Risolto il mistero della più grande estinzione di massa nella storia della Terra

Studio a partecipazione italiana: è stata causata dal rilascio di immense quantità di CO2 dai vulcani

[20 Ottobre 2020]

Prima della comparsa dei dinosauri, circa 252 milioni di anni fa, alla fine del Paleozoico, la vita sulla Terra ha subìto la più grave estinzione di massa mai registrata. Dal punto di vista del tempo geologico, si trattò di un’estinzione rapidissima che nel giro di poche decine di magliaia di anni portò all’estinzione di circa il 70% delle specie terrestri e del 95% delle specie marine. Le cause di questa enorme e catastrofica estinzione d massa sono state a lungo dibattute dagli scienziati, in particolare il come e il perché la Terra sia diventata inospitale per la vita così rapidamente.

Il nuovo studio “Permian-Triassic mass extinction pulses driven by major marine carbon cycle perturbations”, pubblicato su Nature Geoscience da un team internazionale di scienziati coordinati dal GEOMAR Helmholtz Zentrum für Ozeanforschung Kiel e dall’Helmholtz-Zentrums Potsdam – Deutsches GeoForschungsZentrum GFZ in collaborazione con l’università degli studi di Ferrara e l’università di Milano, «fornisce per la prima volta un quadro unitario e convincente sui meccanismi che hanno portato a questa estinzione e sulle sue conseguenze».

All’università di Ferrara spiegano che «Le ricercatrici e i ricercatori hanno utilizzato come archivio la conchiglia di brachiopodi fossili, invertebrati marini con due valve che sono comparsi circa 500 milioni di anni fa e hanno dominato le comunità marine nel Paleozoico». Uno degli autori dello studio, Renato Posenato dell’università di Ferrara, ricorda che «Le Dolomiti ospitano affioramenti di rocce di età Permiano-Triassica riccamente fossilifere, caratterizzate, in particolare, dalla presenza di brachiopodi che testimoniano gli ultimi istanti della vita nel Paleozoico. Questi affioramenti sono unici al mondo per la risoluzione temporale e l’ottimo stato di conservazione dei fossili» e un altro autore dello studio, Claudio Garbelli, anche lui dell’università di Ferrara, aggiunge che «Nello studio sono stati considerati anche esemplari provenienti dalla Cina Meridionale che hanno confermato il significato globale dei cambiamenti ambientali che causarono l’estinzione».

Per riuscire a ricostruire l’acidità degli antichi oceani della Terra, il team di ricercatori ha applicato un nuovo metodo di analisi degli isotopi del boro e del carbonio sulle conchiglie e l’autrice principale dello studio, Hana Jurikova, del GEOMAR e del GFZ e attualmente all’università britannica di St Andrews, spiega a sua volta che «Il pH delle acque marine è un ottimo indicatore delle condizioni ambientali. Non solo fornisce informazioni sull’acidità delle acque, che ha un forte impatto sugli organismi marini, ma, poiché dipende dalla quantità di CO2 disciolta nelle acque, permette di ricostruire le variazioni di anidride carbonica nell’atmosfera nel tempo».

Grazie a questo nuovo approccio, il team di ricerca ha potuto determinare il meccanismo che ha innescato l’estinzione alla fine del Paleozoico, legandolo direttamente «al rilascio di immense quantità di CO2 durante eventi di vulcanismo parossistico in quella che è oggi la Siberia». Un modello estremamente sofisticato realizzato ad hoc ha poi permesso di studiare gli effetti di questa importante emissione di gas serra, e di simulare i processi avvenuti sulla Terra in quell’intervallo di tempo».

I ricercatori ferraresi dicono che «I risultati ottenuti mostrano che le emissioni di CO2 causarono non solo l’acidificazione degli oceani e un riscaldamento globale a livelli letali per la maggior parte degli organismi. Esse portarono anche a cambiamenti drammatici nei processi di alterazione delle terre emerse e nel ciclo dei nutrienti negli oceani e, infine, a condizioni di anossia che decimarono gli ultimi organismi sopravvissuti» E LA Jurikova conferma che «Questa caduta a domino dei processi e dei cicli biogeochimici che sostengono la vita sul nostro pianeta ha quindi portato all’estinzione catastrofica di fine Paleozoico».

Lucia Angiolini, responsabile dell’unità di ricerca dell’università degli Studi di Milano nel progetto BASE-LiNE Earth – Innovative Training Network finanziato dall’Ue, e co-autrice dello studio, conclude: «Lo studio multidisciplinare delle conchiglie dei brachiopodi fossili ha un potenziale enorme per accrescere le nostre conoscenze sulla coevoluzione della vita, dell’ambiente e del clima sul nostro pianeta e questo è possibile in grandi progetti di collaborazione internazionale come BASE-LiNE Earth».

I ricercatori italiani sono stati supportati anche dal Progetto PRIN 2017RX9XXY “Biota resilience to global change: biomineralization of planktic and benthic calcifiers in the past, present and future”.