Il Cnr ricostruisce 120mila anni di storia del ghiaccio marino e del clima

Negli ultimi 11mila anni l’estensione del ghiaccio marino è stata inferiore a qualsiasi altro periodo degli ultimi 120mila

[22 Gennaio 2020]

Lo studio “A 120 000-year record of sea ice in the North Atlantic?”, pubblicato su Climate of the Past  da un team internazionale di ricercatori guidato dall’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp), «ha prodotto il primo paleorecord di ghiaccio marino nel Nord Atlantico che ha consentito di scoprirne l’evoluzione durante le variazioni climatiche degli ultimi 120mila anni: dalle fasi finali dell’era interglaciale precedente, l’Emiano, a tutta l’ultima era glaciale, fino all’attuale periodo interglaciale, l’Olocene».

Lo studio paleoclimatico, realizzato nell’ambito del progetto ice2ice dell’European Research Council al quale il Cnr ha partecipato sia nelle operazioni di carotaggio sia nelle fasi successive di misure chimiche e analisi dati, si basa su una carota di ghiaccio lunga 584 metri che è stata estratta nel 2015 da un ghiacciaio sulla costa Est della Groenlandia.

Il principale autore dello studio, Niccolo Maffezzoli, del Cnr-Isp e cdel  Niels Bohr Institute dell’università di Copenhagen, sottolinea che «I risultati mostrano che l’estensione media di ghiaccio marino presente durante gli ultimi 11mila anni dell’Olocene, è stata inferiore a qualsiasi altro periodo precedente degli ultimi 120mila. Il record mostra anche che il periodo di massima estensione e spessore del ghiaccio si verificò circa 20 mila anni fa, durante l’ultimo massimo glaciale. Il ghiaccio iniziò poi a sciogliersi circa 17,5 mila anni fa, in concomitanza con molti altri cambiamenti climatici avvenuti durante la deglaciazione che portò allo stato interglaciale attuale».

Al Cnr ricordano che «Il ghiaccio che si forma dal congelamento dell’acqua di mare in inverno è una variabile climatica fondamentale, profondamente coinvolta nei processi che legano l’atmosfera, gli oceani e la biosfera» e Maffezzoli spiega ancora: «E’ un parametro molto sensibile ai cambiamenti climatici: ne è prova la contrazione a cui stiamo assistendo nell’oceano artico negli ultimi decenni, a causa del riscaldamento antropico che influenza le temperature dell’aria soprattutto a queste latitudini. Le osservazioni satellitari in Artico sono disponibili dagli scorsi anni ‘80 e i modelli climatici prevedono un Oceano Artico libero dai ghiacci in estate nel giro di qualche decennio. Dal punto di vista paleoclimatico il ghiaccio marino è un parametro molto difficile da ricostruire: il bromo e il sodio, gli elementi contenuti nelle particelle di sale che vengono utilizzati come traccianti per la per la sua ricostruzione, realizzata attraverso carotaggi di ghiaccio, lasciano infatti una traccia chimica che è mascherata dalla sorgente principale di questi sali, il mare aperto. Le nostre analisi chimiche eseguite con spettroscopia di massa hanno quantificato bromo, sodio e altri elementi intrappolati nella matrice di ghiaccio a fino a livelli del ppt, ovvero di una parte per trilione. Il nostro studio usa un marcatore di utilizzo recente nello studio delle carote di ghiaccio, il rapporto bromo-sodio, sul quale vi sono ancora da chiarire alcuni aspetti: ma le prove a suo sostegno, non ultime il confronto con le ricostruzioni ricavate dalle carote di sedimenti dei fondali oceanici, inducono a proseguire la ricerca in questa direzione. Attendiamo con ansia di poter misurare la carota che verrà estratta dalla calotta antartica nel progetto Beyond-Epica, che si stima possa coprire l’ultimo milione e mezzo di storia climatica della Terra».

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