Cambiamenti climatici: stiamo oltrepassando alcuni punti di non ritorno chiave?

A rischio più di quanto si credesse i sistemi climatici e naturali del pianeta

[28 Novembre 2019]

Nature ha pubblicato l’articolo “Climate tipping points — too risky to bet against” nel quale un team di scienziati in sistemi terrestri affermano che elementi climatici chiave potrebbero degradarsi molto più rapidamente di quanto si pensasse in precedenza e che «ci sono prove crescenti che cambiamenti climatici irreversibili potrebbero essere innescati entro pochi decenni». Questo potrebbe portare a un “emergenza climatica” in cui un rischio ne amplifica un altro.

Come fanno notare gli stessi autori dell’articolo – Timothy Lenton, direttore del Global Systems Institute dell’università di Exeter; Johan Rockström del Potsdam-Institut für Klimafolgenforschung (PIK); Owen Gaffney del PIK dello Stockholm Resilience Centre; Stefan Rahmstorf del PIK e dell’università di Potsdam; Katherine Richardson del Globe Institute dell’università di Copenhagen; Will Steffen e Hans Joachim Schelln huber dell’Australian National University – politici, economisti e persino alcuni scienziati ritengono che i punti di non ritorno nel sistema terrestre – come la perdita della foresta pluviale amazzonica o della calotta glaciale dell’Antartico occidentale – abbiano poche probabilità di verificarsi e siano poco più di argomentazioni speculative.

Ma Lenton e i cofirmatari dell’articolo sono convinti che invece potrebbero verificarsi molto, colpire o diversi sistemi biofisici e, a lungo termine, provocare nel mondo a cambiamenti irreversibili. Per diversi anni il team che ha pubblicato l’articolo su Nature ha promosso la teoria secondo cui il clima potrebbe cambiare improvvisamente a seguito di un cambiamento climatico che amplifica altri cambiamenti e 20 anni fa l’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) ha introdotto nei suoi rapporti l’idea dei “tipping points”.

Su Nature, gli scienziati ricordano che all’epoca questi cambiamenti su larga scala erano considerati probabili solo se il riscaldamento globale av esse superato i 5° C, ma i rapporti pubblicati dall’Ipcc negli ultimi due anni suggeriscono che i punti di non ritorno potrebbero essere superati anche con aumenti delle temperature globali tra gli 1 e i 2° C (e ci siamo già) e che le ricerche hanno dimostrato che Amundsen Sea bay, nell’Antartide Occidentale, potrebbe aver già superato un punto in cui il punto di non ritorno in cui il fronte in cui si incontrano ghiaccio, oceano e roccia si sta ritirando irreversibilmente. Un collasso che , secondo un modello computerizzato, potrebbe destabilizzare il resto della calotta glaciale dell’Antartide occidentale , provocando un effetto domino che porterebbe a un innalzamento del livello del mare di circa 3 metri in un periodo che va da secoli a millenni. E gli autori dell’Articolo ricordano anche il rapido scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia. IL problema è che, man mano che lo spessore della calotta glaciale si abbassa, si scioglie ulteriormente, esponendo la superficie a un’aria sempre più calda a causa del cosiddetto “feedback positivo”. Alcuni modelli suggeriscono che la calotta glaciale della Groenlandia potrebbe essere destinata a scomparire anche se riuscissimo a limitare l’aumento globale delle temperaure a soli 1,5° C.

Rockström, aggiunge che «Non sono solo le pressioni antropiche sulla Terra che continuano a salire a livelli senza precedenti. C’è anche il fatto che, man mano che la scienza avanza, dobbiamo ammettere che abbiamo sottovalutato i rischi di scatenare cambiamenti irreversibili, con i quali il pianeta auto-amplifica il riscaldamento globale. Questo è ciò che iniziamo a vedere già ora, con un riscaldamento globale di 1° C. Ciò fornisce una forte evidenza per poter dichiarare uno stato di emergenza planetaria per scatenare un’azione mondiale che acceleri il cammino verso un mondo che possa continuare ad evolversi su un pianeta stabile».

Inoltre, i ricercatori del gruppo di Lenton avvertono che «I cambiamenti climatici e altre attività umane rischiano di innescare punti di non ritorno della biosfera in una serie di ecosistemi»

Le ondate di caldo oceaniche hanno portato allo sbiancamento di massa dei coralli e alla perdita della metà dei coralli nelle acque poco profonde della Grande barriera corallina australiana e se la temperatura globale aumentasse di 2° C probabilmente perderemmo il 99% dei coralli tropicali a causa delle interazioni tra riscaldamento, acidificazione degli oceani e inquinamento. Ciò rappresenterebbe una fortissima perdita di biodiversità marina e di mezzi di sussistenza per gli esseri umani.

Inoltre, i punti di non ritorno della biosfera possono innescare un brusco rilascio di carbonio carbonio che a sua volta può amplificare i cambiamenti climatici e ridurre le possibilità d intervento per ridurre le emissioni. Deforestazione e cambiamento climatico stanno destabilizzando l’Amazzonia, la più grande foresta pluviale del mondo, che ospita una specie conosciuta su 10 e qui le stime del punto di non ritorno vanno dal 40% a solo il 20% di perdita della copertura forestale in Amazzonia, dove circa il 17% è già andato perso a partire dagli anni ’70. Il tasso di deforestazione varia a seconda dei cambiamenti politici e quello avvenuto in Brasile è catastrofico, Trovare il punto di non ritorno richiede modelli che includono la deforestazione e i cambiamenti climatici come fattori di interazione e che incorporano feedback su incendi e clima come meccanismi interagenti su più livelli.

Il riscaldamento dell’artico, almeno due volte più rapido della media globale, rende la foresta boreale subartica sempre più vulnerabile. E ha già innescato invasioni di insetti parassiti su vasta scala, aumento degli incendi che hanno portato al declino delle foreste boreali nordamericane, trasformando potenzialmente alcune regioni da un pozzo di carbonio in una fonte di emissioni di carbonio, In tutto l’Artico il permafrost sta cominciando a scongelarsi e a rilasciare grandi quantità di anidride carbonica e metano, un gas serra che è circa 30 volte più potente della CO2.

L’articolo evidenzia che «I ricercatori devono migliorare la loro comprensione di questi cambiamenti osservati nei principali ecosistemi, così come su dove potrebbero trovarsi i futuri punti di non ritorno. Le riserve di carbonio esistenti e le potenziali emissioni di CO2 e metano richiedono una migliore quantificazione».

Abbiamo ancora a disposizione un budget di 500 gigatonnellate (Gt) di CO2 per avere una possibilità del 50% di restare entro gli 1,5° C di riscaldamento globale, ma le emissioni del permafrost potrebbero ridurlo di circa il 20% (100 Gt di CO2 ) e questo senza tener conto del metano rilasciato dal permafrost profondo o dagli idrati sottomarini. Se le foreste fossero davvero vicine al punto di non ritorno, l’Amazzonia potrebbe rilasciare altre 90 Gt di CO2 e le foreste boreali 110 Gt di CO2, e con le emissioni totali globali di CO2 ancora superiori a 40 Gt all’anno, il budget rimanente per evitare di superare gli 1,5° C otrebbe essere quasi completamente cancellato.

Ma non tutti gli scienziati sono d’accordo: intervistato da BBC News, Mike Hulme dell’università di Cambridge, ha detto che «La loro è una posizione speculativa; non hanno presentato uovi risultati di ricerca. La loro “formula” matematica contraddice tutto ciò che la scienza delle scienze sociali e umanistiche ci dice sulle emergenze pubbliche, vale a dire che derivano da argomenti, riflessioni e giudizi politici. Le emergenze sono dichiarate dagli attori politici legittimi; non sono calcolati matematicamente da scienziati auto-nominati».

Ma un altro scienziato, Richard Betts del Met Office è convinto che «Le possibilità di superare questi punti di non ritorno aumentano con il livello del riscaldamento globale. Pertanto, se vogliamo ridurre al minimo i rischi, è logico che anche il riscaldamento globale sia ridotto al minimo. Anche se oltrpassiamo un “punto di non ritorno” (o se l’abbiamo già fatto – il che può o non può essere il caso) abbiamo ancora la possibilità di limitare il danno se non lo superiamo di troppo».

Su Nature i ricercatori concludono: «Alcuni scienziati ribattono che la possibilità di global tipping rimane altamente speculativa. La nostra posizione è che, dato il suo enorme impatto e la natura irreversibile, qualsiasi valutazione del rischio grave deve considerare l’evidenza, per quanto limitata possa essere la nostra comprensione. Errare dalla parte del pericolo non è un’opzione responsabile. Se si possono verificare punti di non ritorno dannosi a cascata de non è possibile escludere un global tipping point , questa è una minaccia esistenziale per la civiltà. Nessuna ammontare di analisi costi-benefici ci aiuterà. Dobbiamo cambiare il nostro approccio al problema climatico. Agire ora- Dal nostro punto di vista, le prove provenienti dai soli punti di non ritorno suggeriscono che siamo in uno stato di emergenza planetaria: sia il rischio che l’urgenza della situazione sono acuti».