Riceviamo e pubblichiamo

Una riflessione sulla politica ambientale della Regione Marche

[9 Gennaio 2019]

La Regione Marche in anni ormai lontani, grazie alla forza raggiunta per virtù propria e come segno dei tempi dal sistema regionale delle aree protette, si segnalò come sede della manifestazione nazionale “Parco produce”, come il punto d’incontro di una giornata internazionale di studi e di confronti sulla comunicazione nei parchi promossa da Fedenatur, e come il luogo di una importante iniziativa del coordinamento regionale tra i parchi e le aree protette che diede vita a importanti proposte, la più importante delle quali fu il progetto “coste italiane protette” che fu accompagnato da una intensa attività di ricerca e di pubblicazione di studi sull’argomento.

Senza alcun desiderio di suscitare lodi postume ed inutili riconoscimenti, ma esclusivamente a onore del vero, va scritto senza ambigue omissioni che il ceto politico che amministrò in quegli anni la Regione Marche non fu migliore di quello attuale, ma che fu costretto ad esserlo nei fatti, nelle scelte, nelle deliberazioni amministrative, grazie alla forza che le aree protette avevano conquistato nell’opinione pubblica e tra i cittadini che entravano in contatto con manifestazioni, iniziative, pubblicazioni e momenti di tutela e valorizzazione più convincenti di tanti articoli di giornali o di riviste, che pure riuscivamo a mettere in piazza.

Chi ricorda quei tempi, segnati da fattive collaborazioni con le università (la facoltà di Economia “Giorgio Fuà”; la facoltà di Agraria; quella di Scienze del mare), con le associazioni ambientaliste, ma anche con industriali e albergatori, non può credere ai propri occhi nel vedere lo scempio al quale è ridotto il sistema dei parchi marchigiano, nonostante abbia viva nella sua memoria la complessa sequenza di vittorie e di sconfitte, di passi avanti e passi indietro, che il sistema delle aree protette marchigiane registrò in quegli anni, nei quali non tutto andava liscio, e non tutti gli amministratori seguivano di buon grado il vento dell’ambientalismo.

I presidenti di regione che nelle Marche appoggiarono esplicitamente i parchi non sono nella memoria di nessuno. E perfino gli assessori al ramo veramente persuasi dell’utilità di quell’insieme di attività stanno molto larghi nelle dita di una sola mano. La verità è che tutto si giocò sul crinale scivoloso del politicamente corretto, che impose scelte in qualche caso perfino coraggiose, in quanto era impossibile farsi accusare di aperto sabotaggio del buongoverno dei parchi e delle aree protette di allora.

Oggi invece si può. Approfittando dell’incapacità dei parchi di restare in rete e di difendere con forza il loro ruolo di bilanciamento e di contrappeso – se necessario anche polemico – rispetto alle scelte regionali, è avvenuto un devastante sfondamento dell’avversario storico del mondo della tutela e della valorizzazione, fatto di burocrati, ragionieri e politici sordi e inadeguati.

Dopo i continui tagli ai finanziamenti, infatti, il Parco del Conero, un tempo leader di ogni iniziativa promossa dal sistema delle aree protette, non è più in grado di assicurare nessun servizio ai visitatori. Con i 540.000 euro (contro gli ultimi 1.600.000 dell’ultima decurtazione) il Conero non riesce a svolgere neppure le manutenzioni ordinarie (cartellonistica e segnali nei sentieri ufficialmente proposti agli escursionisti, aggiornamento delle cartine, ampliamento delle strutture didattiche), e si è dovuto privare di ben due dipendenti, trasferiti in altrettanti Comuni aderenti all’Ente.

Naturalmente non c’è più da tempo il giornale che andava in tutte le case dei residenti. Non si stampano più libri. Non si tengono più convegni.

In una fase caratterizzata dall’evidente necessità di passare da una economia prevalentemente manifatturiera o agricola ad una nuova politica basata sul turismo e sull’effetto moltiplicatore delle aree protette sullo sviluppo dei territori, l’ente parco vive di ricordi e compie esercizi acrobatici per far quadrare un bilancio del tutto inadeguato alle più elementari esigenze.

Se si considera i ritardi che deteriorano l’immagine dell’attuale Ente Regione nel cratere del terremoto, e se si fa mente locale al fatto che una località come Visso oltre che essere uno dei maggiori problemi del dopo sisma è anche la sede del Parco nazionale dei monti Sibillini, e che pertanto dovrebbe e potrebbe essere il punto su cui infilare la leva del nuovo modo di svilupparsi e di riprendere a vivere, si può cogliere con quanta apprensione vivono le giornate del dopo terremoto (ricche di scandali su casette provvisorie che non hanno retto all’impatto di una invernata del tutto prevedibile, e su centri di aggregazione sociale che stentano a venire alla luce) tutti coloro che in epoche ormai dimenticate credettero di aver messo le basi di progetti di vasto respiro, quali l’Appennino parco d’Europa e le Coste italiane protette.

E’ tempo di prendere atto dell’impossibilità di gestire una politica ricca di contenuti moderni e creativi in assenza di personale politico all’altezza della sfida. Se in passato la “via autarchica” dell’agiamo come se ha dato alcuni frutti, oggi i predicozzi risultano ininfluenti, e i pochissimi consiglieri regionali in grado di comprendere il valore di quello che viene tagliato assieme ai finanziamenti non hanno strumenti per opporre le loro ragioni, non esistendo alle loro spalle forze politiche solide e culturalmente preparate.

E’ su questo sfondo che si recitano le ultime comiche che squalificano sempre più tragicamente l’istituto regionale marchigiano.

E’ in gestazione una legge regionale sulle aree protette che non prevede nulla di quanto stiamo osservando, ma che pure si è bloccata tra la commissione e il consiglio per una banale e classica lotta di potere tra i Comuni che rivendicano di mantenere la maggioranza nella giunta esecutiva, spalleggiati dall’Anci, e le associazioni ambientaliste, assieme agli agricoltori e alla Regione che non condividono quella richiesta.

I giochi sono quindi fermi non perché ci sia una parte intenzionata a difendere lo sviluppo di vecchio tipo, manifatturiero ed agricolo, contro quello basato sul nuovo motore rappresentato dall’economia verde, o verde azzurra (parchi terrestri e marini), ma soltanto per brutali questioni di posti.

Ma la vera natura dell’attuale governo regionale viene allo scoperto quando si tratta di caccia. Come è noto esiste una normativa europea che proibisce la caccia nelle aree della rete “Natura 2000”, e quindi nelle Zps e nei Sic. Ebbene il piano faunistico marchigiano non tiene in considerazione tale normativa. E quando le associazioni ambientaliste hanno sottoposto la questione alla magistratura e questa ha dato loro ragione, la Regione Marche ha varato in fretta e furia una leggina (durante il periodo pre natalizio) per ribadire che a suo modo di vedere nelle aree di “Natura 2000” presenti nelle Marche è permesso cacciare.

Il WWF ha di nuovo fatto ricorso. E la magistratura ha espresso di nuovo il suo parere negativo. E la Regione Marche insiste nel dire che mezza regione è a rischio di proliferazione incontrollata di fauna selvatica.

La verità è che nelle Marche oramai proliferano politici incapaci di comprendere il senso delle direttive europee e la ragione dell’esistenza dei parchi nazionali e regionali, delle aree della rete “Natura 2000” e di tutta la delicatissima struttura di tutela e di conservazione della quale fa parte essenziale l’adeguato finanziamento degli enti parco, che sono oggi la più clamorosa cartina di tornasole dell’insipienza ambientalista di governanti che a chiacchiere affermano la priorità dello sviluppo della green economy, come se si trattasse di una giaculatoria o di uno slogan vuoto e a perdere.

di Mariano Guzzini, già presidente del Parco del Conero