Manca l’alfabetizzazione climatica. Un problema enorme per chi fa informazione ambientale

Cambiamento climatico: il 40% degli esseri umani non sa cosa sia

Informato il 90% degli abitanti dei Paesi ricchi, ma il 65% dei poveri ignora il global warming

[28 Luglio 2015]

Lo studio “Predictors of public climate change awareness and risk perception around the world”, pubblicato da un team di ricercatori statunitensi su  Nature Climate Change, utilizza i dati del Gallup World Poll, il gigantesco sondaggio condotto nel 2007 e 2008 in 119 Paesi, sulla percezione e la consapevolezza dei rischi  dei cambiamenti climatici dell’opinione pubblica mondiale, e giunge alla conclusione che, «Per essere più efficaci, i messaggi legati al clima devono essere adattati alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica ed alle specifiche percezioni per ogni nazione.

Uno degli autori, Anthony Leiserowitz, direttore del Yale Project on Climate Change Communication (Ypccc) rivela un dato inquietante: «Nel complesso, abbiamo scoperto che in tutto il mondo circa il 40% degli adulti non hanno mai sentito parlare di cambiamenti climatici. Questo sale ad oltre il 65% in alcuni Paesi in via di sviluppo, come l’Egitto, il Bangladesh e India. In molti Paesi c’è ancora una necessità assoluta di alfabetizzazione climatica di base». E a quanto pare si tratta addirittura dei Paesi che più soffrono e soffriranno le conseguenze dei cambiamenti climatici e da dove si muovono già schiere di migranti ambientali.

Il team composto da Ezra Markowitz dell’università del Massachusetts –  Amherst, Tien Ming Lee della Columbia University, Anthony Leiserowitz di Yale e altri ricercatori dell’Utah State University, scrivono che «In tutto il mondo, il livello di istruzione è il singolo predittore più forte del cambiamento climatico e la consapevolezza della comprensione delle cause umane del  cambiamento climatico è il più forte predittore della percezione del rischio, in particolare in America Latina e in Europa, mentre la percezione del cambiamento della temperatura locale è il più forte predittore di molti Paesi africani e asiatici»

Markowitz sottolinea che «E’ stato interessante scoprire queste differenze tra i vari Paesi, ma in un certo senso uno degli esiti più incisivi è ricordarsi che ciò che motiva una persona a impegnarsi su questo problema non è necessariamente lo stesso di ciò che motiva la persona successiva. Anche se questa non è una visione rivoluzionaria, è importante che  i comunicatori ed  altri la tengano a mente. Agli attivisti piacerebbe un approccio one-size-fits-all alla comunicazione climatica, perché sarebbe più facile e meno costoso, ma non è la strategia più efficace; le persone sono troppo diverse riguardo a quello che le collega a questo problema. Per i comunicatori questo è un messaggio importante».

L’enorme messe di dati del sondaggio mondiale della Gallup conteneva  diverse domande sulla consapevolezza e la percezione del cambiamento climatico  e di quanto grave fosse la minaccia per gli intervistati e alle loro famiglie. I ricercatori hanno analizzato le risposte tenendo conto di variabili  come il sesso, l’età, la religione, l’istruzione, la posizione geografica, le finanze, il benessere, le credenze sul cambiamento climatico, l’impegno civile, le abitudini dei media e la soddisfazione riguardo alla qualità locale dell’acqua e dell’aria. Poi hanno diviso chi ha risposto tra  “consapevoli” o “inconsapevoli” del cambiamento climatico e dicono che l contrasto tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo è «sorprendente».

All’università del Massachusetts –  Amherst spiegano che «In Nord America, Europa e Giappone, oltre il 90% dell’opinione pubblica è a conoscenza del cambiamento climatico, ma in molti Paesi in via di sviluppo relativamente pochi sono a conoscenza del problema, anche se molti lo sono in rapporto ai cambiamenti osservati nei modelli meteorologici locali».

Markowitz sottolinea che «Il team ha utilizzato tecniche statistiche non applicate normalmente alle ricerca delle scienze sociali ,per consentirci di effettuare una forte analisi su due livelli che ha dato il maggior numero di variabili predittive per Paese». E’ stato così realizzato un nuovo modello di classificazione che ha permesso ai ricercatori di scoprire la diversità dei predittori secondi i diversi Paesi e Markowitz aggiunge che «Con questo approccio i dati mancanti sono un problema minore. Si arriva a mantenere più variabili per più paesi nell’analisi, fornendo un quadro più completo di quello che sta succedendo. Questo, per esempio, ha permesso di vedere che i predittori più importanti in Cina non sono gli stessi degli  Stati Uniti».

Tra i fattori più importanti per la previsione della consapevolezza del cambiamento climatico tra gli statunitensi c’è l’impegno civico, più l’accesso ai mezzi di comunicazione e all’istruzione superiore, mentre in Cina i predittori più forti sono istruzione, la residenza in città u invece che in ambito rurale e il reddito familiare».

Per quanto riguarda la percezione del rischio, tra i più forti predittori negli Usa ci sono le convinzioni sull’influenza antropica sul clima, la percezione del csambiamento delle temperature locali  e l’attitudine dei governi ad impegnarsi nella conservazione dell’ambiente. In Cina, tra i più forti predittori della preoccupazione c’è l’insoddisfazione per la qualità dell’aria locale.