La miccia della bomba climatica del carbonio del permafrost è più lunga di quanto si credeva

«L’Artico sempre più caldo potrebbe alla fine raggiungere un punto di non ritorno»

[26 Agosto 2016]

Uno studio pubblicato su Nature Geoscience. Ha fornito la prima prova certa dell’aumento delle emissioni di carbonio dallo scioglimento del permafrost artico causato dal riscaldamento globale. Il progetto, guidato da a  Katey Walter Anthony, dell’università dell’Alaska – Fairbanks (Uaf), Chien-Lu Ping (Uaf); Ronald Dannen (Alaska department of natural resources); Thomas Schneider von Deimling, (Max Planck institute for meteorology) ; Jeffrey P. Chanton (Florida State University) che hanno studiato  laghi in Alaska, Canada, Svezia e Siberia, dove, negli ultimi 60 anni, il disgelo dl permafrost ha portato all’espansione dei laghi lungo la costa.

Lo scioglimento avviene spesso nei laghi artici dove l’acqua scioglie il suolo a lungo congelato. Il materiale rilasciato viene digerito da piccoli insetti e trasformato in anidride carbonica e metano. «Ho camminato su questi laghi quando sono erano congelati per un tempo molto lungo – dice la Anthony . Volevo uscire dopo che il ghiaccio si era formato, guardare la superficie del lago ghiacciata e vedere le bollicine. Ho osservato che le bolle sono più dense più grande lungo il bordo, dove i margini erano in espansione, dove il permafrost era stato scongelato». Questa osservazione ha portato a tre domande: le bolle erano prodotte dallo scioglimento del permafrost? Se è così, quello rilasciato era carbonio antico rimasto a lungo dormiente? E, se sì, quanto?

Il team ha catturato alcuni di questi gas e sottoposto a datazione al radiocarbonio. Il team internazionale ha scoperto che ovunque i gas sono stati prodotti da carbonio immagazzinato tra i 10.000 e i 30.000 anni.

All’Uaf spiegano che «Utilizzando l’analisi delle foto storiche aeree, il campionamento del suolo e del metano e la datazione al radiocarbonio, il progetto ha quantificato per la prima volta la forza dell’attuale reazione del carbonio del permafrost al riscaldamento climatico. Anche se si prevede che il verificarsi di una grande emissione di carbonio del permafrost sia imminente, i risultati di questo studio mostrano quasi nessun segno che sia iniziato».

Lo studio ha utilizzato la datazione al radiocarbonio per determinare l’età di metano emesso dalle zone di espansione, dove i laghi artici sono recentemente aumentati cresciuti a causa del disgelo del permafrost terrestre. L’età del metano rispecchia quella dell’antico permafrost in disgelo a fianco e sotto i laghi, e fornisce il più grande dataset conosciuto datato al radiocarbonio di emissioni di metano.

All’università dell’Alaska sottolineano che «I dati sono importanti per i modelli del cambiamento climatico, dal momento che le emissioni rilasciate dal disgelo del permafrost potrebbero influenzare in modo significativo i livelli di gas serra nell’atmosfera. Se rimane intrappolato nel terreno ghiacciato, il carbonio antico non fa parte di questa equazione, ma se viene rilasciato come metano e anidride carbonica quando il permafrost si scongela e si decompone».

La Anthony ha detto che «I miliardi di tonnellate di carbonio immagazzinate nel permafrost sono circa il doppio della quantità che è attualmente nell’atmosfera. Molti ricercatori sono preoccupati che se il carbonio antico inizia il ciclo, si potrebbe creare un feedback loop: le sue emissioni contribuiscono al riscaldamento, che contribuisce ancora una volta a più scioglimento del permafrost. Se si apre lo sportello del freezer, si scongela il permafrost nel terreno che è stato congelato per lungo tempo e la materia organica che contiene  viene decomposta dai microbi».

Uno degli autori dello studio, Guido Grosse, dell’Alfred Wegener Institute, evidenzia che «I ricercatori dei cambiamenti climatici sono sempre più preoccupati per la velocità alla quale può avvenire il disgelo e il rilascio di carbonio e se il processo abbia già accelerato negli ultimi anni.

Il nuovo studio ha scoperto che il tasso a cui il carbonio antico è stato liberato durante gli ultimi 60 anni è  stato  relativamente basso, mentre le proiezioni effettuate da altri studi si aspettano tassi di rilascio del  carbonio molto più elevati  – da 100 a 900 volte maggiori –  nel corso dei prossimi 90 anni. «Questo – dicono all’Uaf –  suggerisce che i tassi attuali sono ancora ben al di sotto quelli che potrebbero raggiungere nel futuro di un Artico più caldo».

La determinazione del tasso di rilascio del carbonio antico dal permafrost per i ricercatori era una sfida, dal momento che la vegetazione che cresce nel permafrost scongelato nei sistemi forestali e nella tundra rilascia nel suolo il suo carbonio organico moderno, che si decompone prontamente e diluisce il segnale dell’old carbon da scongelamento del permafrost. Il team della Anthony si concentra sulle emissioni di metano dai  laghi, dove il permafrost si scioglie molto più in profondità che sulla terraferma. Il metano che si forma in profondità nei fondali  scongelati sotto i laghi che producono bolle che salgono rapidamente per sfuggire dai laghi, senza miscelazione e con minore carbonio superficiale.

Comunque la ricerca conferma un  diffuso  rilascio di carbonio antico del permafrost artico, che potrebbe davvero essere la miccia della bomba del cambiamento climatico. La Anthony conferma: «E’ una miccia accesa, ma la lunghezza di questa miccia è molto lunga. Secondo le proiezioni del modello, ci stiamo preparando per la parte in cui inizia ad esplodere. Ma non è ancora successo».

La Anthony è convinta che «L’Artico sempre più caldo potrebbe alla fine raggiungere un punto di non ritorno. La posta in gioco è alta. Gli scienziati stimano che ci siano più di 1.400 petagrammi di carbonio antico stoccato nel permafrost. Ogni petagrammo è un miliardo di tonnellate. C’è molto interesse per quello che sarà il destino del  carbonio del permafrost».