Riscaldamento climatico: i piccoli mammiferi scavatori se la caveranno meglio degli uccelli

Uno studio sulla resilienza climatica delle specie animali nel deserto del Mojave

[8 Febbraio 2021]

Il nuovo studio “Exposure to climate change drives stability or collapse of desert mammal and bird communities”, pubblicato su Science da un team di ricercatori statunitensi, ha scoperto che nell’arido deserto del Mojave, i piccoli mammiferi scavatori come il topo cactus (Peromyscus eremicus), il topo canguro (Dipodomys) e lo scoiattolo antilope dalla coda bianca  (Ammospermophilus leucurus) stanno resistendo alle condizioni più calde e secche innescate dai cambiamenti climatici molto meglio degli uccelli.

Dal ‘900 nel Mojave le temperature estive sono aumentate costantemente e il caldo torrido ha messo a dura prova gli uccelli del deserto. Nel 2018 lo studio “Collapse of a Desert Bird Community over the Past Century Driven by Climate Change”, pubblicato su PNAS da Kelly  Iknayan e Steven Beissinger dell’università della California – Berkeley, aveva già documentato un collasso delle popolazion di uccelli nella regione, dovuto probabilmente o all’incapacità di molte specie di uccelli di resistere all’innalzamento delle temperature: Ma i due scienziati fanno parte dello stesso team che ora ha scoperto che le popolazioni di piccoli mammiferi nel deserto sono rimaste relativamente stabili dall’inizio del XX secolo.

Utilizzando modelli computerizzati per simulare il modo in cui uccelli e mammiferi rispondono al caldo estremo, il team ha dimostrato che «La resilienza dei piccoli mammiferi è probabilmente dovuta alla loro capacità di sfuggire al sole nelle tane sotterranee e alla loro tendenza ad essere più attivi di notte. Come risultato di questi comportamenti, i piccoli mammiferi hanno “costi di raffreddamento” molto inferiori rispetto agli uccelli, che hanno una minore capacità di sfuggire al caldo del deserto e hanno bisogno di acqua extra per mantenere la giusta temperatura corporea».

Beissinger, autore senior del nuovo studio, evidenzia che «Gli scienziati tendono a presumere che la maggior parte delle specie in una regione subisca la stessa esposizione alle variazioni della temperatura o delle precipitazioni e che rispondano tutte allo stesso modo. Ma ora stiamo scoprendo che gli animali hanno strategie diverse per ridurre la loro esposizione a condizioni calde e secche che potrebbero ucciderli, Si dovrebbe guardare più attentamente a queste differenze in un ambiente duro come il deserto, dove la vita è davvero al limite».

I risultati del nuovo studio sono stati ottenuti nell’ambito del Grinnell Resurvey Project dell’università della California – Berkeley che punta a rivedere e documentare la fauna selvatica nei siti della California studiati per la prima volta tra il 1904 e il 1940 dal biologo della UC Berkeley Joseph Grinnell e dai suoi colleghi del Museum of Vertebrate Zoology. Le note dettagliate scritte sul campo di Grinnell sulla vita animale e vegetale dell’inizio del XX secolo hanno permesso ai biologi moderni di dare uno sguardo nell’ecologia del passato, consentendo loro di documentare l’impatto del cambiamento climatico sulla fauna selvatica in tutta la California.

Secondo il principale autore dello studio, Eric Riddell dell’Iowa State University, «Sta diventando chiaro che gli animali di tutto il pianeta stanno rispondendo ai cambiamenti climatici spostandosi da dove vivono e e cambiando quando si riproducono, e stiamo iniziando a ottenere prove davvero robuste, che possono essere associate al riscaldamento, del declino della popolazione in alcune aree. Ora, alcune stime suggeriscono che nel prossimo secolo una specie su sei sarà minacciata dal cambiamento climatico. Capire quali specie sono, che tipo di caratteristiche hanno, sarà fondamentale».

Negli ultimi anni, il Grinnell Resurvey Project si è concentrato sul cambiamento ecologico nel deserto del Mojave, un’area nel sud della California e nel Nevada che ospita i parchi nazionali della Death Valley e Joshua Tree e il Mojave National Preserve. All’UC Berkeley dicono che «Nel complesso, nell’ultimo secolo il deserto ha visto un aumento di circa 2° C della temperatura media e una diminuzione del 10-20% delle precipitazioni.

Una delle autrici dello studio, Lori Hargrove del San Diego Natural History Museum, aggiunge: «Si ritiene che le specie del deserto siano relativamente invulnerabili al riscaldamento climatico, ma molte specie del deserto sono già prossime o vicine ai limiti di tolleranza alla temperatura e a all’aridità. Ogni specie ha anche diversi gradi di resilienza. Il cambiamento climatico può sembrare minore, solo di pochi gradi, ma ha già avuto, e sta avendo, impatti diretti e significativi su molte specie, ognuna delle quali, a sua volta, a ha effetti su altre specie, con effetti a cascata ancora da capire».

Anche se il team di Grinnell non aveva il GPS, ha lasciato note dettagliate delle caratteristiche del territorio, come colline, montagne e torrenti che hanno studiato e che hanno permesso agli scienziati odierni di individuare i siti dove hanno lavorato entro meno di un chilometro, anche in regioni desolate come il deserto del Mojave. Beissinger, che è a capo del Grinnell Resurvey Project, racconta che  «A volte erano mappe topografiche molto carine e chiare, ma a volte abbiamo dovuto  fare un po’ di lavoro investigativo. Ad esempio, dicevano: “Lo abbiamo trovato a Horse Mountain “. Bene, ci sono tre Horse Mountain in California. Quindi, abbiamo rintracciato  la Horse Mountain nella regione di studio. E poi scopri che si sono accampati alla foce di un torrente. Allora guardi le vecchie mappe topografiche e vedi il torrente. Utilizzando questi dettagli, siamo stati in grado di ricreare più o meno dove erano».

Una volta identificato un luogo, il passo successivo è stato quello di fare il punto su quali animali ci vivono. Per esaminare le popolazioni di uccelli, i ricercatori scelgono un sentiero o un percorso specifico per camminare per 1,5 miglia e si fermano a intervalli predefiniti per registrare tutti gli uccelli che vedono o, più probabilmente, sentono.

Le indagini sui piccoli mammiferi sono un po’ più complicate. Dato che i piccoli mammiferi sono spesso più attivi di notte e di solito trascorrono le ore diurne nascondendosi nelle tane, i ricercatori si affidano a trappole per avere un’idea di quali animali si trovano nelle vicinanze.

Un altro autore dello studio James Patton del Museum of Vertebrate Zoology dell’UC Berkeley, e sua moglie Catol si sono occupati del team della catture dei piccoli mammiferi nel Death Valley National Park e spiegano che per campionare un determinato luogo hanno messo circa 200 trappole ogni notte per 4 o 5  notti e registrato ogni animale che catturavano. Patton evidenzia che «Per essere un operatore sul campo, devi avere sufficiente esperienza con la fauna locale per sapere che stai campionando la biodiversità degli habitat che sono effettivamente occupati. Ciò significa le variazioni nella comunità vegetale e nel substrato, ad esempio se la superficie del terreno è sabbiosa, rocciosa o dura».

I ricercatori del team di Beissinger hanno utilizzato modelli statistici che tengono conto delle differenze nei metodi di rilevamento tra i tempi di Grinnell e odierni, cosa che ha consentito loro di confrontare direttamente la diversità e la prevalenza delle specie tra l’inizio del XX secolo e oggi. I risultati del nuovo studio si basano su indagini di più giorni su 34 specie di piccoli mammiferi in 90 siti e 135 specie di uccelli in 61 siti situati soprattutto nelle  terre protette e nei parchi nazionali del deserto del Mojave.

Secondo lo studio, le popolazioni di uccelli sono diminuite rapidamente, con i 61 siti che hanno perso, in media, il 43% delle specie che ci vivevano un secolo fa, invece le popolazioni di piccoli mammiferi non sono cambiate in modo significativo. «I mammiferi hanno dimostrato questa straordinaria stabilità – fa notare Beissinger – E’ davvero piuttosto interessante che, nella stessa regione, con lo stesso livello di cambiamento climatico, questi due taxa molto simili abbiano risposto in modo molto diverso ai cambiamenti in atto».

Gli animali del deserto hanno escogitato una serie di trucchi per rimanere freschi in un clima caldo secco: a differenza degli esseri umani, uccelli e piccoli mammiferi non sudano, ma alcune specie si affidano ad altri metodi di raffreddamento evaporativo, come ansimare o “battere la gola”, una vibrazione dei muscoli della gola che aumenta il flusso d’aria nella gola degli uccelli. Altre specie cercano rifugio all’ombra o costruiscono tane sotterranee per sfuggire al sole. Altre specie sono notturne.

Per calcolare la temperatura corporea di ciascuna specie e le esigenze di raffreddamento in diverse condizioni del deserto, Riddell ha costruito modelli computerizzati di 49 uccelli del deserto. Gli uccelli per i quali il modello prevedeva avrebbero avuto il maggiore aumento nei costi di raffreddamento erano anche quelli che hanno mostrato le maggiori perdite nelle indagini sul campo, in particolare gli uccelli più grandi e quelli che hanno una dieta di insetti o carnivora. Per il nuovo studio, Riddell ha costruito ulteriori modelli fisiologici, questa volta per piccoli mammiferi del deserto e ora dice che «Le simulazioni stimano i carichi di calore che gli animali subiscono e quindi calcola quanto caldo hanno bisogno di guadagnare o perdere per mantenere una temperatura corporea stabile. E’ molto simile a come la nostra casa controlla la temperatura. Probabilmente vuoi mantenere la temperatura della tua casa abbastanza costante per tutte le stagioni, e mantenere la tua casa calda o fresca dipende da cosa è fatta la tua casa: quali sono le sue proprietà? Quanto sono spesse le pareti? Quanto sole lo colpisce? Questi sono i tipi di caratteristiche che ho misurato per uccelli e mammiferi. Ad esempio, un corvo nero assorbirà più luce solare di un uccello di colore più chiaro. Tuttavia, la forma dell’animale, lo spessore del piumaggio o del pelo e la lunghezza delle singole fibre determineranno la quantità di luce solare in grado di passare attraverso le piume e colpire la pelle dell’animale».

Per i piccoli mammiferi, Riddell ha studiato anche la velocità con cui il calore è in grado di trasferirsi attraverso la loro pelliccia e per calcolarla ha utilizzato esemplari attualmente conservati al Museum of Vertebrate Zoology: ha messo i campioni di pelliccia su un dispositivo riscaldato e posizionando le termocoppie sulla punta dei peli, è stato in grado di ottenere una stima della conduttanza termica di ciascun animale. Riddell spiega ancora: «La conduttanza termica è fondamentalmente la velocità con cui qualcosa trasferisce il calore del suo ambiente. Un grande mammifero lanuginoso potrebbe trasferire il calore molto lentamente, mentre un animale con pelo molto rado o corto, come uno scoiattolo gterricolo, potrebbe trasferire calore rapidamente».

I modelli comprendevano anche diverse fonti di calore alle quali un animale potrebbe essere esposto, come la radiazione solare diretta, la radiazione solare riflessa dal suolo e la radiazione infrarossa dal suolo, nota come radiazione a onde lunghe. Anche perché i piccoli mammiferi possono ritirarsi nelle tane sotterranee durante le ore più calde della giornata. Beissinger evidenzia che «Gran parte della differenza nei costi di raffreddamento è legata a ciò che chiamiamo differenze di microhabitat. I piccoli mammiferi sono in grado di andare sottoterra dove fa molto più fresco e non sono esposti alla luce solare diretta, che riscalda i corpi degli uccelli. Queste variazioni microgeografiche nella loro esposizione fanno una grande differenza e queste variazioni devono essere prese in considerazione quando pensiamo a come il cambiamento climatico avrà un impatto sulle singole specie. Per prevenire ulteriori perdite, sarà importante identificare rifugi locali nel deserto dove le specie saranno in grado di sopravvivere quando le temperature saliranno. Anche ridurre l’emungimento delle falde acquifere nella regione potrebbe impedire il prosciugamento di altre sorgenti del deserto, restituendo più acqua al territorio arido».

Riddell conclude: «Questo studio mi ha fatto capire quanto sia complicato prevedere gli effetti del cambiamento climatico. Non si tratta solo di dove il territorio si sta riscaldando e dove no.E’ un processo davvero complesso che coinvolge molti aspetti della biologia di un organismo, inclusa la loro fisiologia, il loro comportamento, la loro evoluzione: è tutto legato. Devi adottare un approccio veramente integrativo per capirlo».