Cambiamenti climatici, la civiltà umana potrebbe collassare entro il 2040?

Lloyd's e governi UK e USA: business-as-usual è insostenibile, ma siamo ancora i tempo ad evitare il crollo

[24 Giugno 2015]

Nuovi modelli scientifici supportati da Foreign Office del governo britannico mostrano che, se non cambiamo rotta, in meno di tre decenni la civiltà industriale potrebbe collassare essenzialmente a causa di scarsità di cibo catastrofiche, innescate da una combinazione di cambiamenti climatici, scarsità d’acqua, crisi energetica ed instabilità politica. Non si tratta di una previsione catastrofista di un a qualche associazione dell’ambientalismo estremo: i nuovi modelli vengono sviluppati dal Global Sustainability Institute (Gsi) della Ruskin University grazie al progetto Global Resource Observatory’ (Gro) finanziato dal Dawe Charitable Trust ed al quale partecipano il Foreign & Commonwealth Office (Fco) del governo britannico; Lloyds di Londra; Aldersgate Group, una coalizione ambientale di leader economici, politici e della società civile; Institute and Faculty of Actuaries; Africa Development Bank; Asian Development Bank; università del Wisconsin.

Prima che vi facciate prendere dal panico, la buona notizia è che gli scienziati che hanno realizzato questo modello non credono che sia inevitabile, infatti la previsione non tiene conto di come in realtà la gente potrebbe reagire a queste crisi cambiando comportamenti e politiche. Ma si tratta comunque di un serio allarme che dimostra che il business-as-usual ci porta verso la fine del mondo così come lo conosciamo e ci ricorda che il nostro attuale modo di vita non è sostenibile.

I Lloyds hanno appena pubblicato un rapporto per valutare il rischio a breve termine di una «perturbazione acuta per l’approvvigionamento alimentare globale» che si avvale della modellazione Gro e che, come spiega Nafeez Ahmed* su Insurge Intelligence «Analizza lo scenario di un’interruzione dell’approvvigionamento alimentare globale a breve termine, considerato plausibile sulla base di eventi passati, soprattutto in relazione alle future tendenze del clima». Gli autori del rapporto dicono che il sistema alimentare globale «E’ sotto pressione cronica nel soddisfare una domanda sempre crescente e la sua vulnerabilità alle interruzioni acute è aggravata da fattori quali il cambiamento climatico, lo stress idrico, la globalizzazione in corso e l’instabilità politica che sta aumentando». Lo scenario dei Lloyds dimostra che «La produzione alimentare in tutto il pianeta potrebbe essere notevolmente compromessa a causa di una combinazione di soli tre eventi meteorologici catastrofici, portando ad un deficit nella produzione delle colture di base e ad una conseguente impennata dei prezzi».

Nello scenario “set in the near future” i prezzi di grano, mais e soia aumentano fino a quadruplicare rispetto a quelli visti negli anni 2000, mentre il prezzo del riso aumenta del 500%, questo provoca un’impennata anche dei prezzi degli altri prodotti agricoli, dei prodotti chimici per l’agricoltura e delle altre filiere agricole. Le precisioni fatte dalla grande compagnia assicuratrice sono fosche: «Rivolte per il cibo scoppiano nelle aree urbane di tutto il Medio Oriente, Nord Africa e America Latina. L’euro si indebolisce e le principali borse europee perdono il 10% del loro valore; I mercati azionari statunitensi le seguono e perdono il 5% del loro valore». Ahmed aggiunge che «L’analisi dello scenario dimostra che un risultato fondamentale di qualsiasi shock sistemico simile per l’approvvigionamento alimentare globale – a parte le “conseguenze umanitarie negative e gravi perdite finanziarie in tutto il mondo” – sarebbe il caos geopolitico così come l’escalation del terrorismo e dei disordini civili».

Questi scenari catastrofici non sono un esercizio di fantapolitica ma puntano esplicitamente « «preparare le assicurazioni a possibilità che sono ora più probabili di quanto ipotizzato in precedenza» e i rapporto dei Lloyds sottolinea: «Ciò che colpisce riguardo allo scenario è che la probabilità che accada è stimata come significativamente superiore al periodo di ritorno di riferimento di 1:. 200 anni richiesti per la valutazione della capacità degli assicuratori di pagamento dei crediti nei confronti di eventi estremi». Il risvolto positivo di questi allarmi è che le grandi compagnie assicurative si stanno ponendo il problema di possibili grossissime perdite, spingendo così il settore finanziario a riconoscere il lato oscuro dell’attuale dipendenza dell’economia dai combustibili fossili. Il rapporto conclude: «uno shock nella produzione globale del tipo di questo scenario ci si aspetta che produca maggiori impatti economici e politici che potrebbero influenzare i clienti attraverso un ampio spettro di classi di assicurazione» e avrebbe «gravi conseguenze per la redditività degli investimenti delle imprese», con la possibilità di «generare perdite che si estendono per molti anni» e che potrebbe anche tradursi in un’instabilità politica che ci vorrebbero «decenni per risolverla», imponendo «maggiori restrizioni al commercio internazionale». E’ l’incubo marxiano del capitalismo che divora sé stesso e la civiltà umana.

Lo scenario è stato sviluppato per i Lloyds dal team dell’ Anglia Ruskin University insieme alla British Foreign Office’s UK/US Task Force on Resilience of the Global Food Supply Chain to Extreme Events e un documento Fco di febbraio evidenzia che «La task force sta guardando ai plausibili scenari peggiori di distruzione del sistema agro-alimentare globale, causati da eventi climatici estremi». I progetti della task force puntano a «migliorare la comprensione di come i cambiamenti degli eventi meteorologici estremi (gravità, tipologia, frequenza, impatto geografico) possono avere un impatto sulla sicurezza alimentare globale» e ad «identificare come il mercato e le risposte politiche possono aggravare o migliorare tali effetti». La task force del Fco è interessata soprattutto a determinare «come potrebbero verificarsi forti shock nella produzione agricola (ad esempio inondazioni, siccità, tempeste di vento)», come queste potrebbero provocare cali nella produzione agricola e «come la società risponderà a dei prezzi alimentari elevati o alla limitata disponibilità locale».

Il leader del Fco e del Gro, Aled Jones, ex direttore del Programme for Sustainability Leadership dell’università di Cambridge,dove è stato anche direttore della Chevening Fellowships Economics of Climate Change Programme, uno dei firi all’occhiello della ricerca finanziata dal governo britannico, e che preside anche il working group Capital Markets Climate Initiative (CMCI).del dipartimento dell’energia britannico, sta sviluppando insieme al suo team due tipi di modelli: l’Agent-Based Model per esplorare gli scenari a breve termine delle decisioni politiche simulando sistemi socio-economico-ambientali; e il System Dynamics Model in grado di fornire previsioni per i prossimi 5 anni sulla base di modelli complessi delle interconnessioni tra risorse limitate, la capacità di carico del pianeta e l’economia umana. Secondo Jones, «Il sistema finanziario ed economico è esposto a rischi catastrofici a breve termine che il sistema non può affrontare nella sua forma attuale». L’Agent-Based Model ha analizzato e simulato i molteplici fattori che hanno portato nel 2011 all’avvio delle “primavere” arabe ed ha modellato con successo l’impatto della siccità indotta dal clima sulla perdita dei raccolti e il conseguente impatto sui prezzi dei prodotti alimentari. Jones sottolinea che «Il modello può poi essere ricalibrato per sperimentarlo con diversi scenari. Abbiamo portato il modello in avanti fino all’anno 2040, lungo un percorso business-as-usual in base ai trends “non fare-nulla” – vale a dire, senza alcun feedback loops che cambierebbe il trend di fondo. I risultati mostrano che, sulla base delle tendenze climatiche plausibili e di un totale fallimento nel cambiare rotta, il sistema di approvvigionamento alimentare globale si troverebbe ad affrontare perdite catastrofiche e un’epidemia di rivolte per il cibo senza precedenti. In questo scenario, la società globale essenzialmente collassa mentre la produzione alimentare ritorna definitivamente a basso consumo».

Non si tratta però di una previsione ma Jones precisa che «Questo scenario si basa sulla semplice prosecuzione el modello in avanti. Il modello è un modello a breve termine. Non è progettato per funzionare così a lungo, come nel mondo reale, le tendenze sono sempre suscettibili di cambiamento, sia in meglio che in peggio». Quindi possiamo cambiare il nostro destino ma, se non cambieremo le tendenze attuali, il risultato sarà questa catastrofe planetaria che farà impallidire le attuali paure per le migrazioni di massa.

L’Agent-Based Model non può fornire una previsione attendibile del futuro, «Per esempio – scrive Ahmed – nessuno aveva previsto il ritmo al quale i cosi dell’energia solare ed eolica sarebbe diventati competitivi con i combustibili fossili. E il fatto che i governi e gli assicuratori stanno iniziando a vedere la portata di tali rischi e ad esplorare modi per rispondere, dimostra come la crescente consapevolezza dei rischi abbia il potenziale per innescare il cambiamento. Che il cambiamento sia abbastanza grande da evitare o ridurre il peggio è un’altra questione. In entrambi i casi, il modello non dimostra senza mezzi termini che le politiche attuali sono assolutamente in bancarotta».

Il System Dynamics Model del Gro adotta un approccio diverso, basandosi sul modello “World3” sviluppato dagli scienziati del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che prevede che il genere umano debba presto affrontare i “limiti alla crescita” definiti dalla disponibilità di risorse e a dai vincoli ambientali. Secondo granm parte dell’opinione pubblica, le previsioni sui “limiti alla crescita” avanzate per primo dal Club di Roma erano sbagliate, ma studi recenti confermano che gran parte di quelle previsioni erano scientificamente profetiche, Jones e il suo team dell’Anglia Ruskin University li stanno ricalibrando, utilizzando dati nuovi e aggiornati e dicono che «World 3 è stato un ottimo e solido sistema. Alcune ipotesi erano errate e con parametri mal interpretati, per esempio, l’aspettativa di vita è minore di quanto ipotizzato e gli outputs industriali e dei servizi sono più grandi di quanto ipotizzato. E il modello mancava di diverse shock dynamics e di feedback loops». Ma questo non significa che le preci visioni del modello originale fossero sbagliate: «Direi che il modello è stato in gran parte corretto – precisa Jones – E’ stato abbastanza corretto da poter dare un quadro abbastanza preciso dei limiti alla crescita futura. Ma ci sono alcuni parametri non corretti e lacune. Il System Dynamics Model è stato progettato per superare i limiti di World 3 e per ricalibrare i parametri non corretti, con l’aggiunta di nuovi parametri, ove necessario, e inserendo dati freschi. Ora ci sono circa 2.000 i parametri del modello, sulla base di una banca dati di indicatori chiave sulle risorse e delle misure sociali per 212 Paesi, dal 1995 fino ad oggi».

Il modello originale prevede il collasso ecologico ed economico globale intorno alla metà del XXI secolo, a causa di una tempesta perfetta causata dalla convergenza del cambiamento climatico, dalla scarsità di cibo e di acqua e dall’esaurimento dei combustibili fossili a basso costo. Nel 2014 l’australiano Graham Turner, del Csiro dell’università di Melbourne, ha aggiornato i suoi dati concludendo che: « L’inizio del collasso generale appare prima, circa nel 2015, quando produzione industriale pro capite inizia un forte calo. Data questa tempistica imminente, un ulteriore problema sollevato da questo lavoro è se le attuali difficoltà economiche della crisi finanziaria globale sono potenzialmente legate a meccanismi di ripartizione dei limiti alla crescita dello scenario BAU business-as-usual]». Ahmed conclude: «Per la prima volta, sappiamo che, in privato, agenzie governative britanniche e statunitensi stanno prendendo sul serio i dati scientifici di lunga data che dimostrano che una traiettoria di business-as-usual probabilmente porterà al collasso della civiltà nel giro di pochi decenni, generando a più breve termine distruzioni globali lungo il percorso. La domanda che resta è: che cosa ci accingiamo a fare?»

*Nafeez Ahmed è un giornalista investigativo, autore di bestseller ed esperto di sicurezza internazionale. E’ visiting research fellow alla facoltà di scienze e tecnologie dell’Anglia Ruskin University. Ex editorialista del Guardian, cura la rubrica System Shift per VICE’s Motherboard ed è anche editorialista per Middle East Eye. Nel 20215 ha vinto il Project Censored Award, noto come l’Alternative Pulitzer Prize