Migrazioni ambientali e crisi climatica: l’Onu alla ricerca di soluzioni per un problema crescente

Alcune soluzioni sono previste dal Global Compact for Migration che l’Italia non ha firmato

[2 Agosto 2019]

Nel corso della plurimillenaria storia umana, migrazioni e clima sono sempre stati collegati, ma oggi gli impatti della crisi climatica causata dall’uomo probabilmente cambieranno i modelli di insediamento umani.
Dina Ionesco è a capo della divisione migrazione, ambiente e cambiamenti climatici dell’ International organization for migration (Iom) e da sempre in prima linea negli sforzi per studiare i legami tra migrazione, ambiente e clima e, come ha spiegato all’Onu, «Ora viviamo in un’era in cui eventi catastrofici legati al clima sono collegati all’attività antropica, e questo probabilmente avrà un impatto notevole sul modo in cui decidiamo di migrare e stabilirci. L’Atlas of Environmental Migration, che fornisce esempi risalenti a 45.000 anni fa, dimostra che i cambiamenti ambientali e le catastrofi naturali hanno avuto un ruolo nel modo in cui la popolazione si è distribuita sul nostro pianeta nel corso della storia. Tuttavia, è molto probabile che i cambiamenti ambientali indesiderati creati direttamente o amplificati dai cambiamenti climatici, cambieranno ampiamente i modelli dell’insediamento umano. Il futuro degrado della terra utilizzata per l’agricoltura e l’allevamento, la distruzione di fragili ecosistemi e l’esaurimento di preziose risorse naturali come l’acqua dolce, avranno un impatto diretto sulla vita e sulle case delle persone».
E la crisi climatica che vive il nostro pianeta sta già avendo preoccupanti effetti: secondo l’ Internal displacement monitoring centre, nel 2018 ben 17,2 milioni di persone «hanno dovuto abbandonare le proprie case a causa di catastrofi che hanno influito negativamente sulla loro vita». Anche i cambiamenti dell’ambiente più lenti, come l’acidificazione degli oceani, la desertificazione e l’erosione costiera, hanno un impatto diretto sul sostentamento delle persone e sulla loro capacità di sopravvivere nei loro luoghi di origine.
La Ionesco, sottolinea che «Esiste una forte possibilità che più persone migrino alla ricerca di migliori opportunità, poiché le condizioni di vita peggiorano nei loro luoghi di origine. Per il XXI secolo, ci sono previsioni che indicano che anche più persone dovranno spostarsi a causa di questi impatti climatici avversi. L’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), la principale autorità dell’Onu in materia di scienze climatiche, ha ripetutamente affermato che i cambiamenti causati dalla crisi climatica influenzeranno i modelli migratori. La Banca mondiale ha presentato proiezioni per la migrazione interna climatica pari a 143 milioni di persone entro il 2050 in tre regioni del mondo, se non verrà intrapresa alcuna azione per il clima. Tuttavia, è cambiato anche il nostro livello di consapevolezza e comprensione di come i fattori ambientali influenzano la migrazione e di come interagiscono anche con altri fattori della migrazione come le condizioni demografiche, politiche ed economiche. Con una migliore conoscenza, c’è un maggiore incentivo ad agire con urgenza, prepararsi e rispondere».
Nonostante i vari negazionisti climatici alla Trump e alla Salvini, la Ionesco è convinta che «Nell’ultimo decennio, c’è stata una crescente consapevolezza politica delle problematiche legate alla migrazione ambientale e una crescente accettazione del fatto che questa è una sfida globale. Di conseguenza, molti stati hanno sottoscritto accordi di riferimento, come l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, il Sendai Framework for Disaster Risk Reduction e il Global Compact for Migration (che l’Italia non ha firmato), che indicano una chiara strada da seguire per i governi per affrontare il problema del clima e della migrazione.Il Compact contiene molti riferimenti alla migrazione ambientale, compresa un’intera sezione sulle misure per affrontare le sfide ambientali e climatiche: è la prima volta che viene presentata una visione globale, che mostra come gli stati possono gestire – ora e in futuro – gli impatti di cambiamenti climatici, catastrofi e degrado ambientale sulla migrazione internazionale. La nostra analisi del Compact evidenzia le priorità degli Stati quando si tratta di affrontare la migrazione ambientale. La loro preoccupazione principale è “ridurre al minimo i fattori avversi e i fattori strutturali che costringono le persone a lasciare il loro Paese di origine”, in particolare le “catastrofi naturali, gli effetti negativi dei cambiamenti climatici e il degrado ambientale”. In altre parole, la priorità principale è trovare soluzioni che consentano alle persone di rimanere nelle loro case e dare loro i mezzi per adattarsi alle mutevoli condizioni ambientali. Questo approccio mira a evitare i casi di migrazione disperata e le tragedie loro associate. Tuttavia, laddove gli impatti dei cambiamenti climatici sono troppo intensi, un’altra priorità proposta nel Compact è quella di “migliorare la disponibilità e la flessibilità dei percorsi per la migrazione regolare”. Gli Stati stanno quindi cercando soluzioni per consentire alle persone di migrare in modo sicuro e attraverso canali regolari e soluzioni per coloro che sono già in movimento. Un’ultima risorsa è quella di attuare trasferimenti programmati della popolazione: questo significa organizzare il trasferimento di interi villaggi e comunità lontano dalle aree che hanno il peso maggiore degli impatti dei cambiamenti climatici. Anche l’assistenza umanitaria e la protezione per chi si sta già spostando sono strumenti che gli Stati possono usare. Infine, gli Stati evidenziano che “i dati e le conoscenze pertinenti sono fondamentali per guidare il processo decisionale. Senza saperne di più e analizzare meglio, le politiche corrono il rischio di perdere i propri obiettivi e svanire nell’irrilevanza”».
La Ionesco non si nasconde certo che «Rispondere alle sfide della migrazione ambientale in un modo che avvantaggi sia i Paesi che le comunità, inclusi migranti e rifugiati, è un processo complesso, che coinvolge molti protagonisti diversi. Le soluzioni possono variare dalle pratiche di modifica della migrazione, come i regimi per il visto, allo sviluppo di misure di protezione basate sui diritti umani. Soprattutto, necessitano di un approccio coordinato da parte dei governi nazionali, che riunisce esperti di diversi ceti sociali. Non esiste un’unica soluzione per rispondere alla sfida della migrazione ambientale, ma ci sono molte soluzioni che affrontano diversi aspetti di questa complessa equazione. Nulla di significativo potrà mai essere raggiunto senza il forte coinvolgimento degli attori della società civile e delle stesse comunità che molto spesso sanno cosa è meglio per loro e per i loro modi di vivere. Penso anche che dobbiamo farla finita con i discorsi che si concentrano solo sui migranti come vittime di una tragedia. Il quadro più ampio è a volte certamente desolante, ma dobbiamo ricordare che i migranti dimostrano ogni giorno la loro capacità di riprendersi e la capacità di sopravvivere e prosperare in situazioni difficili».