Non c’è “solo” la crisi climatica dietro i danni da alluvioni che hanno colpito il nord Italia

Sigea: «Gestione compromessa dal pessimo uso del suolo e dall'oramai sempre più estesa impermeabilizzazione»

[1 Settembre 2020]

Secondo i dati raccolti dalla Società italiana di geologia ambientale (Sigea) le alluvioni che nei giorni e nelle settimane scorse hanno colpito con violenza l’Italia del nord sono “infrequenti” climaticamente parlando, ma dopotutto non così eccezionali. «Quelli ai quali stiamo assistendo – spiega il climatologo Massimiliano Fazzini – non sono eventi rari. Solo per citare un esempio concreto temporali autorigeneranti avvenuti nel lontano 13 agosto 1935, nella zona di Milano, apportarono cumulate giornaliere di oltre 550 mm, pari al 60% della pioggia annuale che cade mediamente a Milano; i 78 mm di pioggia caduti a Milano nord all’alba del 24 agosto hanno tempi di ritorno di 27 anni».

Vale lo stesso per altre intense piogge registrate in questi giorni: «I 53 mm caduti nel primo pomeriggio dell’11 luglio a Brescia annoverano tempi di ritorno di 17 anni mentre i violenti fenomeni avvenuti in Veneto, a Verona e a Cortina, hanno tempi di ritorno persino più limitati (tra i 14 ed i 16 anni), con fenomeni piuttosto recenti di gran lunga più intensi».

E la crisi climatica? Come afferma chiaramente il V report dell’Ipcc insieme a molti altri studi, i cambiamenti climatici in corso sono legati all’aumento di eventi meteorologici estremi, in frequenza ed intensità, almeno dal 1950; un riferimento specifico a tal proposito è dedicato proprio alle forti precipitazioni in Nord America e in Europa. Ma questo non significa che non esistano altre responsabilità, attribuibili in primis all’uso del suolo da parte degli esseri umani.

«Se da una parte è innegabile – sottolinea Fazzini –  che il cambiamento climatico e la conseguente estremizzazione meteorologica si identifichi soprattutto in una maggiore frequenza di fenomeni meteorici brevi ed intensi, di tipo  convettivo, è anche vero che, dati alla mano, tali fenomeni, ogni volta definiti estremi o eccezionali, non possano poi essere annoverati in quelli realmente “rari”, visto che statisticamente presentano tempi di ritorno piuttosto limitati o non appartengono al cosiddetto 95°percentile della serie storica. Analizzando “i numeri” degli eventi appena sopra menzionati, ci si rende conto che il dato della cumulata meteorica o meglio ancora l’intensità oraria o semi/oraria della precipitazione ricadono sovente tra il 70 e l’80°percentile, quindi possono essere definiti eventi neppure cosi rari ma piuttosto “infrequenti”. Se poi si va ad applicare la metodologia di Gumbel finalizzata al calcolo dei tempo di ritorno in anni per prefissate soglie pluviometriche raggiunte in tempo brevi (di solito 15-30-45 e 60 minuti) ci si rende conto che i tempo di ritorno di tali fenomeni sono spesso decennali o ventennali, dunque non di certo eccezionali».

«Ma allora ci si deve chiedere – conclude il climatologo – se davvero l’estremizzazione climatica sia sempre la responsabile prima ed unica dei fenomeni di dissesto idrogeologico, che per fortuna solo raramente e grazie ad una buona dose di fortuna non provocano vittime, oppure la gestione della problematica specifica sia sempre più complessa, difficoltosa se non compromessa dal pessimo uso del suolo e dall’oramai sempre più estesa impermeabilizzazione».

Tra le concause del dissesto idrogeologico, ricorda la Sigea, si è ormai consapevoli che concorrono con incidenza diversa secondo le situazioni l’abbandono delle campagne, l’edilizia distratta dagli interessi economici, l’abusivismo edilizio, l’assenza di manutenzione dei corsi d’acqua, gli incendi boschivi, i cambiamenti climatici, e altro. Quasi tutte cause attribuibili direttamente e indirettamente all’azione dell’uomo. «Oggi si può affermare – sottolineano dalla Sigea – che all’origine del tragico ripetersi degli eventi calamitosi c’è un problema esclusivamente di ordine culturale e non tecnico, un problema che può essere affrontato e risolti solo da un’azione politica che abbia la seria volontà di ritornare a curare la popolazione e il territorio, lasciando a quest’ultimo il suo naturale evolversi».