Salvare gli alberi habitat. Come è cambia in 200 anni la percezione dell’importanza dei vecchi alberi

Idee che ora diamo per scontate possono richiedere molto tempo per diventare sentire comune

[10 Luglio 2020]

Nel poster “Selvicoltura e alberi habitat: un metodo per rilevarne quantità e qualità ecologica applicato a due formazioni a faggio e a cerro”, presentato nel settembre 2015 al decimo congresso della Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale (Sisef), gli alberi habitat venivano  definiti come «alberi in piedi vivi o morti che forniscono nicchie ecologiche (microhabitat) quali cavità, tasche di corteccia, grossi rami secchi, epifite, crepe o colate di linfa – costituiscono un elemento cardine della gestione forestale sostenibile». Come spiega Cara Giaimo su Anthropocene «Sebbene tali alberi non siano necessariamente vivi, sono quasi sempre pieni di vita: possono essere posatoi per pipistrelli e marsupiali, nascondigli per le noci per scoiattoli e picchi, impalcature per il muschio e le briofite, o dispensare di linfa per insetti e funghi».

Ora Lo studio “Habitat‐tree protection concepts over 200 years”, pubblicato su Conservation Biology da Andreas Mölder, Peter Meyer e Marcus Schmidt del  Nordwestdeutsche Forstliche Versuchsanstalt (NW-FVA) e Tobias Plieninger della Georg-August-Universität Göttingen ripercorre la lunga e difficile storia che ha portato alla protezione degli alberi habitat e spiega che per molto tempo l’idea di salvaguardarli è stata ritenuta una bizzarria.

Secondo i ricercatori tedeschi, il primo appello scritto per salvare gli alberi habitat risale al 1819 e a lanciarlo fu il noto scienziato forestale tedesco Karl Friedrich von Sponeck che definiva questi alberi “difettosi” come una specie di bruttezza necessaria. «Può sembrare strano a molte persone che si consigli di conservare vecchi alberi cavi – scriveva – Ma per un certo periodo, preferiranno sicuramente trovare alcuni alberi cavi deformi e vecchi nella foresta piuttosto che vedere migliaia di alberi più giovani e più belli che continuano a morire».”

Durante il XIX secolo, quando l alcune persone cominciarono ad appassionarsi al birdwatching e quindi al benessere dei volatili, soprattutto quelli insettivori onsiderati particolarmente utili, l’idea di tutelare gli alberi habitat cominciò in qualche modo a diffondersi.

Gli auori del nuovo studio scrivono che nel 1860, un ornitologo tedesco, Constantin Wilhelm Lambert Gloger, «chiese che tutti i governi tedeschi istruissero gli ufficiali forestali a non abbattere gli alberi cavi» e che venissero piantate specie, come le querce, che invecchiando avrebbero probabilmente formato delle cavità al loro interno. Gloger era così convinto dell’utilità e dell’importanza di quelli che poi sarebbero stati chiamati alberi habitat che cercò di imitarli e fu uno dei primi a montare delle bat-box per i pipistrelli.

Ma la protezione dei vecchi alberi cab vi trovò una fiera opposizione tra i gestori delle foreste dell’Europa centrale, preoccupati perché il non abbattimento degli alberi habitat secondo loro avrebbe ridotto la salute della foresta in generale. Ma tra loro c’erano dei dipendenti che non erano d’accordo e  ci sono prove che alcuni  boscaioli abbiano preservato i vecchi alberi «clandestinamente, contro le istruzioni dei loro supervisori», come scrivono gli autori dello studio.

Alla fine del 1800, gli alberi cavi si erano già conquistato un certo rispetto in Europa e negli Stati Uniti. All’inizio del 1900, cacciatori e trapper americani «chiedevano spesso la conservazione degli alberi tana» che fornivano rifugio agli animali che cacciavano e alcuni ecologi iniziarono a esaminare quali specie utilizzassero i vecchi alberi come habitat.

Ma i ricercatori tedeschi fanno notare che «Durante il XX secolo, abbattere gli “alberi difettosi” era ancora normale in molte parti del mondo, comprese Australia, India, Europa e Stati Uniti. Persino gli “alberi veterani”, enormi alberi antichi il cui impatto culturale corrisponde al loro impatto ecologico, hanno iniziato a perdere importanza quando la produzione di legname è diventata sempre più efficiente».

In realtà è stato solo negli anni ’70, quando l’idea di salvaguardia della natura ha iniziato a diventare di una certa importanza, che l’idea di proteggere gli alberi habitat è diventata popolare. Il termine “albero habitat” – diventato di successo – sembra essere stato coniato alla fine degli anni ’70, dai silvicoltori australiani. Nei decenni successivi, gli ecologi hanno studiato «l’importanza precedentemente trascurata degli alberi habitat per la conservazione dei gruppi di specie», dai piccoli coleotteri che si cibano della linfa ai grandi mammiferi in via di estinzione come gli orsi del sole.

Ora, la conservazione degli alberi dell’habitat è una parte vitale dei piani di conservazione sia statali che locali o addirittura di quartiere e gli arboricoltori urbani ormai li creno, utilizzando spesso alberi che altrimenti potrebbero essere abbattuti.

Gli autori dello studio fanno notare che «Ci sono voluti quasi 200 anni per implementare ampiamente le idee lungimiranti che ora fanno tendenza dei silvicoltori e degli scienziati naturali del XIX secolo che chiedevano la protezione degli alberi dell’habitat»,

E si può dire che gli scienziati e naturalisti europei non hanno scoperto niente di nuovo, visto che gli alberi cavi sono stati importanti per millenni nelle società indigene del Nord America e tra gli aborigeni australiani.

Ancora una volta il futuro era scritto in un passato che ci siamo dimenticati.