Cop24 Unfcc: stallo a Katowice. Trucchi e bugie mentre il mondo si avvicina al baratro climatico

Cresce la preoccupazione di ambientalisti e Paesi poveri per un possibile fallimento del summit

[12 Dicembre 2018]

La seconda settimana di negoziati della 24esima Conferenza delle parti dell’United Nations Framework  convention on climate change (Cop24 Unfccc) è cominciata con due giorni di stallo e confusione e con interminabili negoziati per cercare di sbloccare una situazione che rischia di far cadere il mondo nel  precipizio di un accordo che lascerà tutto pericolosamente come è.

Ci sono negoziatori che dicono di aver dormito 4 ore negli ultimi 3 giorni di incontri informali a porte chiuse tra le varie delegazioni, Gli osservatori e le ONG non sanno esattamente cosa sta succedendo nelle sale della Cop24, ma i segnali che arrivano sono molto preoccupanti e sui temi più scottanti, finanza climatica e trasparenza, non sembra sia stato fatto un solo passo avanti. i.

La neozelandese Jo Tyndall, co.presidente dell’ad hoc working group on the Paris Agreement dell’Unfccc, ha ammesso che «Molto resta irrisolto» e il presidente polacco della Cop24, Michał Kurtyka ha confermato che «I progressi sono stati insufficienti, L’attuale approccio ai negoziati è esaurito, molti testi sono bloccati e d’ora in poi passeremo sotto l’autorità della presidenza polacca».
La cosa preoccupa molto gli ambientalisti e i Paesi che vogliono impegni precisi e ambiziosi, perché questo significa che da oggi i polacchi – noti per essere pro-carbone – proporranno loro lo schema del regolamento per applicare l’Accordo di Parigi e guideranno la defatigante fase finale fatta di incontri bilaterali tra ministri.

In teoria sarebbe compito del segretariato dell’Unfccc  redigere un testo negoziale, accogliendo alcune indicazioni da parte della presidenza. Ma, come sottolinea Climate Home News, se l’agenzia climatica dell’Onu non trova un appoggio nelle delegazioni, «Tenderà a trovare la strada per una via di mezzo che non riconosce le realtà politiche del processo». Nelle precedenti Cop climatiche il rapporto tra segretariato Unfccc e presidenza di turno è cambiato spesso a seconda delle condizioni, ma alla Cop21 che ha approvato l’Accordo di Parigi è stata alla fine la presidenza francese a prendere il controllo della situazione, però nel 2015 il ministro degli esteri socialista  Laurent Fabius era sostenuto dal suo governo e dall’intero corpo diplomatico e da Usa e Cina. La presidenza di turno polacca non sembra autorevole, e a corto di personale ed è indebolita da gran parte dei ministri del governo di destra polacco che sono negazionisti climatici. Però Kurtyka conta su alleati come l’Ue e lo stesso Fabius che stanno lavorando dietro le quinte.

Tra le omissioni più preoccupanti della presidenza polacca c’è l’incremento degli obiettivi  climatici dell’Accordo di Parigi, Kurtyka si è limitato a dire che «Le parti dovranno affrontare la realtà del loro impegno e misurare la distanza tra ciò che è attualmente sul tavolo e ciò che è necessario»

Dietro le quinte sta lavorando anche la delegazione statunitense che da una parte pubblicizza sfacciatamente i suoi combustibili fossili e cerca di boicottare i colloqui insieme a Russia, Arabia Saudita e Kuwait, dall’altra, con i suoi negoziatori più avveduti, cerca di portare a casa un accordo in vista di una non riconferma di Donald Trump alla presidenza Usa tra due anni e a un ritorno nell’Unfccc che Trump ha giurato che abbandonerà.

In questo preoccupante clima che è sia di urgenza che di irresponsabilità, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, oggi è atteso alla  Cop24 per cercare di mettere insieme alcuni attori fondamentali per la riuscita dei negoziati.  Rachel Kyte, inviata speciale Onu per l’energia sostenibile, ha spiegato che «Sta tornando perché capisce quanto tutto questo sia importante. Vuole fare tutto il possibile per rendere assolutamente chiaro quale sia la leadership e quale sia l’aspettativa». Aprendo la Cop24 Guterres aveva implorato i governi del mondo di uscire da Katowice con impegni ambiziosi sul clima entro il 2020. Ora è costretto a ritornare precipitosamente in  Polonia per cercare di salvare il salvabile.

Poi c’è chi fa il furbo con i numeri, come la Nuova Zelanda che ha annunciato che cancellerà i suoi crediti di carbonio del Protocollo di Kyoto, un trucco contabile renderà più facile per il Paese raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Il ministro del clima  neozelandese, James Shaw, ha detto che «Nessuna nazione dovrebbe ricorrere all’utilizzo di crediti in eccesso». Ma proprio la Nuova Zelanda aveva ripetutamente insistito sul fatto che i crediti sono un modo legittimo per raggiungere il suo obiettivo climatico per rispettare l’Accordo di Parigi.

Anche l’australiana Melissa Price si è detta «molto fiduciosa» che il suo Paese raggiungerà l’obiettivo del taglio delle emissioni per il 2020, utilizzando però un altro discutibile trucco contabile del suo governo di centro destra (che ha cancellato i precedenti impegni dei governi laburisti è ha fatto cadere l’ex premier liberaldemocratico proprio sugli obiettivi climatici) e tacendo sul rifiuto del nuovo premier liberaldemocratico australiano, Scott John Morrison un noto negazionista climatico amico di Trump, di finanziare il Green Climate Fund, per il quale i Paesi sviluppati si sono impegnati a versare 100 miliardi di dollari. Al contrario, il negoziatore climatico tedesco Karsten Sach ha annunciato che la Germania – che è in ritardo sugli obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2020 – verserà altri 1,5 milioni di euro nel  Green Climate Fund.

Un altro problema è quello dei popoli indigeni che a Katowice j hanno conquistato ufficialmente il diritto ad avere voce in capitolo nelle iniziative locali per limitare i cambiamenti climatici e adattarsi ai loro  effetti. La cosa non piace per niente alla Cina che chiede di chiarire che questa piattaforma per i popoli autoctoni non violerà la sovranità statale sulle “comunità locali”, che devono ancora essere definite. La Cina ha regioni e distretti “autonomi” dove vivono le minoranze e non ha gruppi indigeni ufficiali ma delle comunità locali, come in Tibet, Xinjiang, Mongolia Interna, ma anche a Taiwan che considera una sua provincia, e teme che questi popoli nei prossimi anni possano cercare di essere riconosciuti dalla piattaforma climatica indigena.

Va detto che Taiwan non fa niente per scacciare questi sospetti: pur non essendo riconosciuta dall’Onu e quindi non facendo parte dell’Unfccc, l’isola ribelle è presente in forze a Katowice e distribuisce direttamente nelle camere di albergo dei delegati degli altri Paesi riviste patinate che illustrano dettagliatamente i suoi piani di azione climatici, mentre a Katowice i tram sono decorati con un logo rosso brillante  con la scritta “Taiwan può aiutare”. L’ambasciatore di Taiwan in Polonia . Paese che riconosce anche la Repubblica popolare cinese –  ha anche organizzato un evento con musica classica all’Hotel Katowice e in un’edizione speciale di The Warsaw Voice il ministro dell’ambiente di Taiwan, Lee Ying-Yuan, ha evidenziato che «Taiwan è stata a lungo isolata ingiustamente dalle Nazioni Unite. Ciò non gli ha impedito di impegnarsi a dimezzare le proprie emissioni entro il 2050 rispetto al 2005». Lee conclude con un detto confuciano: »Un uomo di moralità non vivrà mai in solitudine; attrarrà sempre i compagni».

La Cina considera queste come intollerabili provocazioni (anche da parte del governo polacco), ma ribadisce che sta già lavorando anche lei per ridurre le sue emissioni e per finanziare progetti climatici a nei Paesi più poveri. Ma Pechino resta ferma sul controverso principio della responsabilità comune ma differenziata, secondo il quale sono gli inquinatori “storici del pianeta –  i Paesi ricchi e industrializzati – che devono assumersi il maggior peso ed onere economico della riduzione delle emissioni di gas serra. Intervenendo al Talanoa Dialogue, Xie Zhenhua, rappresentante speciale della Cina per gli affari climatici, ha sottolineato: «Ci aspettiamo che la Cop24 completi i negoziati sull’attuazione dell’accordo di Parigi al fine di concretizzare le regole del principio della responsabilità comune ma differenziata al fine di garantire la mitigazione, l’adattamento, la scienza, le tecnologie e le capacità».

Gli Usa e l’Ue si oppongono a questo principio tanto caro alla Cina (ma condiviso da quasi tutti i Paesi in via di sviluppo) e dicono che i cinesi dovrebbero essere più flessibili, visto che sono diventati i più grandi inquinatori del mondo che ormai le differenze economiche tra i Paesi emergenti e quelli poveri sono evidenti.

Ue e Cina ritrovano però l’accordo su un’altra questione:  Xie Zhenhua, a capo della delegazione cinese alla Cop24, e Miguel Arias Cañete, commissario Ue per l’azione per il clima e l’energia si sono vantati del disaccoppiamento della crescita economica dalle emissioni di gas serra. Ma gli ambientalisti hanno fatto notare che in realtà le emissioni di gas serra sono cominciate a risalire non appena c’è stata una lieve ripresa economica e che gran parte delle diminuzioni delle emissioni è dovuta a interventi privati e non a politiche di incentivo pubbliche che negli ultimi anni sono diminuite.

Un’opinione condivisa anche dall’indiano Ravi Prasad: «Abbiamo un enorme compito ancora da svolgere davanti a noi. I paesi responsabili del taglio delle emissioni e per il sostegno economico devono compensare eventuali carenze pre-2020 e successive».

Una delle sessioni negoziali è stata presieduta da Rachel Kyte, a capo del Sustainable Energy for All dell’Onu, che, accanto al simbolo della ruota colorata che rappresenta gli obiettivi di sviluppo sostenibile, sfoggiava la spilla di Extinction Rebellion, un movimento di base emergente del Regno Unito che promuove la disobbedienza civile per chiedere un’azione radicale sul clima da parte del governo. Ormai il radicalismo climatico per evitare l’estinzione di massa è entrato nelle stanze dell’Unfccc e sarà difficile farlo uscire. Questo lo sanno anche i delegati dei governi che si comportano come una ridotta assediata dall’opinione pubblica e dai disastri climatici, ma non riescono a trovare un accordo per (vecchie ) ragioni economiche e (antiche) rivalità irrisolte.

Mentre i ministri dell’Egitto e della Germania stanno conducendo colloqui sul regolamento per la finanza climatica che dovrebbe essere presentato oggi , il delegato del Mali Seyni Nafo, che ha co-presieduto le trattative tecniche, ha dichiarato a Climate Home News che gli scontri più duri riguarderebbero le «nuovo e aggiuntivo«, in riferimento alla perdita e al danno e se riportare i prestiti al valore nominale o equivalente di sovvenzione. «Da una prospettiva africana – ha aggiunto Nafo – volevamo assicurarci che ci fosse spazio per la discussione sui flussi finanziari indicativi futuri. Per noi, l’informazione è inutile se non c’è l’opportunità di avere un impegno con i nostri partner».

Intanto l’Arabia saudita continua a svolgere il suo ruolo di frenatore capo e ha detto che bisognerebbe attendere il prossimo rapporto dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipccc), previsto per il 2022, per affrontare le «lacune e le sfide» del recente rapporto speciale Ipcc sgli 1,5° C e spera di ottenere su questo un accordo di tutta la Cop24. In realtà la monarchia petrolifera wahabita chiede al mondo di rimandare tutto  e di accogliere le sue pesanti critiche, condivise da Usa, Russia e Kuwait, a un documento scientifico di altissimo livello e che ha messo nero su bianco il drammatico futuro che ci aspetta se daremo retta a Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd, Donald Trump e Vladimir Putin.

E’ impressionante come un regime oscurantista – dove non pochi capi religiosi dicono che la Terra è piatta –   e che sta conducendo una guerra criminale nello Yemen (dopo quella in Siria) possa tranquillamente mettere in discussione l’evidenza scientifica: lunedì, la delegazione saudita a Katowice ha affermato che «riconosce gli sforzi» dell’Ipcc e che questo organismo scientifico dell’Onu sta pubblicando «rapporti prescrittivi completi, neutri e non strategici», ma a, ha sottolineato che «C’è ancora una mancanza di informazioni. Riconosciamo che le lacune attuali, inclusa la letteratura limitata e le incertezze scientifiche nel rapporto 1.5° C, richiedono ancora ulteriori ricerche e analisi».

E mentre i sauditi chiedono ricerche e analisi continuano a inondare il mondo di petrolio e lo Yemen di bombe, spingendo, insieme ai loro irresponsabili alleati, il mondo verso il baratro dell’attesa e dell’inazione dove ribolle la catastrofe climatica prossima ventura.