I cavalli salveranno il permafrost dal riscaldamento globale?

Uno studio internazionale conferma che l’intuizione degli scienziati russi funziona

[25 Marzo 2020]

Nell’Artico il permafrost – il terreno perennemente ghiacciato – si sta scongelando e potrebbe così rilasciare abnormi quantità di gas serra che accelererebbero i cambiamenti climatici, ma lo studio “Protection of Permafrost Soils from Thawing by Increasing Herbivore Density”, pubblicato recentemente su Scientific Reports da un team di ricercatori svedesi, russi e tedeschi potrebbe aver trovato una soluzione inaspettata per rallentare almeno il fenomeno: mandrie di cavalli.

Attualmente in Russia vengono condotti esperimenti in cui mandrie di cavalli, bisonti e renne vengono utilizzate per combattere lo scioglimento del permafrost e lo studio del team guidato da Christian Bee delle università di Stoccolma e Amburgo dimostra per la prima volta che questo metodo potrebbe davvero rallentare in modo significativo la perdita di suoli interessati dal permafrost.

All’Universität Hamburg spiegano che «Teoricamente parlando, l’80% di tutti i suoli di permafrost in tutto il mondo potrebbe essere preservato fino al 2100» e aggiungono che «Se non verrà intrapresa alcuna azione per impedirlo, entro il 2100 la metà del permafrost mondiale si scongelerà».

Beer è uno dei massimi esperti di suoli congelati permanente che si estendono a nord di tutto l’emisfero settentrionale e il nuovo studio del suo team internazionale esplora una contromisura non convenzionale e basata sulla natura: il reinsediamento di enormi branchi di grandi erbivori. L’ispirazione è venuta a due autori dello studio, Sergey e Nikita Zimov, della Stazione scientifica del Nord-dell’Accademia Russa delle scienza, mentre collaboravano alla realizzazione del Pleistocene Park a Chersky, una città nel nord-est della Russia. Più di 20 anni fa gli Zimov hanno iniziato a reinsediare nel Pleistocene Park branchi di bisonti europei, renne e cavalli e da allora osservano gli effetti sul suolo.

I ricercatori evidenziano che «In inverno il permafrost a Chersky è di ca. meno 10 gradi Celsius, con temperature fino a meno 40 gradi Celsius, l’aria è molto più fredda. Grazie all’abbondanti nevicate, c’è uno spesso strato di manto nevoso che isola il terreno dall’aria gelida, mantenendolo “caldo”. Quando il manto nevoso viene sparso e compresso grazie agli zoccoli degli animali al pascolo, il suo effetto isolante si riduce drasticamente, intensificando il congelamento del permafrost». Gli esperimenti a lungo termine condotti in Russia dimostrano che «Quando 100 animali vengono reinsediati in un’area di 1 km2, dimezzano l’altezza media della copertura nevosa».

Beer e i suoi colleghi volevano determinare che effetto avrebbe potuto produrre questo applicandolo a tutti i territori con permafrost dell’Artico nel loro insieme e si chiedevano se l’influenza degli animali, almeno in teoria, potesse anche essere sufficiente a mitigare l’intenso riscaldamento dell’atmosfera e a bloccare lo scongelamento del permafrost.

Per cercare di capirlo, Beer ha utilizzato uno speciale modello climatico in grado di simulare la temperatura sulla superficie terrestre sottoposta al pascolo di grandi animali nel corso di un intero anno. I risultati dimostrano che «Se le emissioni continuano ad aumentare senza controllo (scenario RCP 8.5 nell’ultimo IPCC Assessment Report), possiamo aspettarci un aumento di 3,8 gradi Celsius delle temperature del permafrost, il che causerebbe il disgelo della metà di tutto il permafrost. Al contrario, con le mandrie di animali il terreno si riscalderebbe solo di circa 2,1 gradi, il 44% in meno, il che sarebbe sufficiente per preservare l’80% degli attuali suoli».

Beer ammette che «Potrebbe essere utopistico immaginare di reinsediare mandrie di animali selvatici in tutte le regioni del permafrost dell’emisfero settentrionale. Ma i risultati indicano che l’utilizzo di un minor numero di animali produrrebbe comunque un effetto rinfrescante. Quel che abbiamo dimostrato qui è un metodo promettente per rallentare la perdita dei nostri terreni permanentemente congelati e, con essa, la decomposizione e il rilascio degli enormi stock di carbonio che contengono».

Beer e il suo team hanno anche preso in considerazione i potenziali effetti collaterali di questo approccio basato sui grandi erbivori: «Ad esempio, in estate gli animali distruggono lo strato di muschio che raffredda il terreno, il che lo riscalda ulteriormente. Questo aspetto è stato preso in considerazione anche nelle simulazioni, ma l’impatto positivo dell’effetto neve in inverno è parecchie volte maggiore».

Ora, Beer prevede di collaborare con i biologi per studiare come i branchi di animali erbivori si diffonderebbero davvero in un territorio così delicato.