Tra Senato e legge elettorale, che fine ha fatto il Titolo V della Costituzione?

[4 Agosto 2014]

Sulla riforma del Titolo V, nonostante le migliaia di emendamenti sulla fine del Senato e il destino della legge elettorale, finora si sa poco o nulla; eppure per questo aspetto non si può neppure cavarcela con il ritornello ‘sono 30 anni che se ne parla’. Infatti, nel 2001 la Costituzione fu modificata nel tentativo di riuscire finalmente a mettere fine ad un penalizzante conflitto istituzionale e far prevalere quella ‘leale collaborazione’, pur prevista ma inattuata.

Si cercò in sostanza di coinvolgere le regioni e di conseguenza con la sussidiarietà anche gli enti locali attraverso la legislazione concorrente nella gestione delle competenze esclusive dello Stato, a partire dall’ambiente.

Come sono andate le cose è noto, e la palla torna a centro campo ma non perché tutto  torni ai vecchi santi, bensì per riuscire dove allora fallimmo.  Riuscirci questa volta è ancor più di ieri un dovere, visto che si sta discutendo di una Camera – o come si chiamerà, Duma? – sulle autonomie. Sarebbe grottesco e paradossale infatti ritenere possibile (anzi, consigliabile) tornare a quando lo Stato poteva fare ciò che voleva, e non solo sulle competenze esclusive, che restano naturalmente il passaggio cruciale. Competenza esclusiva non significa però che sull’ambiente, il paesaggio, gli ecosistemi lo Stato debba provvedere anche a come queste attività impattano del territorio, nella sua gestione e non solo urbanistica. Per questo sono previsti i piani regionali sul paesaggio, sulla difesa del suolo, la gestione dei boschi e delle foreste e di altre attività riconducibili all’ambiente come valore o ‘materia’, ma non a gestioni ministeriali. E non si dica che le regioni hanno dato pessima prova di governo perché se questo per molti versi purtroppo è vero non è certo lo Stato ad uscire da questa pessima prova alla grande.

Per il dissesto del suolo, il consumo sfrenato e rovinoso del territorio, una gestione urbanistica che in tanti anni non si è riusciti ricondurre ad una nuova legge conforme al dettato costituzionale, lo Stato non può certo pensare di scaricare su altri le sue responsabilità visto che si  è regolarmente e puntualmente infischiato anche dei richiami dell’Europa.

Va dunque sgombrato il campo da persistenti ambiguità che hanno favorito solo una micidiale e paralizzante conflittualità istituzionale per cercare che i diversi ruoli dello Stato e delle regioni, su un piano di pari dignità, siano ridefiniti senza pasticci ma anche senza prevaricazioni.

Per ora non è per niente chiaro cosa bolla in pentola, e sarebbe bene perciò non perdere altro tempo e mettere mano a un confronto serio. Altrimenti rischiamo il protrarsi di una situazione dove, in nome del ‘federalismo’, le regioni sono chiamate per conto dello Stato a svendere i nostri beni comuni demaniali e non, tanto che oggi si è riusciti a mettere in vendita persino il Monte Cristallo (nella foto) sopra Cortina d’Ampezzo, insieme a tante altre cose che non possiamo e non dobbiamo svendere.

Le opinioni espresse dall’autore non rappresentano necessariamente la posizione della redazione