Quando la Rift Valley si trasformò radicalmente, comparvero nuove armi e il commercio si espanse

I primi esseri umani svilupparono nuovi strumenti e comportamenti per adattarsi a un cambiamento ambientale

Un momento determinante nell'evoluzione umana, nella tecnologia e nella cultura. Ma l’adattabilità umana potrebbe non salvarci dai cambiamenti dell’Antropocene

[22 Ottobre 2020]

Per centinaia di migliaia di anni, i primi esseri umani che vivevano nella Rift Valley, in ‘Africa orientale, ebbero a disposizione laghi e quindi una fonte d’acqua dolce affidabile e abbondanza di prede, visto che branchi di grandi erbivori al pascolo vagavano per le praterie. Poi, circa 400.000 anni fa, le cose cambiarono drasticamente e per i nostri antenati l’ambiente divenne meno prevedibile, mettendo a dura prova il loro antico stile di vita per potersi adattare alla scarsità di risorse.

Lo studio “Increased ecological resource variability during a critical transition in hominin evolution”, pubblicato su Science Advances da un folto team internazionale di ricercatori guidato da Richard Potts dell’Human Origins Program del National Museum of Natural History della Smithsonian Institution e del  National Museums of Kenya, racconta proprio questa svolta dell’umanità attraverso la prima analisi di un nuovo carotaggio di sedimenti che rappresenta 1 milione di anni di storia ambientale nella Rift Valley e dimostra che mentre i primi umani abbandonavano i vecchi strumenti a favore di una tecnologia più sofisticata, ampliavano anche le loro reti commerciali.

Il loro territorio stava subendo frequenti fluttuazioni della vegetazione e dell’approvvigionamento idrico che resero molto meno affidabili le risorse disponibili. I ricErcatori dicono che «I risultati suggeriscono che l’instabilità del clima, del territorio e dell’ecosistema circostante, è stata un fattore chiave nello sviluppo di nuovi tratti e comportamenti alla base dell’adattabilità umana».

Su Science Advances , il team interdisciplinare di scienziati descrive quel periodo prolungato di instabilità in un’are dell’Africa che oggi appartiene al Kenya e sottolinea che «Si è verificata nello stesso periodo in cui gli esseri umani nella regione stavano subendo un importante cambiamento comportamentale e culturale nella loro evoluzione». Un cambiamento documentato nel 2018 sulla base di artefatti trovati nel sito archeologico di Olorgesailie. Dopo decenni di studi a Olorgesailie, il team di Potts e dei National Museums of Kenya ha stabilito che «I primi esseri umani a Olorgesailie hanno fatto affidamento sugli stessi strumenti, asce di pietra, per 700.000 anni. Il loro modo di vivere durante questo periodo era notevolmente stabile, senza grandi cambiamenti nei loro comportamenti e strategie per la sopravvivenza». Ma, a partire da circa 320.000 anni fa, gli esseri umani di Olorgesailie entrarono nel mesolitico, il periodo intermedio dell’Età della pietra, «fabbricando armi più piccole e più sofisticate, compresi dei proiettili. Allo stesso tempo, iniziarono a scambiare risorse con gruppi lontani e ad utilizzare materiali coloranti, suggerendo una comunicazione simbolica – spiega Potts –  Tutti questi cambiamenti sono stati una deviazione significativa dal loro stile di vita precedente, aiutando probabilmente i primi esseri umani a far fronte al loro nuovo territorio variabile. La storia dell’evoluzione umana è stata una storia di crescente adattabilità. Veniamo da un albero genealogico che è diversificato, ma tutti gli altri modi di essere umani sono ormai estinti. NE è rimasto solo uno e potremmo essere la specie più adattabile che possa essere mai esistita sulla faccia della Terra».

Alcuni scienziati pensano che, da sole, le fluttuazioni climatiche potrebbero aver spinto gli esseri umani a sviluppare questa straordinaria qualità dell’adattabilità, il nuovo studio indica un quadro più complicato e dimostra che «la variabilità climatica non è che uno dei numerosi fattori ambientali intrecciati che hanno guidato il cambiamento culturale».

Il nuovo studio rivela che il clima è cambiato mentre sul territorio emergevano nuove faglie provocate dall’attività tettonica e la vegetazione e la fauna subivano cambiamenti drastici. E’ tutto questo, messo insieme, che ha portato all’innovazione tecnologica, al commercio di risorse e alla comunicazione simbolica, «Tre fattori chiave per l’adattabilità – fanno notare i ricercatori – vantaggiosi per i primi esseri umani in questa regione».

Cercando di comprendere la principale transizione evolutiva che avevano scoperto a Olorgesailie, Potts e il suo team erano in difficoltà per le grosse lacune nei dati ambientali della regione. A Olorgesailie, un’area collinare piena di affioramenti sedimentari, l’erosione aveva rimosso gli strati geologici che rappresentano circa 180.000 anni, esattamente nel periodo di questa transizione evolutiva. Per sapere come era cambiata la regione in quell’epoca, hanno dovuto cercare altrove: hanno realizzato una trivellazione nel vicino bacino di Koora, estraendo sedimenti più in profondità possibile.

Alla Smithsonian Institution spiegano che «Il sito di perforazione, a circa 15 miglia dai siti di scavo archeologico, era una pianura erbosa e piatta e il team non aveva un’idea chiara di cosa ci fosse sotto la sua superficie. Con il coinvolgimento e il sostegno dei National Museums of Kenya e della comunità locale di Oldonyo Nyokie, un carotaggio di 139 metri è stato estratto dal terreno. Quel cilindro di terra, di soli quattro centimetri di diametro, rappresentava 1 milione di anni di storia ambientale.

Decine di scienziati di tutto il mondo hanno lavorato per analizzare i dati ambientali ottenuti e che rappresentano quelli africani datati più precisamente dell’ultimo milione di anni. Analizzando le età dei radioisotopi e i cambiamenti nella composizione chimica e nei depositi lasciati da piante e organismi microscopici attraverso i diversi strati del nucleo, il team ha ricostruito le caratteristiche chiave dell’antico territorio e del clima nel tempo.

I ricercatori hanno scoperto che «Dopo un lungo periodo di stabilità, l’ambiente in questa parte dell’Africa è diventato più variabile circa 400.000 anni fa, quando l’attività tettonica ha frammentato il territorio». Integrando le informazioni dal nucleo di trivellazione con le conoscenze raccolte da fossili e manufatti archeologici, hanno determinato che «L’intero ecosistema si è evoluto in risposta».

Secondo l’analisi del team, «Poiché parti delle pianure erbose nella regione erano frammentate lungo le  linee di faglia a causa dell’attività tettonica, si sono formati piccoli bacini. Queste aree erano più sensibili ai cambiamenti delle precipitazioni rispetto ai bacini lacustri più grandi che c’erano stati prima. Il terreno rialzato ha anche consentito il deflusso dell’acqua dalle alture per contribuire alla formazione e all’essiccamento dei laghi. Questi cambiamenti si sono verificati durante un periodo in cui le precipitazioni erano diventate più variabili, portando a frequenti e drammatiche fluttuazioni nell’approvvigionamento idrico».

Con queste fluttuazioni, si verificò anche una serie più ampia di cambiamenti ecologici. Il team ha scoperto che «Anche la vegetazione nella regione cambiò ripetutamente, passando da pianure erbose ad  aree boschive. Nel frattempo, i grandi erbivori al pascolo, che non avevano più grandi aree erbose su cui nutrirsi, iniziarono a estinguersi e furono sostituiti da mammiferi più piccoli con diete più diversificatez.

Potts conferma. «C’è stato un enorme cambiamento nella fauna animale durante il periodo di tempo in cui vediamo cambiare il comportamento umano precoce. Gli animali hanno anche influenzato il territorio attraverso i tipi di piante che mangiavano. Quindi dato che gli esseri umani facevano parte di questo  mix e dato che con alcune delle loro innovazioni, come le armi da lancio, potrebbero anche aver influenzato la fauna, è stato un intero ecosistema che è cambiato, con gli esseri umani come parte di esso».

Ma quell’antichissimo cambiamento ambientale e della cultura umana parla anche ai nostri giorni dell’Antropocene e del riscaldamento globale e Potts conclude facendo notare che «Sebbene l’adattabilità sia un segno distintivo dell’evoluzione umana, ciò non significa che la nostra specie sia necessariamente attrezzata per sopportare il cambiamento senza precedenti che la Terra sta vivendo a causa dei cambiamenti climatici causati dall’uomo e della perdita di biodiversità antropica. Abbiamo una capacità sorprendente di adattarci, biologicamente nei nostri geni, nonché culturalmente e socialmente. La domanda è: ora stiamo creando attraverso le nostre attività nuove fonti di perturbazione ambientale che continueranno a sfidare l’adattabilità umana?»