La rete Mare caldo di Greenpeace si espande in 4 aree marine protette

Per monitorare gli impatti dei cambiamenti climatici in mare. Amp del Plemmirio: espansione della caulerpa e del vermocane

[5 Ottobre 2020]

Al progetto “Mare caldo” di Greenpeace, avviato nel novembre 2019 con una stazione pilota per il monitoraggio delle temperature marine all’Isola d’Elba, oggi aderiscono 4 Aree marine protette: il Plemmirio in Sicilia, Capo Carbonara – Villasimius e Tavolara – Punta Coda Cavallo in Sardegna, Portofino in Liguria. «L’obiettivo del progetto – ricorda greenpeace Italia – è quello di studiare gli impatti dei cambiamenti climatici in mare e sviluppare una rete che possa monitorare nel tempo cosa succede nei mari italiani».

Patrizia Maiorca, presidente dell’Area marina protetta del Plemmirio, spiega che «Abbiamo deciso di aderire al progetto Mare caldo di Greenpeace perché è nelle nostre finalità istitutive lavorare per il monitoraggio e la salvaguardia dell’ambiente. Noi per primi andando tutti i giorni in acqua vediamo che qualcosa sta cambiando, dalle popolazioni alle dimensioni degli animali, studiare nel tempo le variazioni delle temperature in mare e monitorare con la comunità scientifica gli impatti del cambiamento climatico ci darà dati importantissimi per capire cosa sta succedendo. Le aree marine sono dei veri e propri laboratori a cielo aperto, avamposti privilegiati dove studiare i cambiamenti in atto, sarà fondamentale il confronto con quanto studiato nelle varie aree del progetto per poter sviluppare adeguati strumenti di gestione e tutela».

Dai primi monitoraggi appena eseguiti dal personale della Amp insieme ai ricercatori del DiSTAV dell’università di Genova nel Plemmirio (Siracusa), l’Area marina protetta più meridionale del progetto, «si riscontrano a metà settembre temperature medie intorno ai 25 gradi centigradi fino a 25 metri di profondità, senza scendere sotto i 20 gradi fino a 40 metri, e un ambiente ricco di specie termofile, ovvero caratteristiche di ambienti più caldi».

I ricercatori evidenziano:«Sebbene meno evidenti rispetto ad altre aree già studiate nell’ambito del progetto “Mare Caldo”, come l’Isola d’Elba o Portofino, anche qui si possono osservare i primi impatti dell’aumento delle temperature. In particolare, lo sbiancamento di alcune alghe corallinacee incrostanti in tutti i siti monitorati tra i 6 e i 30 metri di profondità, l’assenza del grosso bivalve Pinna nobilis, colpito anche qui negli anni passati da una moria di massa, e l’abbondanza di specie termofile, che sebbene normalmente presenti in queste aree più meridionali stanno divenendo la componente dominante delle comunità con il rischio di alterarne gli equilibri con una forte perdita di biodiversità. Preoccupa l’ampia presenza dell’alga verde Caulerpa cylindracea, specie aliena di origini australiane, che qui è arrivata a ricoprire quasi totalmente i fondali dai 20 ai 40 metri, e del vermocane, un verme urticante che negli ultimi anni ha avuto una crescita esponenziale, particolarmente abbondante negli strati più superficiali ma presente fino ai 40 metri di profondità».

Inoltre, i ricercatori hanno rilevato «un aumento in numero e dimensioni del pesce pappagallo e l’avvistamento per la prima volta in zona A della Amp di pesci flauto, specie aliena originaria del Mar Rosso da alcuni anni presente nei mari siciliani».

Giorgia Monti, responsabile della campagna mare di Greenpeace, conclude: «I dati ad oggi raccolti dal progetto confermano quanto i nostri mari stanno cambiando a causa dell’aumento delle temperature. Sarà fondamentale allargare la rete nei prossimi mesi non solo per raccogliere più dati ma anche per trasferire il know how necessario e favorire gli scambi tra gli operatori delle aree marine protette, in prima fila nella difesa del mare. I cambiamenti climatici acuiscono la crisi di un ecosistema già sottopressione. Se da un lato è fondamentale un taglio netto delle emissioni di gas serra, dall’altro è fondamentale rafforzare e ampliare la rete di aree protette: solo tutelando le aree più sensibili potremo permettere ai nostri mari di adattarsi e sopravvivere a un cambiamento che è già in atto».