Riceviamo e pubblichiamo

Il Titolo V e quel che manca al Pd per andare a sinistra: una politica nazionale sull’ambiente

[13 Aprile 2016]

È in corso nel Pd una discussione su Dove va la sinistra? Vorrei soffermarmi su un aspetto che di fatto – e già da prima della gestione Renzi – aveva iniziato a sparire o quanto meno opacizzarsi, e cioè una politica ambientale: ossia un tema oggi sempre più strategicamente decisivo per la sinistra non solo italiana. E visto che il problema delle riforme costituzionali e istituzionali tiene banco a partire dal Titolo V vorrei ricordare che la discussione sul precedente Titolo V ora ‘liquidato’ per il suo ‘fallimento’ prese le mosse in particolare proprio dall’esigenza di garantire una leale collaborazione istituzionale tra Stato, regione ed enti locali, senza la quale il governo del territorio e specialmente l’ambiente sarebbe rimasta incagliata in politiche ministeriali centralizzate.

Bastava d’altronde verificare perché anche leggi importantissime come quella sul dissesto idrogeologico, del mare, sui parchi, sui fiumi, il paesaggio – tutte incentrate su politiche di programmazione e pianificazione – non erano riuscite a impedire un diffuso abusivismo, a utilizzare efficacemente le risorse disponibili sia sul piano nazionale che comunitario. In più d’un caso erano sparite sedi e strumenti di coordinamento a ciò preposti in alcune di queste leggi. E anche l’abrogazione del ministero della Marina mercantile, ad esempio, non aveva fatto cambiare molto la gestione del mare da parte del ministero dell’Ambiente.

La stessa Conferenza Stato-Regioni aveva mostrato tutti i suoi limiti. Lo Stato aveva insomma confermato – pur disponendo di  ampie competenze  normative – di non sapere o volere coinvolgere regioni e enti locali su un piano di pari dignità. Situazione confermata dalla legge Bassanini che fu, ad esempio, totalmente ignorata dal ministero dell’Ambiente che non applicò nessuna delle sue disposizioni volte a garantire questa concertazione.

Con il nuovo  Titolo V si cercò di uscire da questo centralismo fallimentare e paralizzante immettendo regioni ed enti locali in un circuito appunto di ‘leale collaborazione’ e di pari dignità. Come sono andate poi le cose lo sappiamo. La crescente e abnorme conflittualità costituzionale che ne seguì  ha  paralizzato  tutto il sistema favorendo soltanto il reciproco scaricabarile. Il nuovo Titolo V avrebbe  perciò dovuto rimediare a questi intoppi ma ha scelto la via di un ritorno all’antico con una centralizzazione definita più correttamente dai costituzionalisti ripristino di una supremazia statale su regioni ed enti locali che, come dicono Renzi e la Boschi, sono state punite meritatamente per le loro colpe.

Lo Stato invece avrebbe meritato il contrario nonostante i disastri territoriali micidiali, un abusivismo crescente anche in territori vincolati e protetti, un crescente consumo di territorio agricolo e non, commissariamenti senza fine, una gestione della biodiversità di cui nessuno si è accorto e tanto altro ancora. Insomma, di tutto questo le regioni avrebbero avuto grandi responsabilità e colpe e quindi sono state punite, lo Stato al contrario non ne avrebbe e lo si è ‘premiato’ tornando ai vecchi santi. Sarebbe questo secondo il governo e il Pd il messaggio che viene dagli accordi di Parigi, dall’Expo, dall’Enciclica di Papa Bergoglio? Eppure al Pd, già al tempo di Bersani, associazioni ambientaliste e tante personalità della cultura mossero una critica per il defilarsi sempre più evidente del partito dalle vicende ambientali sul piano internazionale e non solo nazionale. Perdemmo anche dei pezzi. Il  governo Monti sanzionò questo andazzo e le cose andarono sempre peggio ad eccezione delle iniziative di Fabrizio Barca per coordinare gli impegni ministeriali con le regioni, soprattutto al Sud, per i progetti comunitari.

Con l’arrivo infine del ministro Galletti si è passati alla totale clandestinità da cui recentemente ci ha fatto sapere di essere molto preoccupato per il clima anti-industriale del Paese, mentre Renzi lo è -come ci ha detto lui – per i ritorni ad un “clima bucolico”. Insomma, di un ambientalismo alla Bambi di cui si parlò negli anni in cui le istituzioni cominciarono ad occuparsi dell’ambiente; il che a molti naturalmente non piaceva né punto né poco, così cercarono di ridicolizzarla.

Oggi anche il Pd sembra preferire raffigurazioni persino caricaturali di una situazione quanto mai drammatica e complicata, che di tutto ha bisogno tranne di immagini di comodo e soprattutto di minore incompetenza a partire da Roma. Lo è sicuramente continuare con la solfa che tutto è bloccato da decenni di chiacchiere e da una burocrazia e una magistratura con poca voglia di fare e decidere.

Se i nostri bacini regolati da una buona legge non sono riusciti in troppi casi a fare i piani previsti dalla legge e ad avvalersi dei finanziamenti disponibili di chi è la colpa? E se i bacini da alcuni anni sono in attesa di trasformarsi in distretti come stabilito dall’Unione europea ma ancora non è accaduto nulla salvo far finire nelle mani di Bertolaso la Protezione civile, che c’entrano burocrati e magistrati? Se in regioni come la Liguria (molto prima di Toti) e in Toscana l’abusivismo ha riguardato anche argini e ambienti  protetti, se su piste aereoportuali di cui si sono interessati come abbiamo appena saputo anche Gemelli e soci il segretario regionale del Pd invita il partito toscano a non perdere tempo su 1000 metri in più o in meno di una pista in area protetta e sbeffeggia gli Asor Rosa che esprimono preoccupazioni sul futuro delle Apuane e di nostri altri territori pregiati dobbiamo rifarcela con la bucolica o i magistrati in ferie: il governo e il partito non c’entrano nulla?

E mentre si parla di trivelle e di referendum, quanti sanno che al Senato – relatore Pd – è in discussione una legge di modifica di quella sui parchi che prevede che la tutela marino-costiera sia completamente ministerializzata sulla base di un piano triennale e del tutto separata da quella terrestre e in parte anche privatizzata nella gestione della sua tutela?

Non so nel governo, ma nel partito qualcuno ne ha discusso dove e con chi? Anzi, qualcuno lo sa? O continuiamo a procedere come con l’emendamento sulle trivelle sbucato di notte in commissione senza che nessuno sapesse neppure chi l’aveva scritto fino a quando reo-confesso Renzi ha detto: l’ho fatto io!

Il Pd specie se vuole essere di sinistra e andare a sinistra ha bisogno di una politica nazionale sull’ambiente che ora non c’è, e deve finalmente avere sedi nazionali, regionali e locali dove se ne discute e si decide, non in attesa di emendamenti notturni. E questo non sarà possibile se non si rimette mano anche al Titolo V perché molti hanno già detto che altrimenti al referendum di ottobre non voteranno sì. Ho appena letto che c’è chi considera comunque anche la diminuita competenza legislativa delle regioni diretta compensata da una maggiore compartecipazione. Le recentissime vicende sulle trivelle non mi pare vadano in questa direzione.

Ecco perché la Serracchiani non può continuare a dire che chi non condivide l’attuale Titolo V è contrario a  qualsiasi riforma. È solo contrario a questo testo pasticciato che può e deve essere ‘corretto’. D’altronde c’è qualcuno in grado di dirci dove e chi ha scritto anche gran parte delle norme della riforma? È vero che essa è giunta alla sua sesta votazione e non certo nel modo migliore, ma durante questo cammino quante di quelle norme sono state oggetto di un confronto e non solo a Roma e in Parlamento?

Si può ancora far finta che nel partito non ci sia un diffuso disagio? Insomma non basta correre per fare le cose giuste perché finora a corsa si sona fatte non poche stupidaggini, come sta puntualmente ancora accadendo. Partito avvisato…

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