Scoperte inattese somiglianze genetiche tra pipistrelli e delfini

Accomunano le specie che utilizzano l’ecolocalizzazione. Un metodo che apre la strada per curare patologie umane

[8 Ottobre 2019]

Lo studio “A functional enrichment test for molecular convergent evolution finds a clear protein-coding signal in echolocating bats and whales”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team di ricercatori della Stanford University rivela che «Adattamenti evolutivi come l’ecolocalizzazione che sono condivisi da specie non correlate sono emersi in parte a causa di identici cambiamenti genetici acquisiti in modo indipendente«

Dallo studio viene fuori che i pipistrelli insettivori che si spostano agevolmente al buio e i delfini e le orche che vanno a caccia di prede anche nelle acque torbide ci riescono, in parte, grazie a dei cambiamenti specifici avvenuti in un insieme di 18 geni coinvolti nello sviluppo del ganglio cocleare – un gruppo di nervi che trasmettono il suono dall’orecchio al cervello.

I ricercatori della Stanford evidenziano che «Sorprendentemente, queste specie molto diverse hanno evoluto la loro capacità unica di usare le onde sonore per spostarsi e identificare ostacoli e gustosi bocconcini, siano essi zanzare o pesciolini, in parte acquisendo mutazioni identiche nei loro genomi – mutazioni non condivise da altre specie più vicine a loro come le megattere, che setacciano pazientemente l’oceano per il krill, o pipistrelli della frutta, che cercano snack fissi e profumati».

La scoperta risolve un dibattito che appassionava e divideva i biologi da molto tempo sul fatto che i pipistrelli e i cetacei che utilizzano l’ecololocalizzazione abbiano subito indipendentemente cambiamenti genomici simili per raggiungere alla fine lo stesso obiettivo. Inoltre, i ricercatori dicono che «Lo studio apre le porte alla comprensione delle basi molecolari di disturbi umani, come la sordità, le lesioni cutanee causate da colesterolo alto e il mal di montagna».

L’autore senior dello studio, Gill Bejerano, che insegna developmental biology, of computer science, of pediatrics and of biomedical data science alla Stanford, fa notare che «Non è solo strabiliante vedere come queste specie molto diverse hanno scavato le proprie nicchie evolutive acquisendo in modo indipendente cambiamenti genetici simili, ma è utile per la nostra comprensione della nostra fisiologia e sviluppo. I biologi dello sviluppo si sono a lungo domandati se, al livello più elementare, qualcosa che sia lo stesso all’esterno – come le specie che usano l’ecolocalizzazione – siano lo stesso dentro. Cioè, acquisiscono questi tratti attraverso cambiamenti molecolari simili? Ora sappiamo non solo che, almeno alcune volte, questo è vero ma anche che molti di questi cambiamenti avvengono nella regione codificante del genoma. E’ affascinante.”

Anche se si sapeva che il ganglio cocleare era coinvolto nell’ecolocalizzazione, gli studi precedenti si sono basati principalmente sull’intuizione dei ricercatori per identificare possibili players genetici in base alla conoscenza precedente della loro funzione, quello che il team della Stanford definisce una specie di approccio looking-for-your-lost-keys-under-a-lamppost.  Gli studi precedenti suggerivano ci fossero solo alcune mutazioni responsabili in soli quattro geni coinvolti nell’udito.

Ma i ricercatori della Sanford hanno sviluppato un modo per setacciare intere sequenze di genomi e portare alla luce i cambiamenti genetici condivisi da animali con abilità o tratti insoliti. Poi hanno usato la tecnica per identificare i geni coinvolti non solo nell’ecolocalizzazione, ma anche in altri elementi essenziali per lo sviluppo della pelle specializzata di mammiferi acquatici come lamantini e orche, o per l’aumento della capacità polmonare e della resistenza fisica in animali che vivono ad alta quota come le pika e gli alpaca.

Alla Stanford sono convinti che <La tecnica sviluppata dai ricercatori probabilmente aprirà innumerevoli porte ai biologi che cercano di identificare le basi genetiche di altri tratti adattativi. I risultati rispondono anche a un’altra domanda molto dibattuta nella biologia dello sviluppo». Bejerano spiega ancora: «Per molto tempo, i biologi si sono chiesti se possano verificarsi importanti cambiamenti evolutivi attraverso cambiamenti nelle sequenze di geni che sono molto simili tra le specie correlate. Questi geni spesso controllano molteplici funzioni in diversi tessuti in tutto il corpo, quindi sembra molto difficile introdurre cambiamenti anche minori. Ma qui abbiamo scoperto che non solo queste specie molto diverse condividono specifici cambiamenti genetici, ma anche che questi cambiamenti si verificano nelle sequenze di codifica».

Bejerano e il suo team – composto da Amir Marcovitz, Yatish TurakhiaHeidi I. ChenMichael GloudemansBenjamin A. Braun e  Haoqing Wang – hanno sviluppato la tecnica cercando casi in cui gli animali che condividono tratti unici condividessero anche cambiamenti nel loro DNA che non si trovano nei loro simili più strettamente correlati. Per esempio, per analizzare l’evoluzione dell’ecolocalizzazione hanno confrontato le sequenze genetiche dei pipistrelli che utilizzano l’ecolocalizzazione con quelle dei grandi pipistrelli che non ecolocalizzano, e quelle dei cetacei odontoceti, come i delfini e le orche, con i mammiferi terrestri dotati di denti e artigli. (Al momento dello studio, le sequenze dell’intero genoma per le balene che non utilizzano la geolocalizzazione non erano disponibili). I ricercatori hanno cercato casi in cui le sequenze del DNA dei geni sono cambiate in modo indipendente per codificare gli amminoacidi che, sebbene identici tra le specie ecolocalizzanti, differivano dagli amminoacidi presenti in quella posizione nella maggior parte degli altri mammiferi. Hanno quindi escogitato un modo per determinare se questi cambiamenti si sono verificati più spesso di quanto ci si aspetterebbe per caso in particolari gruppi di geni che si prevede abbiano funzioni simili. Esistono circa 4.000 gruppi di geni che influenzano lo sviluppo e la funzione di una grande varietà di tessuti nei mammiferi.

Sorprendentemente, hanno scoperto che la loro analisi individuava nel ganglio cocleare il singolo tessuto più interessato nei mammiferi che utilizzano l’ecolocalizzazione e spiegano che «In particolare, si sono verificati 25 cambiamenti “convergenti” di aminoacidi in 18 geni noti per essere coinvolti nello sviluppo del ganglio cocleare. Solo 2 dei 25 cambiamenti erano stati precedentemente identificati in precedenti studi sull’ecolocalizzazione».

Bejerano sottolinea che «Tirare fuori il ganglio cocleare – un vero poster child per lo sviluppo dell’ecolocalizzazione – da un cappello contenente più di 4.000 possibili set genetici, basa dosi sulla sola sequenza genomica, è stato piuttosto spettacolare».

Infine, gli scienziati hanno approfondito i dati per assicurarsi che il loro strumento non identificasse erroneamente i casi in cui diversi animali avessero evoluto o abbandonato alcuni tratti quando non erano più richiesti dal loro ambiente. Per farlo hanno esaminato le sequenze dell’intero genoma di diverse talpe sotterranee che hanno perso la vista dopo millenni al buio sottoterra.

Bejerano conclude: «Questo studio è un ottimo esempio di ciò che possiamo realizzare quando combiniamo i dati in sequenze di interi genomi di più specie con informazioni funzionali su geni specifici. La comunità biomedica ha raccolto entrambi questi dataset per molti anni, ed è meraviglioso essere ora alla confluenza di questi due campi: identificare le relazioni tra conservazione e funzione dei geni e tra fenotipo e sequenze geniche. Ora abbiamo sviluppato uno strumento in grado di schermare milioni di potenziali corrispondenze e stiamo assistendo alla nascita di alcuni fantastici schemi. Farlo con altri animali e per altri tratti sarà molto divertente».