Greenpeace: la Bce favorisce le aziende fossili con acquisti che aggravano la crisi climatica

«Eni non dovrebbe ricevere soldi pubblici per inquinare, né dalla BCE né dal governo italiano»

[20 Ottobre 2020]

Il nuovo studio “Decarbonising Is Easy: Beyond Market Neutrality in the ECB’s Corporate QE”, pubblicato oggi da New Economics Foundation (NEF), dalle università britanniche SOAS di Londra, West of England e di Greenwich e da Greenpeace Central and Eastern Europe rivela come la politica della Banca centrale europea (BCE) «che viene definita “neutrale rispetto del mercato”, di fatto distorca gli acquisti di obbligazioni societarie della banca, a favore di aziende ad alta intensità di carbonio». L’analisi nasce dai commenti di Christine Lagarde che, la scorsa settimana, ha messo in discussione la neutralità del mercato alla luce della crisi climatica e  presenta anche due scenari alternativi con i quali la Banca potrebbe diminuire il suo  impatto climatico e sostenere la transizione energetica.

Greenpeace spiega che lo studio «mostra come più della metà dei 241,6 miliardi di euro di obbligazioni societarie detenute dalla BCE alla fine di luglio 2020 siano state emesse da imprese ad alta intensità di carbonio, che contribuiscono in modo significativo alle emissioni dell’Ue e alimentano ulteriormente la crisi climatica.

Lo studio è stato è stato pubblicato alla vigilia di un incontro tra BCE e i rappresentanti della società civile – tra cui Greenpeace – per discutere la revisione delle politiche della banca, comprese le linee guida monetarie. Greenpeace ricorda che «La Banca Centrale Europea detiene infatti obbligazioni di molti dei peggiori emettitori dell’Ue, tra cui Eni, Total, Shell, OMV. Queste aziende non sono solo dei grandi inquinatori, ma giocano anche un ruolo marginale rispetto all’occupazione e alla creazione di valore aggiunto. L’analisi indica infatti che il 62,7 per cento delle obbligazioni detenute dalla BCE proviene da settori ad alta intensità di carbonio, e che questi contribuiscono solo per il 17,8 per cento all’occupazione e per il 29,1 per cento al Valore Aggiunto Lordo nell’area dell’euro».

Secondo Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International, «E’ ora di smettere di nascondersi dietro la cosiddetta “market neutrality” e iniziare a tenere conto dell’impatto delle nostre scelte sugli altri e sul Pianeta. La Banca Centrale Europea deve respingere le obbligazioni delle aziende che stanno distruggendo il clima, soprattutto in considerazione della loro minore importanza in termini di occupazione e di valore economico per i cittadini europei. Il consiglio direttivo della banca deve rivedere la sua politica monetaria, smettere di acquistare obbligazioni dai grandi inquinatori e sostenere la transizione verso un mondo verde ed equo».

Greenpeace Italia evidenzia che «Tra i beneficiari della politica monetaria della BCE c’è Eni, azienda controllata dallo Stato italiano, nonché maggiore emettitore nazionale e tra i primi a livello mondiale. Nello studio si evidenzia come, nel 2019, Eni si sia resa complessivamente responsabile di 296 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 equivalente (scope 1-2-3). A fare peggio del Cane a sei zampe solamente Total e Shell, che però hanno un migliore indice di “intensità delle emissioni”, ossia il rapporto tra le emissioni e i ricavi. Nonostante le sue pessime performance ambientali, Eni ha ricevuto fondi dalla BCE per continuare ad alimentare le proprie attività inquinanti».

Luca Iacoboni, responsabile della campagna energia e clima di Greenpeace Italia, conclude: «Nei prossimi anni Eni progetta di aumentare la propria produzione di petrolio e gas, due dei principali responsabili dell’emergenza climatica in atto. Dopo il 2025 l’azienda continuerà inoltre ad aumentare le estrazioni di gas, puntando su false soluzioni come il CCS o la riforestazione per compensare le proprie emissioni. Questo non è un piano di decarbonizzazione in linea con gli obiettivi di Parigi, e per tale motivo Eni non dovrebbe ricevere soldi pubblici per inquinare, né dalla BCE né dal governo italiano, in queste settimane impegnato nel decidere l’allocazione dei fondi per la ripartenza post lockdown».