La green economy come salvezza per i Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum

Il Cnr ha presentato oggi a Napoli il Rapporto sulle economie del Mediterraneo, incrociando temi chiave per la nostra regione: lavoro, migrazioni, (in)sostenibilità

[1 Febbraio 2018]

È stato presentato oggi a Napoli, nel Polo umanistico del Cnr, il Rapporto sulle economie del Mediterraneo 2017 (Il Mulino), curato proprio dall’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo (Issm) del Cnr. Un documento che affronta temi chiavi in un’area che volente o nolente vede anche l’Italia protagonista: il Cnr approfondisce in particolare le problematiche del mercato del lavoro, una delle questioni centrali nelle relazioni euro-mediterranee, anche per le connessioni con le spinte migratorie provenienti dalla riva sud ed est del bacino, incrociandole con le opportunità di riscatto offerte da un (auspicabile) sviluppo della green economy in tutti quei Paesi che s’affacciano sul Mare Nostrum.

In un capitolo appositamente dedicato è l’economista del Cnr Desirée Quagliarotti a identificare le prospettive dell’economia verde dei Paesi nella regione euromediterranea, che «devono cominciare a pensare in termini di un approccio sistemico e integrato che sappia puntare sull’innovazione, su un uso efficiente delle risorse e sulla diffusione della conoscenza. Tutti fattori che potrebbero contribuire alla crescita, alla coesione sociale e all’incremento dell’occupazione». Fattori di cui avremo noi in primis un gran bisogno, anche per rimediare ai danni nel mercato del lavoro accentuatisi durante la crisi economica degli ultimi anni.

«La disoccupazione giovanile risulta alta non solo nella sponda sud, ma anche nella sponda nord del Mediterraneo, con quattro Paesi che nel 2015 raggiungono livelli superiori al 45%: Bosnia-Erzegovina (66,9%), Libia (50%), Spagna (49,4%) e Grecia (49,2%)», spiegano nel loro capitolo Salvatore Capasso e Yolanda Pena-Boquete, senza dimenticare lo stato dell’arte italiano: nel nostro Paese gli ultimi dati Istat parlano di una disoccupazione giovanile al 32,2%, ma all’Italia va anche il triste primato europeo dei Neet (giovani senza un lavoro o un percorso di formazione), che sono oltre 2 milioni. Un problema comune lungo molte delle sponde del Mediterraneo. «La partecipazione femminile resta estremamente bassa nei Paesi arabi del Mediterraneo. Oltre che rappresentare un ovvio problema sociale, la disoccupazione giovanile e femminile – osservano dal Cnr – pone una questione seria di inefficiente allocazione delle risorse».

Il problema tenderà peraltro ad ampliarsi in prospettiva, in Algeria, Marocco e Tunisia che, «sotto l’ipotesi di un incremento continuo della speranza di vita – evidenzia Barbara Zagaglia – vedranno aumentare la popolazione in età lavorativa tra il 2015 e il 2030. Solo per mantenere costanti i già bassi tassi di occupazione, l’Algeria dovrà aggiungere ogni anno dai 126mila ai 231mila nuovi posti di lavoro, il Marocco dai 121mila ai 133mila, la Tunisia dai 281mila ai 392mila. Se questi obiettivi non saranno soddisfatti la strada della migrazione sarà assicurata». I movimenti migratori si intrecciano peraltro con il dato secondo cui tra il 2008 e il 2015 in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia «al tramonto della lunga e intensa crisi economica, i tassi di occupazione degli stranieri sono sensibilmente diminuiti dagli 8 ai 17 punti percentuali – come osservano Corrado Bonifazi e Salvatore Strozza – Mentre la disoccupazione degli stranieri ha assunto dimensioni notevoli: oltre il 16% in Italia, ma più del 30% in Grecia e in Spagna».

In questo drammatico contesto – spiega Marco Zupi –la priorità dell’Ue «si è focalizzata sulle migrazioni e il loro contenimento, a scapito di sviluppo sostenibile e inclusivo, mentre sarebbe necessario un sistema di governance multi-livello e di politiche territoriali». Non possiamo più nascondere complessità del tema, vagheggiando risposte tanto semplicistiche quanto inefficaci nell’affrontarlo: i Paesi del Mediterraneo accomunati da forti sofferenze nel mercato del lavoro sono anche gli stessi che si vedono profondamente minacciati dai cambiamenti climatici, due pericoli che dobbiamo riuscire a porci in una prospettiva unitaria per sperare di riuscire davvero ad affrontarli.

Secondo il Max Planck Institute le ondate di calore in Nord Africa e Medio Oriente quintuplicheranno entro il 2050, «contribuendo sicuramente alla pressione migratoria» in quanto tali aree – abitate oggi da 500 milioni di persone – stanno rischiando di divenire «inabitabili per l’uomo». Al contempo, come spiega l’Enea, è il sud Italia a rischiare di diventare un nuovo Nord Africa quanto a condizioni climatiche, e già oggi il 20% dell’Italia deve attrezzarsi per affrontare il pericolo desertificazione. Un mix di rischi esplosivo che richiede di essere affrontato in blocco e con il dovuto impegno: l’unica strada possibile da intraprendere, oggi, sembra essere proprio quella della green economy.