strada provinciale della Civillina, a pochi passi dal traffico turistico estivo. Solo qualche cartello tristemente abbattuto o degradato. Ma all’alba del 3 agosto, armati di decespugliatore, falci, zappe e roncole, un gruppetto di attivisti di Legambiente Arcipelago Toscano ha liberato la Chiesa romanica dal boschetto di robinie che ormai ne aveva infestato quasi completamente l’interno, ripulita la strada d’accesso e i muretti a secco di fronte alla chiesa e i dintorni della pieve.

Quello che è successo prima e dopo lo racconta Riccardo Mazzei: «Arte Natura. Il tema di quest’anno a Marciana Borgo d’Arte mi ha spinto alla ricerca di un luogo che ne rappresentasse al meglio il significato di come arte e natura restano inseparabili e convivono. Alla ricerca di un luogo che esprimesse al meglio questa realtà, improvvisa è balzata alla mente la Pieve di San Lorenzo, a metà strada tra Marciana e la sua Marina. Opera architettonica antica in stato di abbandono in mezzo al rigoglio vegetale che ne prende possesso.  Un ambito speciale lontano dai centri abitati, dove uno deve proprio decidere di recarsi. Magari a piedi. Così è nata “Plebem”. Dalla lontanissima Brooklyn dove vivo, mi sono accostato con attenzione alla Pieve, leggendone la storia, contemplandone le immagini fotografiche, capendone le dimensioni. Immaginandomi sul posto, ho cominciato a buttare giù i primi schizzi ad acquerello, e forte è nato il bisogno di costruirne, in cartone, un modello in scala.  Fatto ciò le idee hanno trovato conferma: quelle di liberare lo spazio interno dal plesso della vegetazione; lavorare sul numero 8, caro agli architetti dell’epoca Romanica, giacché simbolo della ripresa del ciclo vitale; usare soltanto  materiali ecocompatibili; evocare la presenza del tetto che non c’è più; illuminare l’interno e l’esterno evitando l’uso di generatori elettrici; valorizzare lo spoglio interno con oggetti riflettenti la luce dei telefoni cellulari, usati come torcia; e infine coinvolgere il pubblico in uno spettacolo pittorico di ritratti eseguiti all’istante. Infatti, il resto lo ha fatto la gente intervenuta numerosa, una moltitudine sensibile alla sintonia della natura con l’arte».

E chi ha avuto la fortuna di partecipare ha scoperto una meraviglia notturna di pietra. Un luogo perduto in un tempo scandito ancora dal richiamo insistente dell’assiolo, vicinissimo e lontanissimo, sperduto e ritrovato. La storia sconosciuta, violenta, magnifica e resiliente di un’isola che tra lecci e castagni, antichissimi muri, strade medioevali e mulini. precipita verso il mare, sotto una volta di stelle ancora trasparente.

Valentina Anselmi  ricorda: «Nella magia di un tetto fantasma fatto di fili, come invito a percepire le tracce di quella copertura crollata, la performance di Riccardo ha dato vita a decine di ritratti dei partecipanti, realizzati come sindoni su carta di riso e dipinti con la terra del luogo. I dipinti realizzati- hanno decorato le antiche pareti insieme alle scenografiche lampade create dall’artista utilizzando esclusivamente materiali eco-sostenibili e riciclati, che hanno finalmente riportato la luce in un luogo storico simbolo del nostro territorio, troppo spesso abbandonato al buio della dimenticanza o sconosciuto».

Ora che l’arte, i volti di terra – poi donati dall’artista a chi si è fatto ritrarre – e la scommessa impossibile di Riccardo hanno fatto riemergere dall’oblio del passato San Lorenzo: si comincia a pensare al suo futuro che andrà curato dal Comune di Marciana, primo padrone di questo antico gioiello ritrovato, il più singolare di una collana di chiese romaniche che ricordano i tempi che l’Elba era la perla di Pisa, ambita da principi, pirati e corsari.

Come dice ancora Valentina: «Riccardo Mazzei, in piena sintonia con lo spirito del  genius loci, ha saputo cogliere con intelligenza le suggestioni e le peculiarità del luogo per trasformarle in magiche emozioni in grado di trainare l’intera comunità presente e che ci auguriamo possano essere un buon incipit per un percorso di valorizzazione e riqualificazione di luoghi storici come questo».

E Legambiente Arcipelago Toscano ha avanzato subito una proposta alle istituzioni: San Lorenzo ritrovata venga inserita nel territorio del Parco Nazionale il cui confine dista solo pochi metri e il Comune di Marciana e il Parco Nazionale, che hanno sostenuto questa iniziativa e Marciana Borgo d’Arte, lavorino da subito – insieme alle associazioni del territorio – a un progetto di valorizzazione di un luogo unico e praticamente sconosciuto.  Gli ambientalisti chiedono anche di riaprire l’antico sentiero che portava verso Marciana Marina oggi sparito tra la vegetazione e sbarrato da reti e cancelli per ricostruire il percorso che risalì Dragut dal mare fino alla montagna. Per fare della Pieve e delle sue mura sghembe un simbolo di pace, la resilienza della storia e dell’arte contro le guerre antiche e nuove. Un miracolo che solo l’arte poteva fare: svelare nuovamente questo frammento di granito, di splendore nascosto, della storia di un’Isola che ha ancora bellezza, mistero e genio, che vive nel futuro e nella memoria, nel presente di un artista isolano e migrante.