Non c’è rifugio dalle ondate di caldo marine

I ricercatori studiano come le Aree marine protette mitigano gli impatti delle ondate di caldo sugli ecosistemi oceanici

[9 Dicembre 2020]

Negli ultimi decenni, le aree marine protette (Amp) sono emerse come il più efficace strumento di conservazione del mare. Proteggendo le specie marine e salvaguardando l’habitat, queste zone protette salvaguardano  gli ecosistemi dagli shock, sia naturali che causati dall’uomo. All’università della California –Santa Barbara (UCSB) confermano che «Le aree marine protette no-take sono strategie estremamente utili per la conservazione marina. Poiché sono uno strumento di gestione dell’intero ecosistema, molti scienziati ritengono che possano aiutare a mitigare i cambiamenti climatici. Ricerche precedenti hanno dimostrato che le Amp possono aumentare il numero di specie, stabilizzare gli ecosistemi e pesrsino aumentare le catture della pesca: tutti effetti che dovrebbero, in teoria, offrire protezione contro i cambiamenti climatici».

Lo studio “Marine protected areas do not prevent marine heatwave-induced fish community structure changes in a temperate transition zone”, pubblicato su Scientific Reports da un team di ricercatori del Channel Islands National Marine Sanctuary della National oceanic and atmospheric administration (Noaa) e dell’UCSB ha cercato di determinare proprio in che misura le Amp proteggono i pesci dai cambiamenti causati dalle ondate di caldo marine, eventi  stressanti possono alterare drasticamente un ecosistema e che gli scienziati prevedono che aumenteranno in frequenza e intensità con il riscaldamento climatico.

Per riuscirci, il team californiano ha approfittato di un’ondata di caldo marino che ha colpito l’intera costa occidentale Usa tra il 2014 e il 2016, utilizzando 16 anni di dati provenienti dalle Channel Islands, un arcipelago che si trova nel punto di transizione tra gli ecosistemi subtropicali a sud e gli ecosistemi temperati a nord di Point Conception, ed è punteggiato da una rete di una dozzina di riserve no-take.

Secondo i risultati pubblicati su Scientific Reports, «Le Amp fanno poco per mediare alcuni effetti delle ondate di caldo marine, incluse, in questo caso, le modifiche alla struttura della comunità ittica. I gestori delle risorse dovranno impiegare altre strategie se vogliono mitigare questa sfida».

Il principale autore dello studio, Ryan Freedman, del Marine Science Institute dell’UCSB, sottolinea che «Ci sono stati molti studi che dimostrano che le Amp sono efficaci nel preservare la biodiversità e nel facilitare il recupero di singole specie durante e dopo eventi di temperatura estreme. Dati questi aspetti e il corposo lavoro sui benefici delle Amp, molti gestori delle risorse indicano le Amp come un modo per mitigare gli effetti sul clima, anche se ci sono stati solo pochi studi sull’argomento».

Dati che, fortunatamente, erano a disposizione in grande quantità per tutte le Channel Islands grazie alla  Partnership for Interdisciplinary Studies of Coastal Oceans (PISCO), il consorzio accademico che conduce ricerche sull’oceano costiero della California per informare lgestori e politici e che dispone di datset che risalgono al 1999, oltre a siti di monitoraggio all’interno e all’esterno delle Amp dell’Arcipelago.

Freedman e il suo team si sono concentrati, come fosse stata una sorta di esperimento naturale, soprattutto sull’’ondata di caldo marino che ha colpito la regione nel 2014.  Per indagare su come queste aree marine protette alla frontiera del cambiamento climatico hanno mediato l’impatto dell’ondata di caldo, i ricercatori californiani hanno confrontato la densità dei pesci, la biomassa, la biodiversità e il reclutamento di novellame tra le pecie di acqua calda e di acqua fredda e Freedman. Spiega che «Abbiamo scoperto che l’ondata di caldo ha avuto un effetto fuori misura sulla densità, il reclutamento e la biodiversità rispetto ai tipici eventi oceanografici come El Niño. Dopo averlo visto, ci siamo concentrati sui dati raccolti solo durante gli anni dell’ondata di caldo per esaminare da vicino li trend all’interno e all’esterno delle aree marine protette».

Il team si è chiesto se le comunità ittiche all’interno delle riserve fossero rimaste simili prima, durante e dopo l’ondata di caldo, rispetto alle località non protette. Ma hanno trovato poca differenza nel modo in cui le comunità ittiche si sono spostate all’interno e all’esterno delle Amp.

I ricercatori sono rimasti sorpresi dai risultati, ma hanno formulato una possibile spiegazione: Sospettano che «Le tendenze fossero simili all’interno e all’esterno delle Amp perché l’ondata di caldo tendeva a colpire le specie non pescate – come i labridi di scoglio e il Garibaldi – più di quelle prese di mira dalla pesca. Per le specie non bersaglio, la protezione aggiuntiva di una riserva marina vietata alla cattura è una distinzione discutibile quando si tratta di ondate di caldo marine».

Freedman aggiunge: «Sospettiamo che le specie non-target siano più reattive perché di solito sono più piccole e hanno una durata di vita più breve rispetto alle specie target. Di conseguenza, le specie non pescate probabilmente subiscono un impatto più forte da eventi acuti come le ondate di caldo marino. Inoltre, le specie non-target sono generalmente più abbondanti, il che significa che ci sono più individui sui quali un’ondata di caldo ha effetto».

All’USBC  ricordano che «Questo è il primo di una serie di documenti che mirano a identificare alcuni dei modi in cui un clima alterato avrà un impatto sul futuro delle foreste di alghe nella California meridionale e centrale». Il team di ricercatori ha recentemente presentato un altro manoscritto che delinea come hanno fatto a classificare le specie di acqua calda e di acqua fredda, nella speranza che altri gruppi di conservazione possano utilizzare la loro metodologia per migliorare l’accuratezza del proprio lavoro. Il documento finale della serie prevede i futuri cambiamenti nelle specie ittiche in diversi scenari climatici per il Santa Barbara Channel, con l’obiettivo di consentire una gestione proattiva di fronte ai cambiamenti climatici.

Per Freedman le implicazioni di questi risultati sembrano abbastanza chiare; «Poiché le Amp da sole non possono mitigare il cambiamento acuto dell’ecosistema durante le ondate di caldo, i gestori delle risorse dovranno utilizzare una suite di opzioni di conservazione per mantenere importanti servizi ecosistemici nel Santa Barbara Channel e oltre, perché le ondate di caldo stanno diventando più comuni”, ha affermato.

Lo studio evidenzia anche la necessità di una stretta collaborazione tra università e aree marine protette: Freedman ha fatto il suo dottorato al  Noaa Channel Islands National Marine Sanctuary, dove ora è un ecologo ricercatore.

Un’altra autrice dello studio, Jenn Caselle del Marine Science Institute dell’USBC, conferma: «Forti partnerships tra ricercatori accademici e gestori delle risorse sono fondamentali per risolvere alcune delle sfide ambientali più difficili. Avere l’ufficio del Channel Islands National Marine Sanctuary fisicamente situato nel nostro campus è un enorme vantaggio per i ricercatori che lavorano applicandosi direttamente sui problemi e per i manager alla ricerca di soluzioni scientifiche».