Che fine ha fatto il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici?

Wwf: «Per l’Italia il 2018 è stato l’anno più caldo da 219 anni. L’aumento della temperatura rispetto al periodo 1880-1909 è circa +2,5°C, più del doppio del valore medio globale»

[17 Giugno 2019]

Da una parte c’è il rischio desertificazione, che riguarda già oggi il 20% del territorio italiano; dall’altra l’incremento degli eventi meteorologici estremi, come le bombe d’acqua che nei giorni scorsi hanno colpito la Lombardia portandola verso l’ennesima richiesta di Stato di emergenza nazionale. Il filo conduttore sono i cambiamenti climatici, che in Italia avanzano di gran carriera nonostante alcune delle principali figure politiche del Paese, come il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini, abbiano fatto del negazionismo un arma di propaganda.

Per i più distratti è il Wwf a fare il punto della situazione: «È bene ricordare che il 2018 è stato il quarto anno più caldo a livello globale (da quando esistono le registrazioni scientificamente attendibili dal 1880). Il record resta al 2016. Per l’Italia il 2018 è stato l’anno più caldo da quando esistono le registrazioni scientificamente attendibili nel nostro paese (dal 1800 cioè da 219 anni). Significativo il fatto che tra i 30 anni più caldi dal 1800 ad oggi 25 siano successivi al 1990 – dati dell’Isac-Cnr, Banca dati di climatologia storica (Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima). In meno di 50 anni, rispetto al 1971-2000, l’anomalia delle temperature del 2018 è pari a 1,58°C. L’aumento rispetto al periodo 1880-1909 è pari circa a 2,5°C, quindi più del doppio del valore medio globale». In altre parole, se l’aumento della temperatura media nel mondo è di circa 1 grado rispetto all’era preindustriale, in Italia siamo a +2,3°C – come recentemente testimoniato direttamente dall’Isac-Cnr sul Sole 24 Ore –, con buona pace dei negazionisti. La situazione dunque è grave, ma come sempre in Italia non è seria.

«Occorre finirla con le lacrime di coccodrillo e le finte soluzioni di fronte ai drammi come quello che ha colpito vaste zone della Lombardia – argomentano dal Wwf – e dare effettivo corso agli interventi per minimizzare l’impatto e mettere in sicurezza il territorio, avendo ben presenti le necessità dettate dall’adattamento. Le croniche deficienze di interventi coerenti e pensati sono sotto gli occhi di tutti, mentre non si ha notizia del varo del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) dopo la consultazione sulla prima bozza».

Del Piano, dopo la consultazione pubblica cui è stato sottoposto nel 2017, si sono infatti perse le tracce. Eppure l’allora ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti lo presentava come «uno strumento strategico irrinunciabile per un Paese come l’Italia, che vive ogni giorno gli effetti dei mutamenti climatici». I numeri contenuti nelle 400 pagine della bozza, realizzate con l’autorevole contributo del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) e già analizzati su queste pagine, gli davano ampiamente ragione.

Osservando ad esempio la sola dinamica del rischio idrogeologico, nel peggiore dei casi «i danni da eventi alluvionali nel contesto emissivo più elevato» le stime riportate nel Pnacc sono le seguenti: «Nel 2050 le perdite annue sono comprese tra 4.5 e 11 miliardi e tra i 14 e i 72 miliardi nel 2080, a seconda dello scenario di sviluppo economico considerato». Senza dimenticare che «i danni diretti, non considerati nello studio citato, di solito sono tra le due e le tre volte più consistenti degli effetti sul Pil», arrivando fino all’incredibile cifra di 288 miliardi di euro. La buona notizia è che potremmo fare ancora molto per evitarci il disastro e il salasso, a patto di agire per tempo: la stima dei «benefici dell’adattamento in termini di danno evitato qualora il livello di protezione contro il dissesto idrogeologico venisse adeguato al maggior rischio determinato dal cambiamento climatico, al fine di mantenere la protezione netta inalterata ai livelli attuali» arriva al 63%. Ovvero, la «perdita di Pil del Paese nel 2080 sarebbe del 63% più bassa con che senza adeguamento, con picchi dell’86% dei danni evitati in regioni come Val d’Aosta e Trentino Alto Adige». Prevenire, naturalmente, anche in questo caso conviene. Parecchio. Ma da due anni a questa parte si è preferito lasciare il Pnacc in un cassetto.

L. A.