Nuove strategie di utilizzo de suoli possono ridurre molto le emissioni di gas serra

Cambiando le pratiche agricole, potrebbero essere assorbiti 9 miliardi di tonnellate di CO2

[8 Aprile 2016]

L’utilizzo dei combustibili fossili come il carbone, il gas e il petrolio contribuisce più di qualsiasi altra attività antropica alle emissioni di gas serra, ma lo studio “Climate-smart soils”, pubblicato su Nature da un team interdisciplinare di ricercatori statunitensi e britannici guidato da Keith Paustian, del Department of soil and crop sciences della Colorado State University, afferma che anche altri settori dell’economia globale, a partire dall’agricoltura, possono ridurre sostanzialmente le emissioni di gas serra.

L’agricoltura è direttamente responsabile del 10 – 14% delle emissioni globali di gas serra, al quale va aggiunto un ulteriore 12 – 15% proveniente dalla conversione dei terreni, soprattutto deforestazione, per facilitare l’agricoltura e i ricercatori spiegano su Nature che «I suoli sono parte integrante del funzionamento di tutti gli ecosistemi terrestri e della produzione di cibo e fibre. Un aspetto trascurato dei suoli è il loro potenziale per ridurre le emissioni di gas serra. Sebbene esistano prassi consolidate, la realizzazione di attività di mitigazione dei gas serra basate sul suolo sono in una fase iniziale e quantificare con precisione le emissioni e la riduzione rimane una sfida notevole. Sviluppi emergenti della ricerca e delle tecnologie dell’informazione offrono il potenziale per una più ampia inclusione dei suoli nelle politiche dei gas serra. Qui evidenziamo o “’stato dell’arte” della ricerca sui gas a effetto serra e suolo, riassumiamo le pratiche di mitigazione e le potenzialità, individuiamo le lacune nei dati e nella comprensione e suggeriamo odi per colmare queste lacune attraverso nuova ricerca, tecnologia e collaborazione».

Infatti, il team descrive come i cambiamenti nelle pratiche di utilizzo del suolo possono aiutare a ridurre i livelli in atmosfera di gas serra come l’anidride carbonica, il protossido di azoto e il metano. «Non importa quale approccio si attui per ridurre le emissioni di gas serra – se sia l’utilizzo di combustibili fossili, i cambiamenti nel modo in cui gestire la filiera produttiva o nuove innovazioni in agricoltura – l’uso del suolo svolge un ruolo chiave – afferma Paustian – Ciò che deve cambiare è il modo in cui incentivare nuove strategie di uso del suolo per agricoltori, allevatori e produttori».

Uno degli esempi delle nuove tecnologie utilizzabili è il CarbOn Management and Evaluation Tool (COMET-Farm)  uno strumento online progettato per aiutare gli agricoltori e gli allevatori a capire quale impatto abbiano loro pratiche a sulla loro impronta di carbonio. COMET-Farm è stato sviluppato dalla Colorado State University in collaborazione con  CSU, in collaborazione con il Natural Resource Conservation Service del Dipartimento dell’agricoltura Usa, per aiutare i produttori a stimare le loro emissioni di gas serra e valutare le pratiche di gestione alternativi che utilizzano dati dettagliati unici per ogni singola attività agricola o di allevamento.

Paustian fa notare  che «Questi nuovi approcci e nuovi strumenti non solo permetteranno di aumentare l’impegno da parte di agricoltori e allevatori, ma offriranno anche una possibilità all’industria di diventare più attiva  nelle questioni dell’so del suolo. L’uso del suolo è tanto una questione sociale quanto è un problema ambientale. Dobbiamo sviluppare le politiche giuste e gli incentivi per l’industria, e dobbiamo farlo mettendo insieme la nostra ricerca scientifica e l’esperienza».

Il rapporto raccomanda anche di produrre più dati di alta qualità sull’impatto dell’utilizzo dei suoli sulle emissioni di gas serra e un maggiore impegno, attraverso l’educazione e la sensibilizzazione degli stessi gli utilizzatori dei terreni.

In un’intervista a Christian Science Monitor, Paustian ha detto che «La più importante ricaduta di questo lavoro è che il modo in cui gestiamo i nostri territori e suoli è in grado di fare la differenza nella gestione dei gas serra e del cambiamento climatico. E se riusciamo a gestire i terreni, nel tentativo di ridurre i gas serra, c’è anche un vantaggio collaterale enorme in termini di suoli sani e servizi ecosistemici, quali meno ruscellamento, meno erosione del suolo e meno lisciviazione dei nitrati che causa problemi nel Golfo del Messico, nella Chesapeake Bay, e in molti  corsi d’acqua».

Un altro degli autori dello studio, Phil Robertson di Michigan State University, dice che «I terreni agricoli possono essere utilizzati per catturare anche più gas serra di quanto ne emettono, rendendoli “net mitigating”. Oggi sono disponibili tre importanti pratiche game-changing: no-till, coltivazioni di copertura, e gestione avanzata fertilizzanti azotati».

Con la tecnica no-till  i prodotti vengono coltivati ​​senza aratura, con le coltivazioni di copertura invernali la CO2 viene catturata in inverno, quando la coltivazione principale è assente; la gestione fertilizzanti azotati prevede un utilizzo oculato dei concimi, che soddisfi le reali esigenze delle piante, invece di spanderli indiscriminatamente. Il modo migliore per trasformare terreni in pozzi di carbonio e farci crescere una foresta, ma il pragmatismo impone un percorso più realistico: l’adattamento delle pratiche agricole.

Robertson sottolinea le difficoltà di questo nuovo approccio: «Sappiamo dalla ricerca che negli Usa la tecnologia è già disponibile, ma gli agricoltori sono esseri umani razionali e la loro prima priorità è pagare le fatture, non la riduzione dei gas serra. Gli agricoltori non cambiano il sistema delle loro pratiche di coltivazione perché sarebbero generalmente più costose in termini di lavoro, attrezzature, e sforzi di gestione del suolo». La soluzione allora qual è? «Pagare gli agricoltori ad adottare pratiche agricole diverse – dice Robertson – Sappiamo che funziona perché abbiamo conservation payments  in atto da decenni. E grazie all’estensione dell’agricoltura, un piccolo cambiamento a livello di campo avrà un enorme impatto a livello continentale».